Libro. Dal latino liber-libri, termine che originariamente designava la scorza interna dell’albero, che disseccata veniva utilizzata, in età antica, come materiale scrittorio. Solo successivamente, la parola venne a indicare un complesso di fogli, cuciti insieme, tale da formare un volume.
Dunque, il libro è un oggetto. Ma sappiamo che, di fronte all’oggetto in questione, ci allontaniamo dal mondo razionale e, per uno strano caso comportamentale, ci immergiamo in un’altra realtà, frutto dell’astrazione più pura. Difficile far coincidere immaginazione e tangibilità. Problema emblematico per ogni casa editrice dinanzi alla pubblicazione di un testo.
Insita nella definizione stessa di impresa culturale, c’è una contraddizione: la cultura è un bisogno dell’uomo connesso esclusivamente alle sue cognizioni intellettuali e spirituali, senza risvolti economici apparenti. Eppure l’editore è un impresario. Ha delle spese da sostenere e un guadagno da ottenere. Fantasia ed economia, pensieri volanti in libri come oggetti. Niente di più complesso e imprevedibile. Ogni libro ha il suo corso, il suo destino. La sua produzione non prevede nessuna catena di montaggio automatizzata.
Tutto questo in I libri sono figli ribelli. Tappe e segreti dell’avventura editoriale, a cura di Giulio Perrone e Paolo Di Paolo (Giulio Perrone editore, pp. 172). Non è un manuale di redazione ma proprio dalla redazione di un testo prende avvio, per spiegare le modalità e gli strani meccanismi di diffusione e successo di un’opera. Percorsi a ritroso, il cui destinatario, se non addirittura protagonista, è il lettore. Si tratta di transfert di pensieri, parole. A fare da intermediario è l’editore che, ribadiamo, deve dar conto a un possibile ricavo economico, per sopravvivere. Ampio dilemma.
Dal mondo verbale a quello editoriale
«E non è forse proprio là fuori – nel mondo vissuto o vivibile – che sta l’inizio prima dell’inizio?», dicono gli autori. Il primo passo verso la parola scritta è la realtà, pensata e ponderata, riflessa prima negli occhi e poi nell’anima. Tutto, successivamente, si catapulta su quella prima pagina bianca: inizio di un romanzo, di una novella, di una poesia.
Da sfuggenti e indefiniti, gli attimi di un tempo passato o presente, diventano immobili ed eterni, su pagine condensate di fatica, concentrazione, ripensamenti. Da fogli sfusi e illogici “compare” il libro. E da qui inizia l’avventura. Il desiderio di comunicare ad altri le proprie parole, attraverso la diffusione della propria opera, rende gli scrittori fulgidi ma anche fragili avventurieri nel mondo editoriale.
Si vive di soddisfazioni e paure, speranze e sconforti: «Tanto l’editoria è legata alle relazioni umane che risulta impossibile parlarne senza tenere in conto sbalzi d’umore, ostinazioni, affinità elettive. C’è tuttavia un aspetto che, perfino dopo aver acquisito un po’ di saggezza e disincanto, si continua a ritenere essenziale, nella vita come nell’editoria. L’imprevedibilità dei destini».
Il successo arriva, a volte, per i testi più “deboli” in contrapposizione a quelli la cui arroganza presuppone una pubblicazione che, in realtà, mai avverrà. Autori ed editori sono genitori, quindi, di libri come figli ribelli, poiché è raro che assecondino le aspettative. Se l’immaginario legato all’autore lo rappresenta chiuso in una stanza buia, impregnata dell’odore di libri vecchi che portano le tracce di consunte mani, da sempre in preda alla smania di possedere una penna per non lasciar svanire sottigliezze così essenziali nella trama dell’esistenza, difficile e meno comune è definire l’immagine dell’editore. Chi è, una sorta di mecenate culturale?
Ai nostri tempi, scrivono Paolo Di Paolo e Giulio Perrone, è un «manager che gestisce imprese miliardarie». Amara realtà? Soldi che subordinano arte e piacere della qualità.
La storia delle grandi case editrici del XX secolo (si pensi a Einaudi) è intrisa di pubblicazioni scaturite da entusiasmo, carisma, dalla volontà di dar vita a opere stravolgenti e non a fantomatiche novità letterarie. Perciò, da una parte, l’editore “puro”, alla ricerca della qualità del prodotto, che pensa poco alla sua vendibilità. Dall’altra, l’editore “industriale”, che si muove in una logica di mercato, seguendo i gusti del pubblico. L’editore perfetto? «Un artista commerciante», dice Gobetti.
Vi è una missione dietro questo lavoro, che si tratti di grandi, medie e piccole case editrici: «dire qualcosa attraverso i propri libri, immortalare i traguardi della cultura e subito superarli, alla ricerca delle esigenze ancora latenti nel pubblico dei lettori».
Un solo presupposto: non c’è editore senza letteratura. Sulla scrivania il Sole 24 ore, negli scaffali della propria libreria numerosi volumi.
Controversi componenti professionali e materiali
Per passare dal manoscritto al libro, molteplici sono gli aspetti da prendere in considerazione: dalla redazione, alla correzione, fino alla scelta della carta e della grafica.
I libri sono figli ribelli approfondisce le varie fasi di creazione in modo preciso, sottile ma mai pedante. Arricchisce i contenuti con interviste e interventi dal taglio leggero e spesso umoristico. Una scrittura eclettica, così come dovrebbero essere le figure professionali all’interno di una casa editrice.
Ne è un esempio l’editor. Il suo lavoro consiste nel perfezionamento del testo, senza creare inceppi alla fantasia e creatività dello scrittore: una sorta di potenziale tecnico e formale, che con gli anni, nonostante numerose critiche, riveste l’ufficialità meritata. Esistono diversi livelli d’intervento: “editing formale” se si tratta di modifiche non sostanziali, che riguardano sostantivi, aggettivi, avverbi, punteggiatura, eccetera; “editing sostanziale” nel caso di cambiamenti sulla trama o sui personaggi. «Punto cruciale dell’editing, linea sottile che divide l’editing formale da quello sostanziale, è la necessità di riconoscere e distinguere l’errore dalla trasgressione, la volontà dalla svista, l’originalità dalla copia».
Fra autore ed editor deve esserci intesa, empatia culturale e letteraria. Senza di essa, l’editing non è un potenziale, bensì una mera attività di invadente modifica: in questo brillante e versatile testo, vengono riportati esempi eclatanti di opere che, senza i necessari tagli da parte di editor, non sarebbero diventati esemplari della letteratura novecentesca, come Terra desolata di Thomas Eliot, in cui le modifiche da parte di Ezra Pound furono fondamentali. Tant’è che lo scrittore gli dedicò la sua opera, identificando il poeta con la famosa espressione dantesca “Il miglior fabbro”.
Come la figura dell’editor appare un’aggiunta, quasi una trasgressione alla tradizione letteraria, che vuole gli scrittori come solitari, profondamente ispirati e abili, così gli ebook sembrano contravvenire all’immagine usuale del mondo editoriale.
Si oltrepassa la carta, si arriva a libri-schermo, le cui pagine si sfogliano con un click. Ancora non ve n’è una vasta diffusione: il desiderio dell’odore di inchiostro, che si rivelerà poi di colla, a uno sguardo più razionale, è impresso nelle narici di chi ama volgere il proprio sguardo a copertine, frontespizi, indici, per curiosare con occhi vivi la struttura del testo, per poi immergervisi.
Ma anche l’ebook non può che essere un potenziale. Per un lettore forte, considerevole è la possibilità di portare con sé metà della sua biblioteca in viaggio, attraverso un solo apparecchio.
Tutto il resto è attaccamento alla decadente visione di lettore, in contrapposizione a un ventunesimo secolo che sembra sparga dinamismo anche nella letteratura.
Un arduo essere ribelle
Giulio Perrone e Paolo Di Paolo ripercorrono, così, le tappe e i segreti dell’avventura editoriale. Un lungo processo che parte da una stanzetta che sa di «scantinato» fino ad arrivare alla sede di case editrici, il cui rumore dei passi nevrotici di editori, direttori, editor, traduttori, correttori, impaginatori, altro non è che la voce snervata di parole che gridano all’unisono il loro desiderio a essere pubblicate. Per essere condivise da terzi, dai lettori, per l’appunto.
I libri sono ribelli, perché le parole sono complesse. Basta dire che nascono dall’immaginazione che, a sua volta, scaturisce dalla realtà. E la loro proiezione si riversa sul pubblico.
Un testo tecnico come questo, ma nella veste informale di molteplici chiacchierate con editori e uomini di cultura, può fornirci un’idea realistica di come da una parola nasca un manoscritto, da un manoscritto si generi un libro, da un libro prendano vita migliaia di copie.
Senza editoria, la letteratura cosa sarebbe? Solo un covo di archivi e pochi esemplari, per professionisti.
Francesca Ielpo
(direfarescrivere, anno VII, n. 72, dicembre 2011) |