Si è appena conclusa l’ultima edizione del festival Sciabaca dedicato ai viaggi e alle culture mediterranee, promosso dalla Rubbettino editore, programmato dal 19 al 22 settembre a Soveria Mannelli, la città in cui ha sede la casa editrice.
L’evento, giunto alla nona edizione, ha dato vita a un’immersione totale nella storia, nella letteratura, nell’arte e nella promozione e valorizzazione dei territori, attraverso la stesura di un nutrito calendario di appuntamenti, di dibattiti e percorsi attivi, in cui la diversificazione del pubblico – dalla partecipazioni delle scuole alla variegata platea di fini e motivati intellettuali – ne ha rappresentato e ne rappresenta, puntualmente, il volano attrattore e divulgatore di una cultura sana e dirompente.
La finalità dell’organizzatore
Le stesse parole pronunciate dall’ideatore, Florindo Rubbettino, editore dell’omonima casa editrice, già nota sul territorio nazionale e oltre, sono state chiare e polarizzate sull’obiettivo che si intende perseguire nel portare avanti la manifestazione: «Sciabaca è un momento di festa in cui libri, idee, territorio e cultura d’impresa dialogano insieme rendendo concreti e visibili gli ideali che hanno guidato l’agire della casa editrice in questi suoi 50 anni di storia. Un’impresa non è un’isola, potremmo dire parafrasando John Donne. C’è una parte visibile che è quella delle cose che produce ma ce n’è un’altra, altrettanto importante, che è fatta di legami, relazioni, di esempi e pratiche virtuose ma soprattutto di persone. Sono questi gli elementi che da un lato arricchiscono i territori dove le imprese operano e dall’altro queste ultime ne sono arricchite in un processo di continua osmosi. Ecco con Sciabaca vogliamo rendere evidente questo sottotesto. Per questo abbiamo scelto l’immagine della rete, della sciabaca, come si chiama al Sud. Il nostro festival vuole essere soprattutto anche un momento di connessione. Anche per questa ragione abbiamo voluto che si tenesse ogni anno all’inizio dell’autunno, quando l’estate è finita e tutto riappare nella sua luce consueta e più vera».
Parole illuminanti per una terra di Calabria che, diversamente da come viene presentata e rappresentata, non sempre coincidono con la verità fattuale ma, probabilmente, con interpretazioni partigiane intrise di narrazioni dominanti e non attraverso fonti storiche attendibili. A tal proposito va da sé prendere in esame la forbita programmazione intorno alla quale si è costruita la manifestazione.
Un calendario fitto di incontri speciali
Si è dato l’avvio al festival giorno 19 settembre con un talk dello scrittore e critico letterario Massimo Onofri, docente all’Università di Sassari, dal titolo Isolitudini. Per un atlante letterario delle isole e dei mari, come la sua ultima fatica letteraria. Per chi non fosse già addentrato sia nella lettura dei suoi testi che nell’impatto con il “personaggio”, Onofri risulterebbe piuttosto provocatorio e sibillino. «Un etrusco estinto nato per restare a terra», ecco la definizione che dà di sé stesso e, non finisce qui.
Continua la sua dissertazione, parlando di un viaggiatore di quel viaggiare da intendere come stanziale o peregrina meditazione, come faceva de Maistre del Viaggio intorno alla propria camera, denunciando l’appiattimento sul presente di questi tempi scialbi, da lui definiti «tempi rozzi». “Isolitudini” è di fatto la rappresentazione di se stesso ma nello stesso tempo parla di tanti altri, parla di Michele Cucco il suo segretario al quale lui nel libro aveva immaginato un viaggio in Sicilia e un incontro felice per un innamoramento, cosa che poi avvenne confermando «il fatto che se lo immagini avviene».
La letteratura come forma di inveramento della realtà che ancora non c’è, ma potrà esserci. Ricorda due suoi amici Antonello e Adriano, Adriano vendeva stufe a legna e qui nel libro è in un suo momento gioioso, e lo ricorda con affetto perché è scomparso improvvisamente per un infarto fulminante ed è stato ritrovato dopo alcuni giorni a casa sua dove viveva da solo: «Ricordiamo e conserviamo contro l’incessante opera di annientamento, per opporci all’opera di demolizione della storia». La storia è «una ruspa divoratrice», espressione montaliana a cui l’autore fa dei rimandi così come del suo mentore Bufalino. Specifica come il termine “isolitudine” sia un neologismo coniato da Gesualdo Bufalino per descrivere il sentimento che caratterizza il siciliano: «Isole dentro l’isola: questo è appunto lo stemma della nostra solitudine, che vorrei con vocabolo inesistente definire “isolitudine” – scrive Bufalino – ma poi aggiunge quella cortesia e apertura verso l’altro, l’ospitalità e la formalità, un fuori che compensa il dentro, ed impedisce il solipsismo».
Termina la sua esposizione affermando che i suoi viaggi sono stati come quelli di De Maistre, nella letteratura, ma anche ha visitato i luoghi di Melville, di Stevenson, Derek Walcott e con la lettura della poesia Arcipelaghi: «Alla fine di questa frase, comincerà la pioggia. All’orlo della pioggia, una vela. Lenta la vela perderà di vista le isole; in una foschia se ne andrà la fede nei porti di un’intera razza».
Onofri si conferma ancora una volta un fine e arguto intellettuale, il cui consenso plateale indiscusso tenderebbe a implementare e a consolidare positivamente un’estesa fetta di cultura vera, autentica e selezionata.
Fra i momenti successivi alla prima giornata, quelli svolti giorno 20 settembre, ricordiamo il workshop sul capolavoro di Herman Melville, Moby Dick tenuto dallo scrittore Amleto De Silva.
A seguire l’intervento del professore Mario Caligiuri, docente dell’Università della Calabria, il cui titolo è stato L’educazione, come difendersi dal potere, focalizzandosi sull’importanza dell’educazione come strumento di difesa dal rischio delle manipolazioni moderne, specialmente in un’epoca di disinformazione digitale. Durante l’intervento, ha sottolineato come l’educazione non debba solo trasmettere conoscenze, ma formare «menti ospitali», capaci di accogliere diverse prospettive senza omologarsi.
Caligiuri ha richiamato l’opera di Pier Paolo Pasolini, definito un «profeta» per la sua capacità di denunciare in anticipo i pericoli del consumismo e della società dell’informazione. Ha inoltre discusso i pericoli della polarizzazione politica e sociale causata dai social media, insistendo sulla necessità di un’educazione che promuova la consapevolezza critica e la creatività autonoma per resistere ai poteri occulti della tecnologia.
L’incontro ha anche toccato il ruolo degli insegnanti come guide ispiratrici in un’era di rapidi cambiamenti, evidenziando la tensione tra la velocità dell’informazione e i tempi necessari per un apprendimento profondo e significativo.
Sempre durante la prima giornata del festival, col giornalista Emilio Casalini si è svolto un incontro denominato Generazione Bellezza. Si è trattato di un talk sulle bellezze artistiche e culturali del Bel paese, ispirato all’omonimo programma televisivo di cui ne è autore e conduttore. Ha chiuso egregiamente questa seconda giornata monsignore Serafino Parisi, arcivescovo dell’Arcidiocesi di Lamezia Terme, con una lectio magistralis sul libro biblico dell’Apocalisse.
Le ultime due giornate di Sciabaca
Volendo offrire un resoconto che, per forza di cose, potrà essere molto semplificativo data la mole di eventi che hanno caratterizzato Sciabaca festival, risulta proficuo prendere le mosse da una serie di incontri che per scelte casuali hanno segnato maggiormente la manifestazione.
L’escursione del sabato mattina ha coinciso quest’anno con l’inaugurazione del "Sentiero delle storie", un percorso ad anello che corre lungo l’abitato di Soveria Mannelli e che si è arricchito, come ogni nuovo anno, di racconti, pensieri, riflessioni di scrittori, intellettuali e artisti.
Quest’anno l’avvio lo ha dato lo scrittore, cercatore di luoghi perduti e membro dell’“Ordine pedestre dei camminatori erranti”, Francesco Bevilacqua.
Sabato 21 settembre è stata sviluppata la lezione della storica Marta Petrusewicz, già docente ordinaria di Storia Moderna all’Unical, sul tema Come il meridione divenne una questione. La professoressa, durante il suo intervento, ha affrontato il tema summenzionato esplorando le dinamiche storiche, sociali e politiche che hanno contribuito alla creazione della cosiddetta “Questione meridionale” in Italia. Ha esaminato come il Sud Italia sia stato oggetto di discussioni e dibattiti fin dall’Unità d’Italia, e come le narrative di arretratezza e differenziazione siano state costruite e perpetuate nel tempo.
La stessa ha evidenziato il ruolo delle politiche statali, delle élite locali e della stampa nell’accentuare le divisioni tra Nord e Sud, soffermandosi su momenti chiave della storia italiana. Ha inoltre discusso l’importanza delle rappresentazioni culturali del Sud e come esse abbiano influenzato la percezione popolare e politica della “Questione meridionale”. Il suo intervento ha cercato di sfidare le visioni stereotipate, proponendo una rilettura critica del passato e un dialogo sulla condizione attuale del Meridione.
A seguire, la tradizionale lectio magistralis del sabato sera è stata affidata a Carmine Pinto, storico e docente all’Università di Salerno, che si è soffermato sul tema Brigantaggio, Nazione e Rivoluzione - Il Mezzogiorno nell’Unificazione italiana. Pinto ha dunque approfondito un tema cruciale della storia italiana, ossia il fenomeno del brigantaggio e il suo legame con l’unificazione del paese. Pinto ha analizzato il brigantaggio non solo come fenomeno criminale, ma come una forma di resistenza sociale e politica che ha coinvolto ampie fasce della popolazione meridionale in seguito all’Unità d’Italia.
Pinto ha iniziato prendendo in esame il contesto socio-politico del Meridione dell’epoca, caratterizzato da forti disuguaglianze, crisi economiche e il malcontento popolare verso il nuovo Stato unitario, che era percepito come un invasore da molte comunità rurali del Sud.
Nel citare la soppressione delle prime forme di brigantaggio si sottolinea sia come fossero legate intimamente al partito borbonico come brigantaggio politico, sia come vennero annientate nei successivi anni 1864-1865. Poi ci fu la cosiddetta “resistenza” del brigantaggio, durata quasi un decennio fino al 1874, momento nel quale, come afferma Pinto, vennero adottate delle misure straordinarie che colpirono paesi del Sud, tra i quali Soria Mannelli, e di come quella guerra venne cosiddetta “speciale”.
Dopodiché, il fenomeno diventa marginale anche perché si legò alla dinamica socio-storica del flusso emigratorio dell’Europa settentrionale che si ebbe negli anni che vanno dal 1890 al 1910. In seguito, la sua progressione ebbe una battuta d’arresto.
Dunque, Pinto ha esplorato come il brigantaggio sia stato influenzato da tensioni locali, ma anche come fosse collegato a movimenti più ampi di rivolta e resistenza, talvolta sostenuti da potenze straniere o ex borbonici.
Particolare attenzione è stata data al modo in cui la narrativa ufficiale dell’epoca ha etichettato i briganti come banditi e criminali, nascondendo dietro questa rappresentazione le vere motivazioni politiche e sociali. Pinto ha discusso le politiche repressive messe in atto dallo Stato italiano e come queste abbiano contribuito a radicare una frattura tra il Nord e il Sud, che ancora oggi ne determinano le dinamiche sociali e politiche del paese.
Il suo intervento ha offerto una visione complessa e sfumata del brigantaggio, proponendo una riflessione critica sulla costruzione dell’identità nazionale italiana e sulle difficoltà che il Sud ha affrontato nel processo di unificazione.
A conclusione della penultima giornata dei lavori, è seguito l’aperitivo letterario con lo scrittore Amleto De Silva Un cocktail di scemi, ispirato al romanzo, recentemente edito da Rubbettino, dal titolo Una banda di scemi.
Domenica 22 settembre è stata la giornata dedicata all’arte e al design. Si è iniziato al mattino con Contemporaneo Sud, al Lanificio Leo, con la partecipazione di Desina festival, Tower Art Museum (Tam), In-ruins, e si è conclusa con l’inaugurazione del terzo ciclo di opere del Parco Carta, il sistema museale inaugurato lo scorso giugno da Rubbettino editore. Le opere che contribuiranno ad arricchire quest’anno il parco d’arte contemporanea che sorge nel perimetro delle industrie Rubbettino sono state realizzate dagli artisti Andrea Canepa e Simone Carraro. La curatela del parco è stata affidata agli artisti Alessandro Fonte e Shawnette Poe. Tra i due eventi si è realizzata una pausa gourmet con un percorso gastronomico tra le onde dolci della cucina ispirata a San Francesco di Paola con lo chef Antonio Torchia, de La Rosa nel bicchiere. Il viaggio è stato introdotto da un incontro con Carmine Lupia e Giancarlo Statti sulle “erbe di San Francesco”.
In buona sostanza, il nutrito e ben articolato calendario di eventi che si sono succeduti, puntuali e circostanziati, con la viva e proficua partecipazione di un pubblico variegato, hanno contribuito a rendere Sciabaca festival di Soveria Mannelli uno degli appuntamenti imperdibili del nostro territorio calabrese e non solo.
Ivana Ferraro
(direfarescrivere, anno XX, n. 224, ottobre 2024)
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