Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
Questioni di editoria
Un originale saggio
su editoria e futuro
Dall’artigianato alla telematica.
Da edizioni Sylvestre Bonnard
di Luciana Rossi
Può un saggio sull’editoria scritto ben dieci anni fa negli Stati Uniti d’America considerarsi obsoleto? Oppure esso può portare tuttora considerazioni di interesse per chi lavora in questo settore oggi e nel nostro paese e stimolare a riflettere su istanze ancora di piena attualità? È quest’ultimo il caso del libro del redattore ed editore Jason Epstein Il futuro di un mestiere. Libri reali e libri virtuali (edizioni Sylvestre Bonnard, pp. 128, € 17,00), una testimonianza “dall’interno” del mondo dell’editoria e, allo stesso tempo, un’interessante e leggera autobiografia che muove i suoi passi tra episodi di vita e aneddoti, rapide incursioni nella Storia contemporanea e valutazioni spassionate – ma appassionate! – sulle trasformazioni della professione di editore e del mercato negli ultimi cinquant’anni.
Considerato il gap culturale – o per meglio dire, relativo alla “cultura dei consumi” – che ci separa dagli Stati Uniti d’America, e fatte salve le legittime diversità nella struttura del mercato che tipicamente differenziano un lembo di penisola ad alta densità abitativa – quale è l’Italia – da un paese caratterizzato da grandi estensioni, di cui non poche desertiche – come gli Usa – non si può negare che molte considerazioni sono del tutto applicabili alla realtà editoriale odierna. Lo dimostra il fatto che alcuni temi presenti in questo libro sono stati oggetto di dibattito e di approfondimento negli incontri del settore professionale dell’ultima Fiera della piccola e media editoria “Più libri più liberi” a Roma a dicembre 2010. Un esempio per tutti: l’ebook. Quale diffusione è ipotizzabile per questo controverso, odiato-o-amato, “oggetto del desiderio”? E in che modo questa innovazione tecnologica è destinata a cambiare lo scenario della fruizione e della distribuzione dei libri? Che fine faranno gli editori? E le librerie, specialmente quelle sparse capillarmente sul territorio?

“Tempi moderni”
Queste e altre analoghe domande serpeggiano attraverso la narrazione di Epstein dei suoi quasi cinquant’anni spesi nel mondo dell’editoria dal 1958 al 2000. Anni spesi, come l’autore stesso confida, sentendosi sempre in qualche modo provvisorio, in attesa della propria vera occasione, anzi sempre sul procinto di spiccare il volo per cogliere l’opportunità di fare ciò che desiderava da sempre: lo scrittore. La sorte lo aveva voluto però dall’altra parte della barricata, pardon… della scrivania.
Anni spesi, tuttavia, sempre a detta dell’autore, in mezzo a un tumulto di idee creative, di entusiasmi, di condivisione e di solidarietà e costellati di relazioni interessanti, a contatto con alcuni personaggi che saranno poi figure di spicco della letteratura americana (William Faulkner, Andy Warhol, per citarne due, ma si parla anche di Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Vladimir Nabokov, ecc.), autori quasi leggendari, inquadrati in una prospettiva “pionieristica” di un mestiere sorto più per passione che per lucro.
Un timbro, osiamo dire, che caratterizza a tutt’oggi molte case editrici, specialmente quelle piccole e medie: spesso aziende familiari dalla lunga tradizione, altre volte giovani realtà originate proprio dalla voglia di “avere voce” in campo. In molte di queste, lungi dall’arricchirsi, si lotta per la sopravvivenza economica – e non sempre si vince, purtroppo, a scapito del tasso di occupazione del paese – e si lotta per mantenere, oltre a un “corpo fisico” – metaforicamente parlando – un’identità, una personalità.
Per contro, i “giganti”, i raggruppamenti di aziende o i grandi distributori, o le grandi catene di librerie si mangiano il mercato e anche i “pesci piccoli”. Un fenomeno che negli Usa si è verificato prima che da noi, facilitato dalla concentrazione dei negozi nei grandi centri commerciali, isole nel deserto in quella realtà, ma sempre di più “isole di possibilità” nel nostro paese, dove i ritmi serrati della vita impediscono sovente a molte famiglie italiane di frequentare negozi di altro genere o di fare spese al di fuori dei weekend. Un imbarbarimento? Un’alienazione? Forse, ma sta di fatto che (fin troppo) spesso il mercato americano si è rivelato un precursore di abitudini di consumo che si sono poi radicate nelle nostre città e paesi.

Arte o calcolo?
Arte o calcolo? Ogni editore-imprenditore sa bene che, al di là delle illusioni, occorre trovare una mediazione tra questi due elementi. È proprio lì che si vede il “fiuto” di un editore, capace di fare scouting di talenti ma anche di ascoltare e anticipare i gusti e le tendenze del pubblico dei lettori e – per estensione – della società; capace di sostenere le nuove idee con i profitti di un catalogo solido e duraturo, di bilanciare rischi e strategie conservative in un ambiente concorrenziale e in un mercato spesso inafferrabile in rapida trasformazione in cui, come in quasi tutti i settori commerciali d’altronde, la commistione di interessi e di soggetti diversificati è sempre crescente.
Decisioni non ovvie e non facili, ad esempio: quali contenuti culturali e di quale livello può (o “dovrebbe”) veicolare una collana di libri “tascabili”, cioè di formato economico? A quale fascia di pubblico dovrebbe rivolgersi?
Jason Epstein, ispiratore della collana di tascabili Anchor books, nonché ideatore e fondatore (insieme ad altri) della rivista letteraria New York Review of Books, svela in questo libro molte delle considerazioni e riflessioni che hanno guidato negli anni le sue scelte. Uno dei meriti di questo testo è proprio, a nostro avviso, quello di fornire in modo leggero e colloquiale, nella forma vivida di una testimonianza di vita professionale, uno sguardo “a tutto tondo” sulla filiera del libro, non tralasciando le istanze economiche e amministrative di gestione.

“Pillole” di futuro
«Le nuove tecnologie muteranno radicalmente il modo in cui i libri sono distribuiti, ma non elimineranno la sostanza del lavoro editoriale. I manoscritti si trasformano in libri solo attraverso il lavoro manuale, un passo alla volta. È un lavoro che può richiedere anni, anni in cui l’autore costruisce il manoscritto con l’aiuto degli editor […] A parte il vantaggio (ammesso che lo sia) del computer rispetto alla macchina per scrivere e al calamaio, le nuove tecnologie non semplificheranno né miglioreranno questo processo, che spesso richiede la stessa improvvisazione della scrittura stessa. La decisione di accettare o respingere un manoscritto, le strategie di revisione e di pubblicità, la scelta dell’impostazione grafica e dei caratteri una volta che sia stato prodotto un manoscritto finalmente soddisfacente, il sostegno emotivo e finanziario degli autori: tutto ciò può essere fatto solo da esseri umani forniti delle peculiari qualità che costituiscono un bravo editore o redattore a prescindere da come l’ambiente tecnologico trasformi il resto del processo editoriale.»
L’affacciarsi sulla scena, rapido e per certi versi sorprendente, del World wide web e dell’uso esteso di Internet – cui era stato preludio e contraltare tecnologico la sempre crescente miniaturizzazione dei computer, anch’essa prodotta a ritmi velocissimi, insospettabili per i profani – lungi dal rappresentare una minaccia, potrebbe essere, secondo Epstein, un’opportunità, avvicinando gli autori ai loro lettori, mettendoli anzi praticamente in comunicazione diretta, senza mediatori, esposti in scaffali virtuali di dimensioni praticamente illimitate, raggiungibili con facilità da chiunque e da ovunque, in una sorta di ripristinata democrazia globale.
«La piazza del villaggio globale non sarà il paradiso. Sarà indisciplinata, polimorfa e poliglotta», conclude tuttavia l’autore, esprimendo però una sostanziale fiducia nella capacità di discernimento dell’essere umano. In questa piazza globale, egli ipotizza, gli editori, finalmente liberati da una serie di attività “materiali” divenute inutili, potranno dedicarsi ad altre di maggior valore intellettuale – supporto, pubblicità, progettazione grafica, digitalizzazione – per le quali le “economie di scala” hanno poco senso. Dall’artigianato alla telematica… e ritorno?

Luciana Rossi

(direfarescrivere, anno VII, n. 61, gennaio 2011)
 
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