Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
Questioni di editoria
Rivoluzione di stile
per i giovani scrittori
Le nuove leve della narrativa
in un saggio edito da Donzelli
di Angela Patrono
Italia, fine anni Settanta. Nel grigiore dei cosiddetti “anni di piombo”, esaurito lo slancio sessantottino dell’impegno politico e della contestazione, si schiude per i giovani intellettuali un momento di riflessione, di introspezione, un fare luce e chiarezza sul mondo esterno a partire da dentro. Il disagio introiettato prende voce su carta, in romanzi che assurgeranno a pietre miliari di un’intera generazione e non solo. Siamo agli albori di una nuova letteratura, giovane sia anagraficamente che negli intenti. Dall’humus narrativo affiorano molteplici individualità, difficili da riunire in un insieme organico, ma accomunate da una straordinaria innovazione linguistico-stilistica.
Maurizio Pistelli, professore di Letteratura italiana all’Università per stranieri di Perugia, traccia un’acuta analisi del fenomeno nel suo saggio La giovane narrativa italiana. Scritture di fine millennio (Donzelli, pp. X-262, € 17,50), esaminando quasi vent’anni di storia editoriale, dal 1979 al 1996, insieme ai principali protagonisti di quel ventennio creativo.

Una rottura degli schemi
Con il crollo dei sistemi ideologici rappresentati negli anni Sessanta anche in narrativa, si affaccia all’orizzonte degli Ottanta una letteratura “bassa” ma anche frammentata, segnata dal dubbio e dallo scetticismo, che ha come emblema Guglielmo da Baskerville, il frate-detective protagonista de Il nome della rosa (1980), l’acclamato best-seller di Umberto Eco. In tale contesto postmoderno, si rivoluziona anche il modo di narrare, d’ora in avanti influenzato «non solo dalla pianta madre della letteratura, ma anche da settori culturali limitrofi, come il cinema, la musica, il fumetto, le arti visive, internet, la tv, con una conseguente contaminazione di codici, linguaggi, immagini». Sono proprio i giovani scrittori italiani a recepire questi mutamenti e trasporli nelle loro opere, spesso coadiuvati da case editrici attraverso lodevoli iniziative, come le pregevoli antologie letterarie pubblicate tra gli anni Ottanta e Novanta. Su tutte, Pistelli ricorda il progetto “Under 25”, per Transeuropa, a cura di un nome importante: Pier Vittorio Tondelli.
Lo stesso Tondelli, insieme ad Andrea De Carlo e a Enrico Palandri, si colloca nel solco dei «padri di una nuova generazione di scrittori». A cominciare da Palandri, che nel 1979 pubblica il suo Boccalone, parabola esistenziale e collettiva delineata con uno stile diaristico e solo in apparenza istintivo, punto di svolta all’insegna dell’intimismo autoriale. Sarà Tondelli a sdoganare l’inquietudine giovanile in un romanzo, Altri libertini – fonte di scalpore per la società perbenista del 1980 – che fotografa un’aspra realtà di emarginazione e disagio.
Nel suo stile «oggettivo, attento in maniera quasi maniacale a registrare particolari e dettagli» con taglio quasi registico, Treno di panna di Andrea De Carlo è invece una graffiante critica al consumismo e a «una società tanto appariscente quanto vuota».

Tra idealismo e alienazione
Il conflitto esistenziale tra l’Io alienato e il mondo, presente nei tre “padri fondatori” della nuova letteratura, rivive anche nei principali esponenti della cosiddetta “scuola romana”: Edoardo Albinati, Marco Lodoli e Sandro Veronesi. I primi due, in particolare, descrivono situazioni estreme nel contesto di una Roma indifferente e degradata. In questo fosco scenario si snodano le vicende della famiglia immigrata de Il polacco lavatore di vetri di Albinati e dei personaggi spaesati del Grande Raccordo di Lodoli, che si muovono tra atmosfere a tratti surreali, a tratti iperrealiste. Pistelli esalta quegli antieroi di carta stralunati e sognanti, persi in uno slancio interiore verso una realtà altra, in cui scaricare il peso di un’identità logora e alienata. Ciò, riflette il critico, non si traduce in una passiva rassegnazione, ma nella segreta speranza che un altro mondo sia possibile.
Per dove parte questo treno allegro, il romanzo di Veronesi, racconta invece l’incomunicabilità padre-figlio, ritraendo un giovane adulto abulico e contemplativo, in eterno contrasto con il pragmatismo paterno.
Il tema sarà riproposto, con sfumature diverse, da Tutti giù per terra di Giuseppe Culicchia, in cui il giovane protagonista rifugge la carriera e le aspirazioni piccolo-borghesi per dedicarsi alla letteratura, vista come unica ancora di salvezza. Culicchia, insieme a Enrico Brizzi, Andrea Demarchi e Gabriele Romagnoli, raccoglie senz’altro l’eredità di Tondelli. Negli anni Novanta, infatti, i giovani scrittori traggono spunto dalla lezione dell’autore emiliano nei temi trattati come nel linguaggio vivo, impastato della parlata giovanile e costellato di citazioni filmiche, musicali, televisive. Rock bands come i Red Hot Chili Peppers e i Led Zeppelin sono evocate fin dai titoli dei romanzi di Brizzi, con il suo Jack Frusciante è uscito dal gruppo, e di Demarchi, con Sandrino e il canto celestiale di Robert Plant. Romagnoli, voce a sé stante, nel suo Navi in bottiglia fa ampio uso di spiazzanti twists finali, in grado di capovolgere la realtà e di svelarne l’inconsistenza effimera.

Pulp: semplice etichetta o fenomeno di costume?
Nel 1996 irrompe nel panorama letterario italiano il “ciclone” pulp: genere «feroce, trucido, iconoclasta, fatto di azione ed emozioni forti, fondato sull’eccesso, dove l’aggressività, il sesso, l’horror si contaminano di continuo con il grottesco, il disincanto e la parodia». Pistelli prende in esame il fenomeno degli scrittori “cannibali” (definizione in uso dopo l’uscita dell’antologia einaudiana Gioventù cannibale), indagando sull’origine di un filone narrativo che scava nel profondo delle angosce contemporanee, portandone alla luce le ossessioni, le paure, i conflitti.
Al di là di ogni categorizzazione o giudizio di valore, per Pistelli il termine pulp è «solo una vuota etichetta, una trovata editoriale giornalistica, dettata dalla solita smania di incasellare ogni fenomeno letterario in una precisa categoria, così da poterlo meglio pubblicizzare e vendere».
Tre i testi ritenuti significativi: il dissacrante Fango di Niccolò Ammaniti, il quale «come un abile burattinaio, si mostra capace di muovere con disinvoltura i fili dei suoi diversi personaggi-marionette»; Occhi sulla graticola di Tiziano Scarpa, contaminazione tra citazioni colte, erotismo soft e cultura pop (numerosi i riferimenti ai manga); Woobinda e altre storie senza lieto fine di Aldo Nove, in cui la violenza è la metafora di una società allo sbando, che lobotomizza e preconfeziona desideri davanti a uno schermo televisivo.
Il saggio di Pistelli si configura, dunque, come un’indagine meticolosa e dettagliata sulle ragioni profonde della nuova narrativa, aprendo la strada a una riflessione non solo letteraria ma anche sociologica.

Angela Patrono

(direfarescrivere, anno X, n. 97, gennaio 2014)
 
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