«Il contenuto di questo libro è frutto esclusivo delle opinioni personali dell’Autore e non vuole rappresentare in alcun modo idee e punti di vista della Casa editrice il cui Programma è sempre stato quello di saper accogliere nei suoi cataloghi, in piena libertà, ogni tipo di opinione». Citando l’epigrafe che apre il volume Stanno uccidendo il libro. Editoria a spese di alcuni amici (Firenze Atheneum, pp. 160, € 7,50), ci addentriamo nell’analisi di questo saggio scritto dall’editore fiorentino Giorgio Maremmi. E la citiamo perché il tema affrontato dal saggio – quello dell’editoria a pagamento – è alquanto controverso e divide il mondo editoriale in due: chi la sostiene e chi, invece, ne prende le distanze.
Noi, ovviamente, apparteniamo alla seconda categoria. Ma, laicamente, ci piace ragionare anche sulle tesi degli altri.
Come l’editore di questo libro ha fatto, attraverso la già citata epigrafe iniziale, anche noi, recensendo tale volume, ci proponiamo di offrire al lettore alcuni spunti di riflessione sulla complessità dell’“universo libro”, invitandolo alla conoscenza dei problemi di tutti coloro che – dagli editori, agli scrittori, ai lettori – ne sono coinvolti, senza necessariamente concordare con le – legittime – opinioni del suo autore. Egli stesso, peraltro, nella Prefazione, ammette l’ipotesi secondo cui alcune delle proprie tesi e affermazioni possano sembrare discutibili e non pretende di «rappresentare la voce di tutta la verità editoriale». Voce che, in estrema sintesi, non condanna del tutto l’editoria a pagamento e sostiene la necessità che in alcuni casi gli autori credano, anche investendovi economicamente, nella propria opera.
Editore vs scrittore? Necessità economiche degli uni; vanità degli altri
Editore e scrittore: secondo Giorgio Maremmi, i protagonisti del mondo editoriale hanno a che fare con contraddizioni e ambiguità poiché il loro lavoro si muove tra due poli opposti. Da una parte la “spiritualità” e l’immaterialità che caratterizza la cultura, dall’altra la materialità dell’economia che inevitabilmente caratterizza la sfera professionale e aziendale.
Il lettore come deve comportarsi di fronte a ciò? Soprattutto qual è l’editoria pura? Lo scrittore deve sottostare alle regole di marketing?
Maremmi parte dalla definizione dei cosiddetti “Nuovi autori” e “Nuovi editori”: entrambe le categorie sono in “costante crescita”. Di scrittori nuovi ne sbocciano ogni giorno, con la loro – a detta di Maremmi – assurda pretesa per cui gli editori sarebbero economicamente a loro disposizione per far conoscere al mondo le loro opere, siano esse di valore o meno, senza nessuna possibilità di recuperare gli investimenti. Autori, cioè, “concentrati” solo sulla propria necessità di apparire, quasi “accecati” dalla loro stessa vanità. Dall’altra parte, sostiene l’autore, ci sono i “Nuovi editori”, individui, anche impreparati, che «hanno annusato il vento e da un giorno all'altro si sono improvvisati "editori". Ogni giorno ne nascono di nuovi».
Maremmi, che come si accennava prima, è egli stesso un editore, afferma di aver avuto la fortuna di iniziare questo mestiere quando non esistevano le categorie appena descritte; quando cioè «i termini “editore” e “scrittore” avevano ancora il loro giusto significato», e quindi quando non erano ancora in essere tendenze e pratiche estranee alle modalità tipiche del fare letteratura. E, riferisce, si ritiene tra gli editori che non hanno perso il valore sacrale del libro.
Non è la prima volta, del resto, che Maremmi cerca di razionalizzare e categorizzare l’astrazione e la spontaneità del riversare pensieri in un libro, giungendo alla conclusione che le conseguenze pratiche dello scrivere e del volere/dovere pubblicare sono l’emblema di relazioni sociali che cambiano e che portano al mutamento generale di sistemi economici e culturali. Ha già affrontato l’argomento in Avalon. L’agenda dello scrittore (Firenze Atheneum, pp. 240, € 7,50).
Cos’è l’editoria a pagamento, secondo Maremmi
La proliferazione di scrittori e, di conseguenza, di testi inediti, così come quella degli editori, fa pensare, secondo Maremmi, che il mondo editoriale sia estremamente dinamico. Tuttavia, nel momento in cui il libro giunge sulla scrivania dell’editore, questa dinamicità subisce una battuta d’arresto. Da lì, il “potenziale” libro sembra non muoversi più.
Due le sue possibili sorti: diventare “polvere nella polvere” o essere pubblicato. Quest’ultima scelta prevede un ingente dispendio economico da parte dell’editore: fantomatico problema da secoli.
Non è un caso se la necessità di qualità letteraria venga soppiantata dalla disperata ricerca, da parte delle case editrici, di risorse economiche affinché nuovi testi, leggibili o meno, risiedano nelle librerie.
Il dilemma sembrerebbe essere risolto con l’editoria a pagamento. In cosa consiste? Maremmi non ne dà una definizione precisa, ma fornisce abbastanza esempi da poterne dedurre il significato. Si tratterebbe, dunque, della collaborazione economica dello scrittore che intende pubblicare, con una casa editrice, il proprio libro. Il ricevere sussidi da chi, in realtà, in qualità di creatore, dona già abbastanza nel voler condividere con gli altri ciò che scrive, in base a quanto scrive Maremmi, sembrerebbe frenare per certi versi il naturale percorso editoriale.
Quando per Maremmi è ammissibile l’editoria a pagamento?
D’altra parte, però, si sa, le case editrici non sono solo “operatori culturali” o “enti filantropici”. Sono imprese economiche e, come tali, devono trovare modalità di sopravvivenza.
Come poter conciliare le due istanze? Maremmi ritiene ammissibile l’editoria a pagamento quando l’editore si trova di fronte ad un dattiloscritto di qualità ma privo, o quasi, di prospettive di vendita o, meglio, non in grado di dare garanzie sui risultati commerciali. Il rischio economico che l’editore si assume può, così, essere “smorzato” da un aiuto pecuniario dell’autore del testo inedito. L’obiettivo, secondo l’autore, è avere non tanto – o non sempre – un guadagno sicuro, ma almeno di ridurre le possibili perdite.
Rispetto a questo ragionamento, l’editore fiorentino scorge due alternative. Per certi versi, si potrebbe pensare che il discorso miri a salvare la qualità in mancanza di denaro. E in questo senso il ragionamento risulterebbe lineare: il denaro, indipendentemente dal suo “possessore”, è investito nella cultura, con la C maiuscola. Tuttavia è facile, secondo Maremmi, scoprire l’altra faccia della medaglia: in assenza di qualità e in presenza di guadagno, può esserci una proposta di pubblicazione da parte di una casa editrice che decide di adottare questo metodo “a pagamento” per soli scopi di lucro, senza badare alla qualità o non qualità del prodotto.
Con rammarico Maremmi sottolinea che è possibile che ciò accada; ma egli, al contempo, si distanzia da coloro che, nelle vesti di moralisti, gettano fango su questo tipo di editoria. Alcune case editrici, infatti, non richiedono finanziamenti agli autori ma – mette in evidenza Maremmi – sono destinatarie di considerevoli “aiuti” da precisi partiti politici: lavoro sporco, a suo parere, in ogni caso.
Le colpe degli scrittori: scrivono ma… non leggono. Chi compra i libri?
Altrettanto ipocrita e non condivisibile, a parere dell’autore, è la tendenza degli scrittori che si radunano intorno al cosiddetto “Nuovo muro del Pianto”, ovvero “siti spazzatura” di Internet, in cui gli scrittori medesimi si “riuniscono” per condividere lamentele e frustrazioni per il fatto di non sentirsi considerati scrittori veri e per essere stati “traditi” dai propri stessi editori. Sicuri del proprio talento, si sentono vittime ingannate dalle case editrici che, una volta pubblicato il libro, lo avrebbero – si lamentano gli autori – “tenuto nascosto” non permettendogli di essere conosciuto e venduto. Si chiede Maremmi: «Com’è possibile pubblicare libri, e sperare, in un paese dove gli “scrittori” non leggono?». Detto altrimenti: gli scrittori vanno spesso in giro a lamentarsi e disperarsi perché i pochi lettori italiani non hanno comprato il loro libro; ma loro stessi, in prima persona, non acquistano libri. Come potrebbero pretendere, così, di cambiare lo status delle cose? Maremmi definisce addirittura ridicolo questo comportamento. Nel processo di estinzione dell’editoria pura e dell’autentico interesse per la pagina scritta, dunque, non vittima ma fautore, spesso, sarebbe lo stesso scrittore, troppo snob ed egocentrico per essere naturale soggetto pensante e scrivente che «sta alla larga dagli intellettuali nostrani; […] non fa la marionetta per passare da anticonformista e anzi non gliene frega niente, non dà la colpa agli altri dei propri insuccessi».
Casi illustri di autori che hanno pagato per pubblicare
In questo contesto, che vede quindi editori versus scrittori, insomma, sembrerebbe mancare del tutto la “magia” della parola. Per Maremmi, essa non è più un’intuizione, retaggio di lunghi e profondi processi interiori. Essa è figlia di pensieri superficiali e, se viene condivisa, è solo perché si trova nel posto giusto, al momento giusto. Forse, nel salotto dell’“intellettuale-pupazzo” (vale a dire, colui che ostenta la propria intellettualità, in realtà, alquanto vacua). Dunque, la cultura girerebbe intorno ad un sistema di conoscenze e/o di denaro.
Maremmi, come si accennava, non si scandalizza di fronte alla presenza del fattore denaro all’interno del processo di pubblicazione; a sostegno di tale tesi elenca, a mo’ di esempio, una serie di protagonisti, dell’Ottocento e del Novecento, che hanno usufruito dei propri risparmi per pubblicare i loro capolavori: «Anno 1826. Giacomo Leopardi stampa a proprie spese la sua raccolta Versi, a cura di Pietro Brighenti, presso la Stamperia Le Muse di Bologna. Anno 1873. Esce il primo libro edito da Giulio Cesare Sansoni: Guardare e pensare, di Guido Falorsi. L’editore evidenzia il libro: “A spese di alcuni amici” […]. Anno 1929. Alberto Moravia, dopo non poche difficoltà con gli editori, riesce a pubblicare a sue spese (5.000 lire dell’epoca, oggi una grossa somma) presso l’editore milanese Alpes».
Meglio parlare di “editoria a spese di alcuni amici”?
Tuttavia, l’autore di Stanno uccidendo il libro, all’espressione “editoria a pagamento” preferirebbe l’editoria “a spese di alcuni amici” (tanto da farne il sottotitolo dell’opera in questione). Con la sostituzione di “amici” al termine “pagamento” anche formalmente la casa editrice svelerebbe che il suo obiettivo è lontano da interessi economici nel senso più brutale del termine (lucro) ammettendo che, ciononostante, per campare, ha bisogno di aiuti “concreti” da parte di “amici”. In tal modo, editori e scrittori non sarebbero in contrapposizione antitetica fra loro, generando gli scontenti di cui si parlava prima tanto da una parte quanto dall’altra. Regnerebbe piuttosto l’amore e la solidarietà tra i due diversi soggetti economici e letterari e, in un contesto del genere, potrebbe quasi riapparire il ruolo “magico” della parola.
Il concetto di editoria a pagamento – o “a spese di alcuni amici” – è differente, secondo Maremmi, da quello di editoria on-demand: essa rappresenta, per l’autore, la “non-editoria”, in quanto “uccide” il testo e non attende «lo svolgersi del normale ciclo del libro». Al suo interno, vi è la possibilità di trovare servizi di pubblicazione, al pari di una tipografia; si stampa l’opera, come qualsiasi altro tipo di documento e non un volume scritto con parole vive al suo interno.
L’editoria a pagamento, invece, rispetterebbe le “normali” tappe di pubblicazione di un testo, con l’intervento del suo stesso creatore nell’assumere le sembianze di libro. A parere di Maremmi, cioè, questo “percorso” di nascita di un libro non rimane veicolato e subordinato alla “signora moneta” perché a essere coinvolti sono sempre professionisti del mestiere, grazie ai quali la letteratura può essere tale, perché data dall’insieme delle opere “scoperta”, “novità”, “rivelazione”. Sarrebbe piuttosto un paradosso, secondo lui, che nel rispetto del denaro (o meglio: della sua assenza!) che gli editori non investano in capolavori.
Quello economico è il “nodo” esistenziale dell’editoria. Se esistono il diritto alla nascita della letteratura di qualità e il ruolo metafisico dello scrittore, allora, secondo Maremmi è legittimo che gli editori debbano «usare la loro esperienza e la loro capacità in modo da pubblicare ogni genere di libro, cercando se necessario sostegno finanziario nel caso che la pubblicazione fosse altrimenti antieconomica».
Il nocciolo della questione si sintetizza in brevi battute. L’editore ha una missione: diffondere buona cultura. Secondo questo parametro, Maremmi giudica sensata l’editoria a pagamento. L’editore è, anche, un imprenditore e punta al guadagno. Secondo quest’altro parametro, Maremmi giudica come pericolosa l’editoria a pagamento.
Mezzo secolo di lavoro editoriale e di cambiamenti
Giorgio Maremmi, nei suoi ventiquattro capitoli, dà vita ad una sorta di deontologia dell’“Uomo Scrittore” e dell’“Uomo Editore”, con le loro annesse qualità come “Vecchio” e “Nuovo”.
Osserva quanto, in cinquant’anni di lavoro, tra i due si siano dilaniati i rapporti di fiducia e di comprensione: «Gran parte dei Vecchi e la maggior parte dei Nuovi non conoscono più o hanno in dispregio quello sguardo diritto, quel sorriso reciproco e quella stretta di mano che valevano un: Questo sono io, questo sei tu. Mi fido, ti puoi fidare».
Mancano rapporti umani alla pari. Lo scrittore, nella sua attività unica, forse è il solo comunicatore, tra gli uomini, capace di intercettare gli altri uomini.
Le case editrici e il loro modo di lavorare, sono le intermediatrici di quest’intercettazione. Da qui, le non poche responsabilità e difficoltà.
Francesca Ielpo e Cecilia Rutigliano
(direfarescrivere, anno VIII, n. 77, maggio 2012) |