Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
In primo piano
Sommersi da tonnellate di rifiuti urbani.
Una soluzione? La raccolta differenziata
Bisognerebbe valutare la questione ecologica in un’ottica sociale
per salvaguardare noi stessi, il nostro ambiente e il nostro futuro
di Sonia Vazzano
Per una volta non parliamo della miseria dell’uomo, di quel “rifiuto” umano spesso immagine paradossale del divino. E ci soffermiamo, invece, su un rifiuto molto più banale, eppure tanto grave oggi da preoccupare. Non “rifiuto” umano, dunque, ma pur sempre dell’uomo; non istanza metafisica, ma materiale; e che, però, decisamente lascia il segno… Chissà perché il Sud d’Italia è quasi sempre al centro dei dibattiti più interessanti: carriere appese a logiche di potere, sviluppi possibili dimenticati troppo in fretta, istanze politico-culturali che non riescono ad essere attualizzate appieno. Il fatto è che non è solo il Sud che piange quando si tratta di problemi che per poco esulano dal presente immediato e non ci si rende conto che, forse, quel futuro è tanto presente da far paura e il non riconoscerlo è solo il modo migliore per non affrontarlo.

Applicazione di una logica umana
I rifiuti sommergono il “rifiuto” umano: lo diciamo non con ironia, ma con rassegnazione. E non bisogna andare troppo lontano per accorgersene, perché nelle strade che percorriamo, siano esse di paese o di città, probabilmente è più il cattivo odore e la sporcizia che percepiamo che non l’ampiezza del cielo, come in realtà dovrebbe essere da queste parti. Chi dal Nord d’Italia passa qualche giorno nel Meridione si accorge subito dell’aria differente, senza smog probabilmente, ma a volte davvero maleodorante. I rifiuti ci sommergono e noi lasciamo che sia così. Gli amministratori sono pronti a far contenti i propri elettori con promesse riguardanti il tutto e il nulla e gli elettori sono soddisfatti dei personali vantaggi che acquisiscono per se stessi in virtù del loro voto politico. Così nessuno chiede per la collettività, nessuno comprende che l’individuo si costituisce anche a partire dall’altro, che può essere il vicino o il mondo intero. E se dire mondo vuol dire anche mantenimento dello stesso, che si ripercuote sulla nostra esistenza, evitando il problema dei rifiuti si lascia l’umano più in mezzo ad essi che non su un altro livello.
Con i rifiuti ormai si convive da tempo; nei piccoli paesi non si sa neppure cosa sia la raccolta differenziata e a volte perfino i giovani, che dovrebbero essere i più attenti in tal senso, non lo sono per nulla, forse perché un’educazione di questo tipo non è stata data loro. Il problema non appare dunque solo di tipo ecologico e sanitario, ma anche sociale e, se ci serve questo per affrontarlo meglio, ben venga una “metafisica del rifiuto”, che ci dica quanto l’uomo, frutto del suo tempo, potrebbe diventare ben presto davvero il più grande rifiuto.
Se ci pensiamo, è possibile inquadrare il tema dei rifiuti davvero in un’ottica di questo tipo. L’essere umano muore dopo aver finito di svolgere il compito per il quale era stato creato, che questo lo decida un dio o il destino, e chi crede alla vita dopo la morte vede quest’ultima come un punto di partenza e non di arrivo. Con i rifiuti accade, e non vorremmo sembrare blasfemi in tal senso, più o meno la stessa cosa: un oggetto che ha esaurito il compito per il quale era nato e che riesce ad essere recuperato per mezzo della raccolta differenziata può acquisire, con questa, un nuovo punto di partenza e non di arrivo.
Secondo una logica di questo tipo, ogni rifiuto è trattato in base alla sua specificità: i rifiuti organici, la carta, gli stracci e il legno, la plastica e la gomma, il vetro, i metalli, i materiali pericolosi (farmaci scaduti, pile esaurite, oli minerali…). Per tutto c’è un posto in questo mondo, pare anche ci sia per i rifiuti, e per ognuno specialissimo.
Eppure questo sembra non interessarci e non solo non riusciamo a pensare in un’ottica per così dire “differenziata”, ma nemmeno alla lunghezza inimmaginabile della degradazione naturale in un meccanismo che sembra svilire anche in tal senso la natura umana. Non ci si crede quasi che duri più una materia che l’uomo: da 1 a 2 anni le sigarette, 5 le gomme da masticare, fino a 10 i giornali e le riviste accatastate, 100 le lattine in alluminio delle bibite, oltre 1000 il polistirolo o le schede telefoniche, oltre 4000 il vetro. E l’Italia è al quinto posto in Europa per la produzione dei rifiuti. Possiamo esserne fieri: fra i primi sempre nelle “cose migliori”...
Non lo diciamo per piangerci addosso, anzi bisognerebbe cominciare a fare qualcosa (megalomani, forse?) per questo paradossale primato: 516 chili l’anno per ogni cittadino, che in totale fanno circa 30 tonnellate e si va sempre peggio. Si vorrebbe diminuire i rifiuti e, invece, si fa di tutto per aumentarli. Quanti famosi “usa e getta” così comodi ci sono a portata di mano; manca solo l’individuo “usa e getta” che nasca ogni giorno e ricominci sempre da capo senza avere perciò la possibilità di migliorarsi mai.

Decreto “Ronchi”? Testo unico? Sì, no, boh!
Ma da dove nasce il concetto di raccolta differenziata della quale parlavamo poco fa? Proviamo a ripercorrere in breve le tappe di questo viaggio tra i rifiuti.
La legge 20 marzo 1941 n. 366 è la prima a tentare una disciplina organica di un tale settore anche se limitata ai soli rifiuti urbani, perché bisogna aspettare il d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915 per la ricezione nel nostro paese di alcune specifiche direttive Cee che diedero una disciplina organica, anche se un po’ lacunosa, in materia di gestione e smaltimento dei rifiuti. Sempre agli anni Ottanta risalgono alcune disposizioni urgenti sullo smaltimento dei rifiuti e nello specifico su quelli industriali (l. 441/1987, l. 475/1988, l. 45/1989).
Tuttavia è il d.lgs 5 febbraio 1997 n. 22, più noto come decreto “Ronchi”, a rappresentare una svolta rispetto al passato soprattutto per la suddivisione delle competenze tra stato, regione, provincia e comune, quindi per l’introduzione di una nuova logica della gestione dei rifiuti: una sorta di “rivoluzione copernicana” che trasforma il rifiuto in una risorsa e lo smaltimento in gestione, intesa come attività di interesse pubblico. Si tratta di un provvedimento di legge che impone proprio la raccolta differenziata, il riciclo e la discarica, in questo ordine di preferenza.
Ma a chi? Allo stato? Ai cittadini? Probabilmente a nessuno dei due. Paghiamo una tassa sui rifiuti e questo sembra bastare, sembra toglierci dalla difficoltà di porci il problema. Comuni, province e regioni hanno ben altro a cui pensare, probabilmente, e i rifiuti stanno sempre lì, mentre l’Italia, da parte sua, preferisce utilizzare l’ultima soluzione: la discarica. Molto più comoda certo, ma quanto salutare? Possibile che ogni cittadino non riesca a ridurre, a partire dalle proprie realtà quotidiane, i suoi rifiuti? Possibile che non sappia attuare una pratica di riutilizzo degli stessi? Lasciando stare la già citata raccolta differenziata, possibile non si riesca ad entrare nell’ottica del riciclaggio o del recupero? Si, è possibile. Di discariche, dunque, sappiamo tanto e molto poco, e forse nulla di termodistruzione o di compostaggio, ad esempio.
Arriviamo così ai nostri giorni e all’attuale normativa, il d.lgs 3 aprile 2006 n. 152, il Testo unico ambientale, le cui finalità, indicate nell’articolo 2, sono le seguenti: «Promozione di livelli di qualità della vita umana da realizzarsi attraverso la salvaguardia e il miglioramento delle condizioni dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali». La cronistoria di tale decreto mette in risalto lo scontro evidente e la mancanza di accordo che c’è stata tra le istituzioni, nonché l’insoddisfazione proveniente da diverse parti. Questo ha fatto sì che esso sia rimasto uno dei temi di discussione all’interno del nuovo governo insediatosi nel maggio 2006. Il 30 giugno dello stesso anno il Consiglio dei ministri ha approvato uno schema di decreto legislativo con cui si impegna ad emanare entro il 31 gennaio 2007 norme correttive in materia di rifiuti e servizi idrici. Già con la delibera del 31 agosto 2006 il Consiglio dei ministri aveva approvato quelle che erano state dichiarate le prime ed urgenti modifiche al codice ambientale. Questa delibera si era tramutata in legge nel d.lgs 284/2006, in cui erano previste, tra le altre cose, la soppressione dell’autority per acqua e rifiuti, la ricostituzione dell’Osservatorio nazionale rifiuti e una proroga fino al 29 aprile 2007 per l’aggiornamento dello statuto Conai (Consorzio nazionale imballaggi), in vigore, insieme alle prime correzioni al Testo unico ambientale, dal 25 novembre 2006. Il 12 ottobre 2006 c’era stato un secondo Consiglio dei ministri che aveva portato all’emanazione di un decreto legge con il quale viene approvato in via preliminare uno schema di decreto legislativo che apporta una seconda serie di integrazioni e correzioni alle Parti terza e quarta del d.lgs 152/2006. Attualmente il suddetto decreto è stato sottoposto al vaglio sia della Commissione di Camera e Senato, sia della Conferenza stato-regione che hanno stabilito di apportare ulteriori modifiche in tempi non determinati. Per cui sarà necessario ‘ancora’ un po’ di tempo per sapere qualcosa di più.

Una longa manus sulla gestione
Dunque è proprio vero che queste leggi sembrano non esserci. Così come i luoghi che permettano di aumentare le discariche o gli inceneritori. Insomma, c’è davvero Il rifiuto dei rifiuti, come recita lo studio di Maurizio Bortoletti (Rubbettino, pp. 138, € 10,00). E il sottotitolo del libro, Scanzano Jonico e la sindrome Nimby, mostra come la politica non possa e non debba rinunciare al particolare, perché altrimenti la sindrome di cui si parla – ricordiamo che la sigla sta per Not in my back yard, cioè Non nel mio giardino – finirebbe (se non lo fa già) con l’apparire come «una malattia che rischia di disgiungere la tematica ambientale da quella della coesione sociale, il diritto proprio dal diritto degli altri, la domanda di ambiente dal senso di responsabilità verso l’ambiente».
Rifiuto dei rifiuti: è vero. E Scanzano non è che uno dei molteplici esempi che potremmo addurre. Un altro è di certo la Campania, che fa crollare ancora di più l’immagine del Sud d’Italia e forse non solo. Ma soprattutto dovrebbe spingere a chiedersi almeno due cose: come mai in tal luogo il problema dei rifiuti sembra farsi più urgente? E qual è l’insegnamento che da esso si può trarre in un’ottica più generale?
Crediamo non sia giusto fare della Campania, per mezzo della sola immagine dei rifiuti, il totale negativo del Sud della penisola. Certo le domande sul contributo di stato e regione in tal senso sono legittime, ma forse non del tutto esaustive. Basta fare accenno ad un problema specifico, quello delineato ad esempio nel saggio a cura di Marco Letizi, Comportamento criminale, Ecomafie e Smaltimento dei rifiuti. Strumenti e proposte per un approccio analitico (Rubbettino, pp. 214, € 10,00).
Paradossalmente sembra aver capito l’importanza dei rifiuti chi proprio non avrebbe dovuto... L’invito del libro è volto infatti all’unione, anche degli stati, per fare in modo che sia la legalità ad occuparsi di un tale problema. La rieducazione, che si invoca per la Campania, vale per ogni parte d’Italia e non solo. Non ci sono governi precedenti, crediamo, che abbiano la colpa di quanto accade ora nel caso specifico in Campania, né a livello regionale né nazionale.
Il tema dei rifiuti è una questione di educazione a se stessi e all’ambiente in quanto rappresentazione della vita quotidiana del sé. E una tale educazione viene dallo stato solo in seconda battuta. Quest’ultimo è fatto di individui e l’individuo si riconosce come tale non in virtù dello stato in sé, ma dei suoi piccoli stati quotidiani: la famiglia, la scuola, l’ambito lavorativo. Non c’è un rifiuto dei rifiuti da parte dello stato, ma da parte dell’uomo che fa lo stato ad ogni livello particolare. Per questo Scanzano o la Campania non sono che logiche di un tutto che ha valore a partire proprio da se stesse, perché l’eterogeneità dello stato è frutto anche di esse e non di un percorso aprioristico.
Stiamo vaneggiando su un desiderio mondiale di educazione? No, solo di piccole educazioni che fanno poi la grande: quella in cui il tema dei rifiuti diviene un problema mondiale solo perché lo si risolve a partire dalle singolarità. Tuttavia, a volte, ci sono individualità più forti di altre: le ecomafie, per quanto riguarda l’ottica del saggio di Letizi, i “rifiuti della camorra”, per ciò che concerne nello specifico il caso della Campania. E il cittadino cosa può fare?

Speranze e impegni futuri
Facile da dirsi, probabilmente, ma lo facciamo ugualmente: parlare e ancor prima agire. Come? Trattando i suoi rifiuti non come tali e questo non per ciò che essi rappresentano in sé, ma per quello che possono valere per lui. Non sarebbe paradossale allora parlare di “metafisica dei rifiuti”, di un senso altro da trovare in tale problema, se non per risolverlo almeno per attenuarlo. Prima per noi stessi e se non per un’aspirazione al bene collettivo almeno a quello particolare.
Gli anni che abbiamo indicato per la distruzione dei rifiuti abbandonati senza criterio sono gli stessi dei nostri figli per i quali si aspira, almeno così dovrebbe essere, al meglio. E se un meglio è già un rifiuto la cosa è davvero preoccupante. La cultura della quale ci fregiamo ad ogni livello della nostra esistenza deve servire anche a questo: a rifiutare tutto ciò che non concorre alla costituzione di essa e, paradossalmente, a non rifiutare il “rifiuto” per eccellenza, quello umano, che nel suo essere tra cielo e terra deve anche occuparsi di non essere davvero un rifiuto, ma molto altro di più.
E perché no anche partendo dal suo essere rifiuto, perché non tutto ciò che non serve più va buttato, e quando conserviamo tante cose spesso accade che qualcosa finisca per esserci di nuovo utile e se l’abbiamo ancora a portata di mano è meglio, ma se è già stata cestinata possiamo provare ad averla di nuovo ma magari ci vorrà uno sforzo ulteriore.
Riuscire a trasformare l’inutile in utile è la magia più bella che un dio ci permette di attuare.
Ci scusiamo se non siamo riusciti a trovare altro modo per parlare di rifiuti se non questo. Le denunce sono state già fatte, anche se probabilmente molto in ritardo, e in modo di certo numeroso. Non è più tempo per questo, perché denunciare non serve a modificare. È certo il primo passo, ma non basta. E dove non arriva l’umano del corpo è necessario che arrivi quello del pensiero, anche perché i due non sono scissi. Ecco perché il problema dei rifiuti, volenti oppure no, è un problema delle nostre vite di tutti i giorni e come ogni problema va risolto dal particolare per poi giungere alla risoluzione universale dell’intero.
L’augurio perciò non va né a Scanzano, né alla Campania e neppure alla nostra Italia, ma più semplicemente, e con un pizzico forse di eccessiva autostima, a noi stessi che possiamo davvero ripensare il nostro rifiuto dei rifiuti.

Sonia Vazzano

(direfarescrivere, anno III, n. 14, aprile 2007)
 
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