Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
In primo piano
La proposta di Donzelli: fornire incentivi
per avvicinare i nostri giovani alla lettura
Un prestito d’onore di 1.500 euro nel triennio delle medie inferiori,
da spendere solo in libri, in autonomia, per stimolarne l’interesse
di Luigi Ambrosi
«L’Italia è un paese che ha degli indici di lettura depressi: soltanto il 43% degli adulti legge almeno un libro all’anno, se poi guardiamo al Mezzogiorno, e in particolare a regioni come la Calabria, questa percentuale si abbassa drasticamente». Il sintetico scenario delineato da Carmine Donzelli, fondatore dell’omonima casa editrice – ormai presente da quindici anni con un ruolo sempre più significativo nel panorama nazionale –, è già noto ma ogni volta che lo si osserva desta amarezza e preoccupazione. «Il problema è – incalza l’editore, incontrato nel suo studio di Roma – aiutare la nascita di nuovi lettori, questione che ha una rilevanza civile, riguarda la dotazione culturale e intellettuale di un’Italia che viene ripetutamente descritta come un paese a sviluppo bloccato, con scarsa propensione all’innovazione. È la dotazione di saperi che si presenta carente e rende difficile la proiezione in avanti di un paese come il nostro».
Per venire incontro a questo bisogno Donzelli ha deciso di avanzare una proposta, a cui sta «pensando da parecchio tempo, un’idea complessa, di non facile realizzazione perché comporta l’aggregazione di differenti partner». Una proposta non certo risolutiva ma che tenti di fronteggiare il problema a partire dalle zone dove questo «brucia di più, a causa della sua distribuzione territoriale diseguale». Perciò il suo discorso appare come un’esortazione ambiziosa e precisamente orientata: «Mi piacerebbe che la sperimentazione pratica di questa idea avvenisse in Calabria – caratterizzata da una diffusione di libri a livelli di terzo mondo – anche se potrebbe essere applicata ovunque».

Ma procediamo con ordine: come nascono i “nuovi lettori”?
L’abitudine a leggere libri, non quelli scolastici, a diventarne fruitori e quindi acquirenti si contrae o, al contrario, non si contrae – questo dicono tutte le statistiche – in una fascia d’età sostanzialmente adolescenziale. Più precisamente si diventa lettori superando due “asticelle”, posizionate come due “parallele asimmetriche”: la prima si pone nella fase di iniziazione in fascia scolare elementare, cioè una prima discriminazione forte si ha tra i 6 e i 10 anni , perché se la famiglia e la scuola abituano il bambino ad una frequentazione con il libro ciò renderà enormemente più facile il suo futuro di lettore, se non lo abituano sarà, invece, un disastro.
Dopo questa prima fase ve n’è poi un’altra, che – a mio modo di vedere – è quella decisiva, dato che pure coloro che avessero superato la prima asticella non è detto che superino la seconda. Essa consiste nel fatto di diventare lettori autonomamente, ossia di decidere per conto proprio di prendere un libro, in totale libertà, senza che nessuno te lo abbia imposto, sentendo questo rapporto con la lettura come una gioia e un piacere che arricchisce. Questo secondo livello si pone tra i 14 e i 18 anni, nell’età che corrisponde alla scuola media superiore.

Questo è un discorso generale, che vale dappertutto. Ma qual è la situazione della lettura nel nostro paese?
Lo stato della lettura in Italia mostra degli indici che sono relativamente più bassi degli altri paesi paragonabili a noi, diciamo che sono depressi rispetto a realtà come quella tedesca, quella francese, quell’inglese, ma anche quella spagnola, per non parlare degli Usa...

E quali sono i caratteri salienti della situazione italiana?
Il mercato dei libri in Italia risulta con una media da “polli di Renzo”. Infatti, ci sono delle forti sperequazioni negli indici di lettura secondo tre assi: leggono molto di più le persone con un livello più alto d’istruzione – cosa che ci si potrebbe aspettare –; leggono molto di più le persone con un alto livello di reddito – meno scontata della prima ma che ci si potrebbe pure aspettare –; inoltre leggono molto di più quelli che abitano al Centro-Nord rispetto a quelli che vivono al Sud. Le statistiche più recenti sono quelle raccolte per il convegno, una sorta di “stati generali dell’editoria”, che si è svolto qui a Roma a metà settembre.

Perché questo ritardo così significativo del Meridione?
Le diagnosi per capire come questa propensione alla lettura sia così bassa sono tante, esistono diversi elementi che spiegano fenomeni di questa natura: di sicuro, c’è una scarsa “irrorazione” di punti di vendita, di librerie, quindi una difficoltà a raggiungere l’oggetto libro da parte dei suoi potenziali consumatori; c’è poi una disabitudine, una scarsa dotazione di stock di libri all’interno delle famiglie, di “biblioteche domestiche”, che sono la prima base per consentire un’espansione della lettura; indubbiamente ci sono carenze molto forti per quanto riguarda le biblioteche pubbliche, in particolare quelle scolastiche, che non offrono spesso i servizi adeguati; più in generale, non si considera il libro come un oggetto di desiderio e di consumo da parte delle giovani generazioni.
Inoltre, si può aggiungere che la scuola italiana non aiuta, poiché l’idea di libro che complessivamente si forma nella realtà scolastica italiana tende a valutarlo come un succedaneo, un surrogato. È invalso il criterio unico del libro scolastico adottato, che spesso esaurisce nelle mente dei ragazzi l’universo stesso della lettura: i libri coincidono con i manuali e vengono vissuti in questo senso come un obbligo, un’imposizione.

E su questo, come sul resto, dovrebbe intervenire la politica…
In effetti, da tante parti si fa un gran parlare di politiche pubbliche a sostegno della lettura. Anche ultimamente, a questi “stati generali dell’editoria” hanno partecipato, oltre a tutti gli editori, le varie forze politiche ed esponenti qualificati del governo. D’altronde si possono fare diverse politiche di espansione degli indici di lettura: si può pensare di intervenire a livello dell’infanzia, si può intervenire con l’incentivazione delle biblioteche pubbliche, ecc.
Con il proposito di articolare idee in merito, abbiamo provato a costruire un’associazione tra alcuni editori di buona volontà, che si sono posti il problema di lavorare insieme con tutta la filiera del libro (librai, bibliotecari, professori, ecc.). Un’associazione costituita a Roma da Donzelli, Giunti, Laterza, Sellerio, per nominarne solo alcuni, e che si riunisce una volta all’anno per discutere in un forum per la promozione della lettura, che si terrà quest’anno a Bari, tra il 9 e l’11 di novembre.

Quali sono le richieste delle case editrici?
Su questo punto c’è una precisazione molto importante da fare: non abbiamo bisogno in Italia di politiche a sostegno degli editori. Il discorso non riguarda la richiesta di sovvenzione, di aiuti per il settore, come spesso si tende a fare in tanti altri campi, pure nel nostro, a dire il vero. Si tratta di un’opinione peraltro condivisa da molti miei colleghi, quelli che io considero più seri. Il mercato editoriale italiano risulta comunque da paese avanzato, ha dei numeri e delle caratteristiche che presi in sé non sono particolarmente depressi. Penso che il settore della produzione editoriale non è tra quelli con cui ci si arricchisce facilmente, ma credo pure che le imprese serie in questo campo non hanno bisogno di aiuti finanziari e guai se dovessimo entrare in un meccanismo di pagamento sovvenzionato per l’attività editoriale!
Personalmente ho fatto una casa editrice piccola, che si basa su una totale autonomia, che non ha mai voluto legarsi a qualsiasi tipo di vincolo esterno alla proprietà da cui era nata, che era ed è quella di un gruppo di soci interessati a fare dei bei libri, sostanzialmente. Sono 15 anni che l’abbiamo fondata, naturalmente abbiamo avuto alti e bassi ma non ho mai pensato di dover tendere la mano e penso anche che la nostra esperienza possa dimostrare come sia possibile, quando si riesce a lavorare con accortezza, intensità e con capacità professionali, vincere queste sfide. Ripeto: non è un problema di aiuto agli editori.
Piuttosto le carenze vanno ricercate nella distribuzione. Faccio un esempio: essendo un editore che pubblica spesso libri che riguardano la Calabria e il Mezzogiorno, dovrei avere un fatturato fortemente sbilanciato in un senso di assorbimento meridionale, invece in Calabria è meno dell’1%! Questo soprattutto perché non ci sono librerie, c’è qualche cartolibreria che vende principalmente libri scolastici e quindi tende ad avere un assortimento limitato di libri non scolastici, si accontenta di prendere i titoli più facili.

Da dove cominciare allora, per affrontare una situazione così critica?
Il discorso che abbiamo fatto fino a questo momento suggerisce che il nodo cruciale su cui concentrarsi potrebbe essere quello della formazione del primo mezzo metro di scaffale di biblioteca da parte di un ragazzo tra i 15 e 18 anni, con quei libri che si terrà per tutta la vita in posizione predominante dietro le spalle della sua scrivania, se ne avrà una, e comunque al centro perché sono i primi libri, i quali sono come i primi amori: di loro non ci si scorda mai.
Vanno fatte delle politiche pubbliche serie che siano di promozione non solo genericamente della lettura leggera, ma anche dell’idea che il libro è un bene, un oggetto bello da possedere, qualcosa su cui si può e si deve investire a livello dei piccoli investimenti alla portata delle tasche di un ragazzo. Specie in regioni depresse come la Calabria, questa tendenza trova un vincolo innanzitutto nella difficoltà finanziaria e poi nella capacità di reperire i libri stessi. Se non ci sono i soldi, cioè la capacità di spendere da parte dei ragazzi, e se non ci sono i libri, cioè l’opportunità di avere dei posti dove si possano vedere, in un numero e in una varietà adeguata, tra i quali si possa scegliere, è chiaro che tutto ciò procura la depressione di questo bene.

Arriviamo al nocciolo dell’idea…
Appunto: secondo me si potrebbe creare un meccanismo di prestito d’onore per la costruzione di questo primo mezzo metro di scaffale di biblioteca per i ragazzi delle scuole medie superiori. Immagino un badge, un tesserino, simile ad una carta bancomat, su cui ciascuno dei frequentanti, ad esempio, il triennio delle scuole superiori avrebbe un credito – se vogliamo fare una proposta concreta – di 500 euro all’anno. Ciascuno dei ragazzi – senza distinzione di ordine di scuola – potrebbe acquisire gratuitamente il tesserino, che offre nel triennio una disponibilità di 1.500 euro. Si tratta solo di ipotesi naturalmente, tutto ciò che dico da ora in avanti è soggetto ad una discussione.

Che c’è già stata?
I numeri che riferisco non sono tirati a casaccio, sono stati in qualche modo precedentemente discussi in una prima approssimazione tra gli addetti ai lavori del forum che ho citato. Poiché in quella sede ho pensato di cominciare a dare concretezza all’idea che da qualche tempo stavo elaborando e che ha trovato grande attenzione negli altri partner dell’associazione. Come vedremo, però, gli interlocutori principali di un progetto di questo genere, molto ambizioso, sono ben altri.

Una volta ritirato il tesserino, come potrebbero muoversi i ragazzi?
Si potrebbero presentare alle librerie, che dovrebbero essere indicate in maniera molto precisa nell’ambito della proposta, come dei punti di vendita qualificati di un sistema regionale di lettura. Quindi potrebbero scegliere le proprie letture preferite e pagare con il tesserino piuttosto che con denaro contante. La scelta del libro dovrebbe essere assolutamente libera, non vincolata da alcun tipo di criterio. Io penso che il primo elemento di fascino del libro consista per un adolescente nell’assoluta libertà dei pensieri e delle riflessioni che gli suggerisce, quindi immagino già quali possono essere le obiezioni, che prevengo: non c’è censura possibile, l’amore per il libro scatta anche come soddisfazione di curiosità, di pulsioni che nell’età adolescenziale sono da mettere in conto.
Così facendo non auspico naturalmente a un picco di vendite della letteratura erotica e pornografica e credo per la verità che non sarebbe questo l’effetto che otterremmo. Ma ritengo che sia molto importante, in linea di principio, che il ragazzo abbia una totale autonomia di scelta. Perché qualsiasi tipo di limitazione si volesse porre renderebbe l’operazione falsa, indigeribile, lesiva della sacra autonomia a cui i ragazzi tengono tanto in quella fase particolare della vita.
Quindi, senza aggiungere un euro di contante per l’immediato, il meccanismo sarebbe questo: il tesserino viene rilasciato attraverso una convenzione con le istituzioni pubbliche, da un lato, e una, o più banche, dall’altro, le quali in questo modo attiverebbero una sorta di conto corrente intestato al ragazzo, sul quale ogni anno caricherebbero il credito da spendere ovviamente soltanto in libreria. L’unico divieto posto sarebbe quello di non comprare libri scolastici, il manuale di storia o di italiano, perché quelli fanno parte di una logica differente, sono strumenti didattici.

Quando i soldi andrebbero restituiti?
L’impegno d’onore che assumerebbe il beneficiario scatterebbe una volta raggiunta un’autonomia economica e finanziaria. Il ragazzo si impegnerebbe a restituire in maniera molto diluita e dilazionata, per esempio 20-30 euro al mese, i soldi che gli erano stati prestati solo quando si stabilizzerà, dopo il suo ciclo di studi, a 24-26 anni, quando comincerà a lavorare e senza sovraccaricarsi di interessi o con un interesse meramente nominale e irrisorio.

Ha già fatto delle previsioni sulle percentuali di adesione?
Sì, questi progetti si fanno dando una prima misura di fattibilità. Statistiche alla mano, per il triennio delle superiori, una regione come la Calabria possiede una popolazione scolastica complessiva di poco più di 60.000 unità. Se un meccanismo di questo genere fosse ben promosso e propagandato, potremmo ipotizzare un’adesione del 20% del campione complessivo e quindi 12.000 potenziali acquirenti. Credo che di questi 12.000, molti tenderebbero a spendere tutto il credito caricato sul tesserino. Infatti, secondo me è probabile che non lo si attivi per molte ragioni (disinteresse, diffidenza, ecc.), ma il ragazzo che ha deciso di attivarlo dovrebbe spendere tutti i 1.500 euro. Anzi è facile che vada anche oltre, perché il meccanismo che si innescherebbe è quello di acquisire l’abitudine ad andare in libreria e di seguire con curiosità le novità editoriali che riguardano gli argomenti di proprio interesse.

Ne verrebbe fuori un bel giro d’affari?
Se aderissero 12.000 persone, ipotizzando un credito di 1.500 euro sull’arco di tre anni, si raggiungerebbero 18 milioni di euro di libri a prezzo di copertina, che corrispondono – anche se qui si tratta di proporzioni e non di dati – a più del doppio dei libri attualmente venduti generalmente in Calabria. Non so se rendo l’idea di che tipo di terremoto comporterebbe questo. Oggi, infatti, in Calabria si vendono tra i 7 e gli 8 milioni di euro di libri, esclusi quelli scolastici.
Improvvisamente, se funzionasse la mia idea, si venderebbero i 7 di oggi più i 18 ai ragazzi con il tesserino. Quello che più interessa è il rilevante effetto che riguarderebbe l’intera filiera degli operatori del settore, la crescita che comporterebbe pro quota per ciascuno di noi: Mondadori avrebbe una fetta assai rilevante da questo allargamento del mercato, in proporzione io ne avrei una più piccola ma tutti gli editori venderebbero molti più libri; pure tutti i librai – quelli che esistono e quelli che vorrebbero diventarlo – avrebbero a che fare con un mercato meno asfittico.

Potrebbe così modificarsi il settore della vendita, che è proprio il punto debole di regioni come la Calabria…
L’ampliamento mastodontico del mercato già esistente avrebbe un effetto misurabile soprattutto in una regione come la Calabria. Mentre qui si interviene su un mercato assolutamente depresso, al punto tale da rendere improbabile la sopravvivenza delle librerie, ad esempio in Lombardia non sarebbe così, perché c’è già un mercato molto strutturato che avrebbe anch’esso ulteriori vantaggi sebbene non paragonabili a quelli che può determinare l’insediamento di un’esperienza di questo tipo in regioni a minore dotazione di strutture di vendita.
Il vantaggio evidente di crescita del fatturato, quindi della dimensione complessiva del settore, costituirebbe un’incentivazione per le librerie che già esistono a ingrandirsi e prendere più libri, oppure per nuovi soggetti che volessero entrare sul mercato, libero e non condizionato. Il surplus che deriverebbe da un potenziale di lettori consentirebbe di situare librerie anche in centri medio-piccoli come la maggior parte di quelli calabresi. Se un meccanismo del genere fa nascere due librerie e poi ce n’è una che muore e l’altra che sopravvive, a causa della concorrenza, è comunque auspicabile, anzi credo che sarebbe assai virtuoso.

Ma chi li mette i soldi?
Questo è l’interrogativo principale. La copertura necessaria di questo fabbisogno dovrebbe venire – qui la discussione si può approfondire e io non ho delle ipotesi così rigidamente precise – per una quota primaria da parte delle banche, e per una quota relativamente secondaria e sostanzialmente di copertura del rischio da parte dell’istituzione pubblica regionale. Le banche, o le fondazioni bancarie, potrebbero essere straordinariamente attratte da un meccanismo di questo genere. Facciamo un’ipotesi estrema: nessuno dei ragazzi restituirà mai un euro di quelli che si è preso, sebbene io creda che non sarà così perché il meccanismo del prestito d’onore ha rilevanza etica, comunque la banca ha ottenuto la precocissima fidelizzazione di un cliente.
In altre parole: il ragazzo ha aperto un conto corrente per il momento senza averci depositato soldi e con la sola idea di poter utilizzare il credito della carta per l’acquisto dei libri, ma quando passa da 16 a 18 anni, quando comincia ad aver bisogno o voglia di una minima autonomia finanziaria, quando comincia ad avere 200 euro da depositare, la banca si ritroverebbe con un vantaggio posizionale enorme perché il ragazzo avrebbe già creato un rapporto di fidelizzazione. Credo – sebbene non sia un bancario – che le politiche di fidelizzazione, tra marketing e pubblicità siano più costose di 1.500 euro a cliente. Caso mai bisognerebbe stare attenti a non privilegiarne una in particolare perché si potrebbero creare squilibri potenziali, assicurandosi che anche questa fase avvenga in un regime di competizione aperta.

E la Regione cosa dovrebbe fare?
Promuovere una sorta di iniziativa quadro, non so nemmeno se una legge, comunque un regolamento di disciplina del meccanismo, garantendo qualche fondo di copertura per l’eventuale mancato rientro di questi crediti, di parte del rischio bancario. Se la regione dicesse: “metto il 10% in un fondo di garanzia per cui la banca alla fine di conti, se proprio gli va male, il 10% se lo riprende”, sarebbe un altro incentivo molto interessante da costruire.

E questo sarebbe l’unico contributo da parte delle istituzioni?
No, tutto ciò avrebbe bisogno di una triangolazione con il sistema scolastico, perché – ed è un altro punto molto delicato – il fatto che nella mia idea non ci sia un’indicazione cogente per i ragazzi riguardo ai libri da acquistare, non significa che andrebbero lasciati soli e abbandonati, allo sbaraglio. Fermo restando il criterio della loro assoluta e ultima libertà totale, è logico che il sistema famiglia-scuola dovrebbe agire su questi ragazzi in modo tale da non opprimerli ma pure consigliarli, orientarli.
Per esempio ho parlato molto con il preside del Liceo “Galluppi” di Catanzaro che ogni anno organizza la rassegna “Gutenberg”, che si pone molto in questa direzione. Se l’istituzione scolastica, una volta all’anno, invita a discutere dieci autori importanti su dieci libri qualificanti, se a quel punto il ragazzo con il tesserino ha potuto sostenere un confronto… è più motivato ad andare a comprarsi il libro. Le scuole dovrebbero quindi in questo senso fare un politica incisiva rispetto alle loro biblioteche, qualificare l’iniziativa degli insegnanti e orientare così il gusto e la propensione dei ragazzi.

I professori però hanno degli stipendi piuttosto magri e hanno difficoltà essi stessi a comprare i libri?
È vero e credo che andrebbero attuate politiche di incentivazione alla lettura rivolte ai docenti, ma su un’altra scala, preferibilmente nazionale, sotto la forma di sgravi fiscali e contributivi. La dimensione regionale invece è proprio quella giusta per fare politiche di promozione della lettura presso i ragazzi perché si ha una maggiore possibilità di dosare e di mirare.

Gli editori e i librai non rischierebbero niente?
Quale è il problema? Devo rinunciare ad un 5% per cento del mio margine operativo come editore? Lo faccio volentieri. Pure il libraio deve rinunciare ad un pezzo del suo guadagno? Una volta che si entrasse in una dinamica operativa, con dei numeri effettivamente vagliati, in un tavolo precostituito con il giusto equilibrio di rappresentanza tra i vari soggetti che dovessero intervenire, è chiaro che se ne discuterebbe. Ma nel momento in cui il mio 1% diventa il 3%, perché questo sarebbe il risultato effettivo per una casa editrice come la mia, su quei 2 punti in più io posso essere più generoso, sono dei punti che non mi verrebbero altrimenti. Non c’è editore che a fronte della possibilità di aprire nuovi canali di mercato non metta in conto di dovere praticare una qualche forma di sconto.
La partecipazione degli editori e dei librai dovrebbe essere regolamentata: si possono stabilire criteri generali ed ex ante per cui gli editori concedano uno sconto del 10%, che i librai partecipino lasciando alla banca il 3% o il 5%. Il grande editore quale Mondadori su una cosa del genere ci starebbe volando ma non solo: se Mondadori fa il 33% del fatturato nazionale, e gli si offre una possibilità del genere in Calabria, dei 18 milioni di euro gliene andrebbero 6; ma se Mondadori avrà 6 milioni di euro, io 6.000 e comunque rappresentano un surplus di fatturato. Il libraio passerà da 1.000 a 2.000 euro al mese. È un meccanismo virtuoso per tutti e quindi è un meccanismo che in astratto e in teoria dovrebbe stare in piedi.

Quali potrebbero essere gli inconvenienti più insidiosi?
Bisognerebbe evitare innanzitutto che diventassero dei carrozzoni di mangia-mangia, per esser chiari…
Poi c’è la definizione: il prestito d’onore non ha funzionato in altri casi e sarebbe meglio approfondire una riflessione ulteriore riguardo alla formula perché io non lo chiamerei prestito d’onore, bisognerebbe inventarsi un’altra espressione, sebbene la sostanza sia quella, cioè un meccanismo di pagamento differito sulla base di un impegno morale e non giuridico.
Non mi sfugge, d’altronde, che si tratta di meccanismi che hanno bisogno di esser pensati in modo da evitare che finiscano per risultare di selezione elitaria, perché è sicuro che il figlio del primario, la figlia dell’avvocato attiveranno il tesserino – gli conviene soltanto –, è pure vero però che sono quelli che ne avrebbero meno bisogno. Un meccanismo di questo genere funziona improvvisamente e in modo generoso, a fasce di reddito basso, a chi sta in posizioni sociali marginali un accesso ad una possibilità, perché allora questo cambierebbe le cose.
Un’idea abbastanza utopistica…
Sì, e posso aggiungere l’idea che tutto questo meccanismo potrebbe coagularsi in un’iniziativa di una settimana, tenuta una volta all’anno, dedicata a questi giovani lettori, che chiamo – nella mia provvisoria immaginazione – una “Woodstook dei libri”. Immaginiamo un prato della Sila piuttosto che una qualsiasi spiaggia calabrese, dove i ragazzi, con i loro sacchi a pelo e con i loro badge per l’acquisto dei libri, possono ritrovarsi una sorta di fiera specifica per quella fascia d’età. Un grande appuntamento nazionale a cui chiamare i grandi editori, affinché portino le loro star, i loro autori più importanti. Una manifestazione che si colleghi al circuito delle fiere librarie nazionali ma che abbia la sua specifica autonomia nel senso di rivolgersi al segmento che abbiamo individuato. Infine, la mia idea non è la panacea ma l’individuazione di una concreta possibilità di una politica mirata alla fascia adolescenziale che, per quello che io ritengo – anche sulla base delle mia esperienza personale –, è il luogo vero di origine della passione per i libri, quel virus o si prende a quell’età oppure non se lo prende più.
La mia idea è utopistica anche perché lo potrebbe essere per un fatto non piccolo, non irrilevante, che anzi credo fondamentale e cioè che se mai la Regione Calabria facesse una cosa del genere forse ci potrebbe essere una trasmissione di Santoro su un’iniziativa del genere e non invece sulla ’ndrangheta. Il valore aggiunto di un’iniziativa positiva, che sia di avanguardia, che abbia le caratteristiche di un’innovazione forte e che mostri come possibile modello qualcosa anche agli altri, è quello che alla Calabria servirebbe come il pane in questo momento per uscire dall’accerchiamento e asfissia nei quali si trova.

Luigi Ambrosi

(direfarescrivere, anno III, n. 13, marzo 2007)
 
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