Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
Questioni di editoria
Allenare la scrittura
tramite la letteratura
Dieci lezioni di narrazione
ideate dalla Scuola “Omero”
di Maria Lisa Summaria
Sin da tempi remoti, sostituendo lentamente il ricorso all’oralità, il bisogno di affidare alla scrittura emozioni, riflessioni e il desiderio di costruire mondi alternativi attraverso cui esplorare la complessità del reale sono stati molto forti per il genere umano. Nata con un certo ritardo rispetto alle più antiche forme orali di espressione e trasmissione della conoscenza, la scrittura ha sempre avuto però un grande prestigio, non solo per la sua maggiore affidabilità (d’altronde scripta manent), ma anche per il suo carattere intimista e comunicativo al tempo stesso. Una sorta di legittimazione del proprio vissuto interiore ed esperienziale che in essa trova piena realizzazione. La parola scritta ha però subito nella contemporaneità dei cambiamenti molto profondi, determinati dalla sempre crescente importanza delle tecnologie che hanno caratterizzato il secolo XX e in misura ancora maggiore il XXI: l’avvento del cinema (di quello statunitense in modo preponderante) e la possibilità di far conoscere i propri testi a un cospicuo numero di lettori attraverso la Rete evitando i tradizionali canali distributivi. Il linguaggio cinematografico (con i suoi ritmi accelerati, il tono informale dei dialoghi, il ricorso continuo all’ironia) ha determinato un profondo cambiamento della lingua letteraria, che si nota moltissimo nei romanzi di genere, ma che ha comunque influenzato la produzione letteraria contemporanea nel suo insieme.
Non è un caso perciò che Enrico Valenzi, direttore sin dalla fondazione, nel 1988, della Scuola di scrittura creativa “Omero” di Roma, trovandosi a dover scegliere le citazioni e gli esempi per spiegare i concetti teorici illustrati nelle dieci lezioni che compongono il volume da lui curato – La palestra dello scrittore (Omero, pp. 106, € 10,00) – abbia dato ampio spazio a registi (Sergio Leone, Quentin Tarantino, Wim Wenders) e a spezzoni di film molto conosciuti e apprezzati dal pubblico.
Altro fenomeno molto accentuato negli ultimi anni (grazie alla diffusione dei blogs e dei numerosi siti di autopubblicazione offerti dal mondo virtuale di Internet e da cui attingono non di rado i professionisti dell’editoria sempre alla ricerca del nuovo best seller) è quello della diffusione in Rete dei propri testi che ha dato alla voglia di scrivere (spesso purtroppo non accompagnata alla voglia di imparare a farlo bene) un deciso incentivo. Tutto ciò ha determinato una capillare diffusione territoriale delle scuole di scrittura creativa che, a differenza degli Usa, dove sono molto collegate alle istituzioni universitarie, in Italia costituiscono un’alternativa all’impianto rigidamente accademico delle nostre facoltà umanistiche. Il volume curato da Enrico Valenzi rappresenta un ulteriore esempio di una manualistica di facile consultazione che può costituire un punto di partenza per iniziare quel duro allenamento alla scrittura che il termine “palestra” del titolo sembra voler suggerire.

Tra citazioni ed esercizi: un programma in dieci lezioni
Si frequentano le palestre, si sa, per raggiungere obiettivi ambiziosi che riguardano cambiamenti sul proprio corpo; cambiamenti che è possibile ottenere solo con impegno costante, allenamento e intelligenza nel non lasciarsi scoraggiare dalla lentezza dei risultati. Uscendo dalla metafora suggerita dal titolo stesso del volume, l'avvertenza implicita al testo è che non si diventa scrittori al primo colpo, ma sono necessari sacrifici, esercizio costante (ecco perché, infatti, alla fine di ogni lezione viene proposto un esercizio di scrittura inerente all’argomento affrontato) e una grande umiltà nel porsi in ascolto dei grandi maestri della tradizione letteraria. Le indicazioni teoriche sono intervallate nel testo da numerose citazioni e, come già accennato, sono molti i riferimenti anche al mondo del cinema, il quale altro non è che un ulteriore strumento che permette di raccontare in altro modo.
Sebbene numerose, le citazioni non appesantiscono la lettura, ma anzi costituiscono un essenziale apparato all’apprendimento delle lezioni che riguardano un po’ tutti gli aspetti della scrittura, in particolare della scrittura di un racconto: l’incipit, la caratterizzazione dei personaggi, la scelta del punto di vista, l’uso del tempo interno alla storia. Molto interessanti e utili sono le pagine finali del volume, nelle quali sono raccolti interventi più lunghi di vari scrittori a testimonianza di come le regole siano da seguire, personalizzare e trasgredire: Abraham Yehoshua ci illumina sull’importanza dell’incipit, Flannery O’Connor sulla scelta dei nomi da dare ai personaggi, Andrea Camilleri ci dice che lo scrittore è anzitutto un ladro di storie.

Insegnare quel che non si può insegnare: la scrittura come forma d’arte
I diversi elementi della narrazione (l’uso della prima o della terza persona, la scelta tra lingua opaca o trasparente, lo scarto tra ritmo dato dall’autore e ritmo proprio della storia) sono tutti concetti che nel testo vengono spiegati in maniera chiara e soddisfacente, ma a ciò si aggiunge la precisazione secondo cui il carattere creativo della scrittura risiede anche nel fatto che si finisce spesso molto lontani dalle trame che ci si era immaginati all’inizio.
Il concetto di creative writing è piuttosto recente e sembra essere stato elaborato a tavolino da una certa parte dei professionisti dell’editoria smaniosi di cavalcare l’onda dell’ultimo caso letterario che possa trasformarsi nel prossimo best seller internazionale. Di certo è un concetto che non conoscevano né Kafka né Dostoevskij né i nostrani Pasolini o Morante, i quali accettavano la lentezza necessaria dell’apprendistato letterario e consideravano la scrittura come “scrittura” e basta, senza ulteriori aggettivi qualificativi.
Sembra invece che le contemporanee scuole di scrittura creativa siano dei luoghi dove imparare a scrivere il libro che funzioni di più dal punto di vista delle vendite e dove i consigli elargiti, certamente validi e provenienti da professionisti ed esperti della parola, possono risultare piuttosto sterili se non sono accompagnati da un lungo e paziente apprendistato. Chiudono bene il volume le parole di Alessandro Bergonzoni, scrittore irriverente e sagace, il quale al termine “scrittura creativa” preferisce quello di “scrittura ricreativa”, ovvero «quella parte della creazione dove ci si diverte».

di Maria Lisa Summaria

(direfarescrivere, anno IX, n. 88, aprile 2013)
 
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