La maggior parte della gente che legge è portata a pensare che il deus ex machina incontrastato del libro sia lo scrittore, e chiaramente ciò è vero; chi è più inoltrato nel mestiere, però, sa per certo che nella creazione di un libro concorrono più voci, dove la “prima voce” è senza dubbio l’autore che partorisce l’idea, a cui successivamente si aggiungono l’editor che corregge le bozze del testo, la casa editrice che ha il compito di pubblicare e promuovere il libro, ecc.
Ad un livello superiore – quasi nascosto e “astratto”, per certi versi – abbiamo degli studiosi che dibattono sulla natura bibliografica del testo, pronti a sviscerarlo in tutte le sue parti; alcuni di questi bibliografi fanno anche di più: analizzano quelli che possono essere gli aspetti sociologici di un testo e, applicandoli alla bibliografia, giungono alla conclusione che anche il lettore ha la sua parte nell’interpretazione di un libro.
Questo è soltanto uno dei molteplici temi che Donald F. McKenzie tocca nel suo celebre – ma poco noto in Italia – Bibliografia e sociologia dei testi (Edizioni Sylvestre Bonnard, pp. 136, € 15,00).
L’obiettivo di McKenzie è semplice: ridefinire i canoni della bibliografia, allargandoli e aggiornandoli per il nuovo millennio.
Esiste davvero un legame tra bibliografia e sociologia?
Bibliografia e sociologia dei testi nasce dal primo ciclo di conferenze – con tema la bibliografia in tutti i suoi aspetti – delle Panizzi Lectures (da Sir Antonio Panizzi, direttore della British Library nel 1856 nonché ideatore del concetto moderno di biblioteca nazionale di ricerca): tale conferenza venne tenuta nel 1985 proprio da McKenzie, uno dei più importanti bibliografi e bibliologi del secolo scorso. Nel 1986, il dibattito venne “immortalato” nell’opera oggetto di questa recensione; in essa – nei tre capitoli intitolati Il libro come forma espressiva, La fiala infranta: i testi non-libri e La dialettica della bibliografia di oggi – McKenzie propone un’alternativa al concetto “classico” e imperante di bibliografia, svelando nessi tra storia, linguaggio e cultura.
Secondo il celebre bibliografo Sir Walter Greg «[…] ciò di cui si occupa il bibliografo sono pezzi di carta o di pergamena coperti da certi segni scritti o stampati. E questi segni il bibliografo li considera puramente arbitrari; il loro significato non è affar suo»; McKenzie non è propriamente della stessa idea, e propone di contro una “sociologia dei testi” atta ad abbattere i rigidi schemi della bibliografia classica: una sociologia che non tralascia nessun elemento e che dilata il concetto di testo.
Per l’autore la bibliografia non dovrà riguardare soltanto la riproduzione del testo nelle differenti versioni, ma dovrà anche saper osservare tutto ciò che circonda la “storia” di un libro: le esigenze politiche, sociali ed economiche del tempo di pubblicazione, perché un testo è stato scritto in una certa maniera, perché invece è stato riscritto, ecc.
Da qui, la bibliografia viene appunto intesa come una “sociologia dei testi”, perché: «ogni società riscrive il proprio passato, ogni lettore ne riscrive i testi e, nella misura in cui questi continuano a vivere, a un certo momento ogni stampatore li ridisegna».
Con ciò quello che vuole intendere l’autore è semplice: la bibliografia non può e non deve essere una semplice riproduzione di “dati”, ma deve anche dar “voce” a quei dati, offrirne una collocazione temporale e spaziale: «la bibliografia come sociologia dei testi ha un potere quale non ha alcun’altra disciplina nel risuscitare gli autori calati nelle loro epoche, e i loro lettori di ogni tempo».
Il testo nelle sue molteplici forme
È dal testo che parte, quindi, la “rivoluzione” di McKenzie, in quanto i concetti che questi introduce nella sua opera ruotano tutti intorno ad esso: il testo fa sempre parte di un contesto simbolico, e non è legato soltanto allo scrivere in sé. Ci sono quelli che l’autore chiama “non-libri”, i quali mobilitano le risorse del linguaggio pur non appartenendo comunque al mezzo della stampa: fotografie, immagini, mappe, film, programmi informatici, ecc. Sono tutti testi, pur non avvalendosi del linguaggio verbale in forma scritta.
Partendo da questa concezione, è chiaro che si possa parlare di forme testuali diverse, vale a dire: il canto, la rappresentazione teatrale, la radio, i film, la tv, i videoclip musicali, e così via. Sono tutte forme testuali in quanto portatrici di significato; si differenziano per le peculiari modalità di esecuzione di ciascuna.
Con estrema originalità, McKenzie formula perciò un problema che riguarda sia la bibliografia che la sociologia: quello concernente la produzione del senso e del significato, i quali scaturiscono dai rapporti tra forme e interpretazioni.
L’interpretazione, perciò, svolge un ruolo centrale nella teoria di Mckenzie. Egli ritiene che sia impossibile non fare i conti con il lettore, il quale inevitabilmente crea il suo di “significato”: secondo l’autore neozelandese, nessuna storia del libro e nessuna bibliografia può sottrarsi al fatto che che le diverse e varie “letture” siano generatrici, ciascuna, di “nuovi” significati.
Costruire una migliore bibliografia
Bibliografia e sociologia dei testi risulta essere un lucidissimo studio che pone in maniera emblematica svariate riflessioni sugli usi sociali della scrittura. Ciò viene realizzato attraverso le analisi di vari pensatori: si va dalla filosofia (con Hobbes, Locke, Platone) alla semiotica (con Barthes e Todorov), ai classici della letteratura inglese (con Milton, Shakespeare e Spencer) ai contemporanei (come Eco e Stoppard), tenendo conto anche delle riflessioni sul cinema di Woody Allen, delle analisi sul capolavoro di Orson Welles, Quarto Potere, e sull’Ulisse, di James Joyce.
In conclusione, l’autore – sforzandosi di creare una nuova bibliografia – discute di una “biblioteca” dove non vi sono soltanto libri, ma anche tutti quei testi che si avvalgono di tecniche moderne.
Per McKenzie allora, il libro non sarà soltanto un “oggetto” statico e polveroso, ma dinamico e in continuo divenire, con qualità differenti e dalle potenzialità infinite.
Giuseppe Pulvirenti
(direfarescrivere, anno VII, n. 66, giugno 2011) |