Anno XXI, n. 231
maggio 2025
 
Questioni di editoria
La scrittura creativa:
i segreti in un libro
Scrittori e narrazione efficace.
A tessere una storia si impara
di Stefania Marchitelli
Prima o dopo, molti di noi hanno qualcosa da raccontare, e le idee possono anche essere eccezionali, ma scrivere la storia su carta non è così facile, perché a volte quello che inizialmente sembrava originale, diventa ordinario una volta messo nero su bianco.
La migliore narrativa è quella che riesce a toccarci in profondità, è quella che cattura l’immaginazione dei lettori nella realtà della storia – come Alice che attraversa lo specchio magico – e li coinvolge e li appassiona come se fosse vita reale.
Per creare ciò gli scrittori usano, oltre al talento, anche una grande quantità di tecniche. È impossibile, infatti, scrivere senza conoscere le basi della narrativa, le strutture e lo sviluppo dei personaggi: senza questi si possono redigere anche mille pagine ma non è detto che si abbia una storia. Non basta avere una buona idea, non basta voler scrivere, bisogna saper scrivere. Per costringere il lettore ad arrivare all’ultima pagina è necessario conoscere i mezzi e gli elementi strutturali che sorreggono una storia.
Jessica P. Morrel con Master di scrittura creativa (Dino Audino editore, pp. 176, € 19,00) consegna una “cassetta per gli attrezzi” a chi vuole diventare uno scrittore capace di fare quel salto di qualità necessario per riuscire a esprimere le proprie emozioni, creando un rapporto empatico con il lettore.

Gli ingredienti necessari per costruire una storia
La scrittura creativa si può in un certo senso paragonare alla preparazione di un piatto elaborato da parte di un grande cuoco. Anche lui, come uno scrittore, deve gestire diversi elementi, sapori, colori, prima singolarmente e poi insieme, per ottenere l’effetto finale. Gli elementi della narrativa sono come degli ingredienti: se non si aggiunge quello giusto al momento giusto, il risultato è rovinato.
Uno dei primi elementi necessari per una narrativa di successo è l’equilibrio della storia. Ogni scena deve avere la sua forza e funzione, non deve mai essere usata come riempitivo. Tre sono le componenti principali che influiscono sull’equilibrio: lo sviluppo della trama, lo sviluppo dei personaggi e l’ambientazione.
Di solito la narrativa si apre con un disequilibrio; c’è un problema centrale, attorno al quale si sviluppa la trama e una serie di complicazioni di difficile soluzione da parte del protagonista. I personaggi devono svilupparsi attraverso i dialoghi, il passato, il loro mondo interiore; se i personaggi non crescono e non cambiano nell’arco della storia, quest’ultima mancherà di equilibrio.
Le storie esplorano le vite dei personaggi e la maggior parte della narrativa ruota attorno a quello che viene chiamato l’arco di trasformazione di un personaggio. Se il protagonista alla fine di un racconto o di un romanzo è la stessa persona che era all’inizio, vuol dire che non c’è storia. L’arco di trasformazione è un viaggio fatto di comprensione, epifanie e rivelazioni; un personaggio deve muoversi e cambiare, altrimenti non è interessante, non ha tridimensionalità.
Anche l’ambientazione racconta molto dei protagonisti: i particolari svelano i gusti, la personalità, lo stato d’animo… Una pila di piatti sporchi, un mucchio di lettere vecchie, vestiti buttati su una sedia, una birra aperta da giorni, una libreria ordinata sono indizi rivelatori.
Altro ingrediente fondamentale è l’empatia del lettore. Il coinvolgimento di chi legge si ha se questi riesce a credere nella storia sin dalle prime righe. Il compito dello scrittore, quindi, è quello di creare un mondo talmente coinvolgente che, quando il lettore è alla prima pagina, la realtà svanisce. Allo stesso modo, durante la lettura aumenta l’empatia per quei personaggi che vivono in luoghi verosimili e devono affrontare problemi complessi. Quando si inizia a conoscere un personaggio che in quella circostanza affronta una fase di sofferenza, il lettore sperimenta un momento di introspezione di introspezione, e così entra nelle pagine. È importante però che lo scrittore conosca a fondo i personaggi che crea: deve sapere il motivo dei loro gesti, perché solo così saranno credibili. Se lo scrittore per primo non li conosce, non riusciranno a farlo nemmeno i lettori. Chi legge deve avere la sensazione di essere entrato completamente nell’intimità del personaggio, deve sapere cosa c’è nel suo armadio, conoscere la sua maschera davanti agli amici e le sue espressioni quando è solo, come fa l’amore e come pensa. Chi scrive deve offrire tutto ciò avendo bene in mente il noto ammonimento show, don’t tell: il lettore va catturato con esempi concreti, si deve essere in grado di mostrare le cose con scene importanti, non raccontare in modo didascalico. Ciò richiede una scrittura non astratta e quindi la stimolazione di almeno uno dei cinque sensi. Ad esempio, se devo parlare di un personaggio che sta per suicidarsi, non lo racconterò ma lo mostrerò, magari con l’immagine di un uomo che bacia la sua pistola; oppure se un personaggio che vive in un luogo molto freddo è appena entrato a casa, potrò farlo vedere parlando dell’aria fredda che porta con sé chiudendo la porta.
Ogni protagonista deve avere, ovviamente, il suo antagonista. La buona narrativa è composta da grandi dilemmi e avversità che si manifestano sotto forma sia di ostacoli interni sia di conflitti interiori. Gli ostacoli possono essere degli oggetti, delle prove con se stessi, o possono prendere la forma di una persona, l’antagonista appunto. È importante che ci sia il conflitto, perché senza conflitto non c’è storia. A volte a dare vita al dissidio sono i difetti del protagonista; nella storia, come nella vita reale, le persone agiscono in base all’idea che hanno di sé, anche se questa poi è in contrasto con la realtà dei fatti. A questo punto verranno introdotte dallo scrittore epifanie e rivelazioni che costringeranno il personaggio a cambiare direzione alla sua vita.

Un buon inizio, i colpi di scena e il meritato finale
L’inizio di una storia è molto importante, sia che si tratti di un thriller sia che si tratti di una storia d’amore: deve essere avvincente, irresistibile, deve costringere il lettore a girare pagina. Gli avvenimenti le scene, i capitoli non possono semplicemente iniziare, devono subito “risucchiare” dentro la storia. Bisogna pensare a un incipit come a un temporale estivo. Alcuni incipit portano subito dentro l’azione, altri iniziano con l’arrivo dei tuoni. Altre volte si comincia con la situazione che precede la tempesta, l’insopportabile umidità, lo strano colore del cielo, l’aria pesante e densa. Spesso questi inizi lasciano presagire cosa accadrà. L’inizio mostra che il cambiamento è inevitabile, ma la parte centrale della storia deve comprovarlo.
Jessica P. Morrel spazia, a questo punto, dalla scrittura dei prologhi ai problemi di ritmo, dalla cura dei dettagli agli errori da evitare, dalla costruzione dei colpi di scena al cliffhanger, il gancio che serve per chiudere una scena in modo da catturare il pubblico per portarlo a proseguire con trepidazione. I colpi di scena servono per aumentare la tensione, complicano il raggiungimento dell’obiettivo, incuriosiscono il lettore su cosa succederà. Morrel sottolinea come sia importante che la tensione venga sempre collegata in tutti gli aspetti della storia, ma non bisogna confonderla con la suspense: questa infatti serve a creare ansia, la tensione invece è quell’inquietudine che sta sempre sotto la superficie di ogni pagina, varia di intensità e unita al conflitto serve per controllare e cambiare il livello emotivo di ogni scena.
Una storia deve emozionare il lettore, farlo sussultare. Diversamente dalla vita reale, dove le persone di solito evitano i conflitti e le sofferenze, le parti migliori di una storia sono quelle in cui i personaggi hanno problemi terribili.
La parte centrale della storia è come un lungo ponte che unisce l’inizio alla fine. Un buon finale è importante quanto un buon incipit, poiché il successo di una storia dipende dalla conclusione.
John Gardner diceva: «Un romanzo è come una sinfonia in cui il movimento di chiusura deve riecheggiare tutto quello che è accaduto prima […]. Il romanzo esiste in funzione di questa chiusura orchestrale. Se questa chiusura non c’è, per qualsiasi ragione teoricamente giusta, chiudiamo il libro con un senso di insoddisfazione, come se ci avesse tradito». Il finale può anche essere tragico, violento, sereno, può chiudere i conti con il passato, può chiudere tutti gli interrogativi della trama o lasciare in sospeso alcune sottotrame e suggerire cosa succederà in futuro, gettare le basi per un seguito, può essere ambiguo ma deve mantenere le promesse della storia, non deve mai confondere il lettore. Questo punto è importante: la conclusione deve far sì che chi legge non si senta tradito.

Stefania Marchitelli

(direfarescrivere, anno VIII, n. 73, gennaio 2012)
 
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