Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
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«Coprii gli occhi con le mani per non vedere nulla,
mentre l’auto cominciò a sbandare sempre di più»
Una donna con una fretta del diavolo, un aereo da prendere al volo,
un vecchio tassista che vive una notte avventurosa e imprevedibile
Un racconto di Roberta Giacometti, analizzato da Rino Tripodi  
Ritmi velocissimi, quelli che accompagnano la storia scaturita dalla febbrile fantasia della narratrice. Personaggi, come spesso nei suoi racconti, una donna “problematica” e un uomo colto in un aspetto del suo “mestiere”.
La vicenda, essenziale, scorre fulminea, con un andamento convulso, quasi da hollywoodiano film di azione, entro freddi scenari metropolitani, pallide luci che si riflettono sull’asfalto dell’autostrada, uno sviluppo attraversato da indizi depistanti e da vorticanti traiettorie presto sovvertite. La narrazione procede in prima persona, secondo il punto di vista della protagonista, inizialmente aggressiva e arrogante, poi impaurita.
Il tassista, al contrario, dapprima prudente ed esitante, finisce per toccare record di velocità e ci rivela: «È una vita che aspetto che qualcuno salga sul mio taxi e mi dica: “insegua quell’auto, a tutta velocità, è una questione di vita o di morte”, io… è una vita che lo sento solo nei telefilm. Sto per andare in pensione». Come al pirandelliano Belluca de Il treno ha fischiato, gli è bastato uno stimolo per rianalizzare tutta una vita fatta di routine, normalità, frustrazioni quotidiane, noia… e ribellarsi, almeno per un attimo, ad essa, divenire in un’occasione protagonista di un’avventura. La vita repressa per tanto tempo, allora, esplode come un breve grido improvviso, a lacerare il lento franare dei giorni, la congiura della realtà, l’inesorabilità dell’esistenza.
La scrittrice è abile anche in alcune ellissi: perché quell’aereo andava preso ad ogni costo? Perché la donna in fuga afferma che occorre «assolutamente mettere migliaia di chilometri fra me e questa città, questa casa, è una questione di vita o di morte. […] Devo fuggire, altrimenti… […] ha capito? Non posso restare qui!»? Un capriccio femmineo o un intrigo da “giallo”? Ma anche il tassista… a cosa sta pensando, quando urla: «Cosa ne sa lei della morte? Cosa ne sa per dire così a me?». Al lettore resta ancora tanto da immaginare…
Anche cosa accadrà dopo la fine “sospesa” dello stesso racconto: «I poliziotti accostarono. Li accolse con un solo cenno del capo».

Rino Tripodi


Il tassista

Entrai nel taxi sconvolta. Pioveva a dirotto, un vero acquazzone. «All’aeroporto, presto» dissi concitata al tassista. «Ho l’aereo fra un’ora. Vada veloce, più in fretta che può». Mi appoggiai allo schienale e soffiai fuori tutta l’aria che avevo nei polmoni. Appoggiai anche la testa e chiusi gli occhi. Lo scrosciare dell’acqua sulla carrozzeria m’impedì di sentire le prime parole dell’autista.
«Come dice?» gli chiesi.
Il tassista, un uomo con i capelli brizzolati tagliati corti, quasi a zero sulle tempie, e un viso scavato dalle rughe, si girò appena indietro, strabuzzando gli occhi, per potermi parlare guardandomi in faccia.
«Le dico che raggiungere l’aeroporto in meno di un’ora è impossibile, anche se non piovesse! Doveva chiamarmi prima. Credo che non le convenga neppure partire. La lascio alla stazione dei treni, se vuole». La sua voce pacata mi alterò.
«Lei scherzerà, devo assolutamente mettere migliaia di chilometri fra me e questa città, questa casa, è una questione di vita o di morte. Faccia il possibile. Parta!». La mia ansia si tagliava a fette.
Il tassista mi guardò, questa volta dallo specchietto retrovisore. «Lo sa che ci sono più di 60 chilometri? Anche facendo l’autostrada, con il traffico e la pioggia…». La sua voce era calma, cercava di convincermi.
«La pagherò il doppio, il triplo, devo prendere quell’aereo. Devo fuggire, altrimenti…».
«Signora, ma è un suicidio, mi toglieranno la patente!».
Questa volta gridai, disperata, tutta la mia rabbia e la mia paura. «Corra, è una questione di vita o di morte, ha capito? Non posso restare qui!».
Il tassista ammutolì. Si passò una mano fra i capelli e si aggiustò la cintura. Inspirò forte e con rumore. Disse solo: «Bene. Si leghi».
Al semaforo partì sgommando e si diresse velocissimo verso l’autostrada.
Vedevo passare, dal finestrino a fianco, solo delle cose colorate, non distinguevo nessuna forma. Mi venne la nausea. Il taxi era in perenne corsia di sorpasso. Cominciò a battermi il cuore sempre più forte. Mi coprii gli occhi con le mani per non vedere nulla, l’auto cominciò prima a sbandare lievemente, poi, a ogni pozzanghera, sempre di più. I camion che sorpassava spruzzavano secchiate d’acqua sul taxi. Il tergicristallo faticava a mantenere pulito il vetro.
Il tassista taceva. A me venne quasi da vomitare, mi girava tutto e annusai l’odore della fine. Mi arrotolai sotto al sedile e cominciai a piagnucolare e a dondolare. Non guardavo neppure più l’orologio. Mi premevo le tempie con le mani. «Basta, si fermi…» dissi con un filo di voce. Ma troppo piano per farmi sentire. Io non vedevo nulla, occhi stretti e la pancia mi tremava. Cercai di girarmi affinché il tassista potesse sentirmi. «Basta! Basta! Rallenti! Con chi sono capitata! Lei è pazzo!». Gridai davvero. Non ottenni nessun cambiamento, nessuna parola. La macchina era lanciata e sorpassava le altre auto a destra, lo sentivo dallo sbandamento, dai clacson. «Non importa più, la pago il doppio, il triplo, si fermi!». Il tassista non rallentava. Mi tirai su, mi sedetti, tutto mi girava attorno peggio di una trottola. «Non sono un suo ostaggio, lei non mi ha rapito, sono salita di mia volontà, ora si fermi, lei è solo un tassista, non un pilota di Formula uno, questa è un’autostrada. Si fermi!».
Vidi in lontananza il cartello telepass, in un attimo passammo sotto alla sbarra, sfiorandola. Mi rannicchiai, mi feci piccola piccola. «La prego… io avevo detto così per dire, è lo stesso se perdo l’aereo, ne prendo un altro, la prego…». Il tassista tolse il piede dall’acceleratore, l’auto cominciò a perdere velocità. Si spostò sulla destra e poi si fermò in un parcheggio. Il mio respiro era affannato, la bocca contratta. Il volto del tassista era un altro. Diverso da come l’avevo visto prima. Teso, gli occhi ardenti e le tempie pulsavano visibilmente. Un animale braccato io, lui il cacciatore. Appoggiai il peso della schiena alla spalliera in modo da essere più lontana dal suo volto. Il suo respiro era caldo, lo buttava fuori a soffiate pesanti. I suoi denti erano gialli dal fumo. Tolse le mani dal volante e si girò. Ero terrorizzata ancora più di prima. I suoi occhi minacciosi mi fecero pensare a un assassino, cercai di fuggire ma la portiera era chiusa.
Puntò il dito vicinissimo al mio naso:
«Lei a me non deve dire prima “è una questione di vita o di morte” e dopo “fa lo stesso”. Cosa crede…» alzò ancora di più il tono della voce. «Lei non può gridare a me una cosa così, e poi piagnucolare. Le ho forse chiesto il perché? Fatti suoi. Ha capito bene? Cosa ne sa lei della morte? Cosa ne sa per dire così a me?». Era furente. La sua voce usciva a fiotti, teneva i pugni alti. Poi si girò di nuovo verso la strada, si slacciò la cintura di sicurezza.
«Volevo solo prendere quell’aereo a tutti i costi, è vero, ma non così…» gli dissi tenendomi le mani sul volto.
«A me non potete dirmi le cose e poi… cosa crede, cosa crede… che sia un burattino! È una vita che aspetto che qualcuno salga sul mio taxi e mi dica: “insegua quell’auto, a tutta velocità, è una questione di vita o di morte”, io… è una vita che lo sento solo nei telefilm. Sto per andare in pensione e poi sale lei, grida, minaccia, ok, andiamo in aeroporto, ecco l’occasione per dimostrare che sono un gran pilota, che ho coraggio da vendere, che ho fegato io, e lei… e lei piagnucola: si fermi… è una questione di vita o di morte, magari ha solo litigato con il marito… cosa crede, l’ostaggio… vada via, esca, corra a prendere il suo aereo, fa in tempo, sa, e non voglio essere pagato, non importa, vada, fugga via…».
Non riuscii a parlare. Guardai l’orologio: ci aveva impiegato molto meno di un’ora.
Aprii lo sportello. Le gambe mi avrebbero retto?
Sentii in lontananza la sirena della polizia. Scesi e mentre mi avvicinavo all’entrata vidi il tassista scendere dall’auto, appoggiarsi alla portiera e accendersi una sigaretta. I poliziotti accostarono. Li accolse con un solo cenno del capo.

Roberta Giacometti

Chi è
Quarantenne insegnante imolese, Roberta Giacometti è solita “leggere” e far conoscere nelle osterie e nei circoli culturali romagnoli la sua lunga serie di racconti (Lavori in corso), incentrati su donne e figurine umane maschili colte nel loro mestiere.

(direfarescrivere, anno II, n. 3, febbraio 2006)
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