Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
In primo piano
Così usati, così sfruttati, così maltrattati:
la denuncia delle crudeltà sugli animali
Le idee del passato e le recenti teorie: la tematica della protezione
dei nostri “fratelli” e la loro inclusione tra i fruitori dei diritti naturali
di Giuseppe Licandro
Ogni anno scopriamo che migliaia di animali vengono abbandonati senza pietà – spesso sul ciglio di strade a percorrenza veloce – da persone insensibili, vogliose solo di godersi in “santa pace” le vacanze estive, senza l’assillo degli ingombranti “amici”. Spesso ci giunge notizia di poveri cani, strapazzati nelle lotte clandestine che la malavita organizza nell’ambito delle scommesse illegali. E, ancora, veniamo a conoscenza di scandali che riguardano canili “lager” o addirittura “fasulli”, finalizzati solo ad intascare i soldi dei contribuenti. Per non parlare, inoltre, dei traffici di animali esotici, del bracconaggio e della pratica, spesso inutile e crudele, della vivisezione.
Sembra proprio che l’umanità, nonostante sia convissuta per migliaia di anni con gli animali, non abbia ancora imparato ad amarli e a rispettarli come dovrebbe, sebbene la tematica della loro protezione sia diventata, da tempo, uno degli argomenti prediletti della discussione bioetica.

La Bibbia, i Greci e S. Francesco
Nel pensiero filosofico occidentale è possibile individuare un’evoluzione culturale che, partendo da uno stadio “arcaico” in cui gli animali erano ritenuti solo risorse da sfruttare ad esclusivo beneficio dell’uomo, è approdata, infine, ad una diversa e più avanzata impostazione della relazione con loro da parte degli uomini, grazie all’impegno fattivo dei movimenti animalisti.
Al contrario, le culture orientali – in particolare il buddhismo e il jainismo – già da vari millenni hanno dimostrato spiccata sensibilità per l’esistenza degli animali, riconoscendo la loro “dignità spirituale” molto tempo prima (e più sentitamente) degli occidentali. Eppure, l’occidentalizzazione rapida dei paesi asiatici ha intaccato il tradizionale rispetto che le culture autoctone nutrivano verso il mondo animale, cagionando la diffusione di tecniche deleterie di allevamento intensivo, foriere di gravi calamità per la stessa specie umana (vedi la recente influenza aviaria).
Le due fonti primarie della tradizione morale occidentale, la Bibbia e la filosofia greca, escludono generalmente gli animali da ogni considerazione di tipo morale (fanno eccezione nella cultura antica i Pitagorici e alcune sette gnostiche, che praticavano il vegetarianismo).
La tradizione biblica giudica l'uomo come il signore incontrastato della natura e degli animali, di cui può disporre senza vincoli. Nell’Antico Testamento si legge che Dio assegnò all’uomo il dominio «sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra» (Genesi, I).
Il maggiore tra i filosofi greci, Aristotele – che pure, con gli scritti Storia degli animali, Sulla generazione degli animali e Sulle parti degli animali, ha avuto il merito di aver iniziato la “zoologia scientifica” –, ha espresso giudizi molto riduttivi sugli animali, in particolare su quelli domestici. Ponendoli sullo stesso piano dei servi, egli arriva a sostenere, nella Politica (Laterza), che «gli uni e gli altri, gli schiavi e gli animali domestici, si utilizzano per i servizi necessari al corpo».
Nel corso del Medioevo, la visione antropica della natura si rafforza, anche se il dispregio per gli animali comincia ad attenuarsi. Tommaso d’Aquino ne La somma teologica (Salani) ritiene, infatti, che, in nome della carità cristiana, si devono rispettare tutti gli esseri viventi, in quanto «anche gli animali privi di ragione partecipano a loro modo la legge eterna, come le creature ragionevoli».
Amorevole e profondamente premuroso verso il mondo degli animali appare, altresì, il contegno di S. Francesco d’Assisi che, nel suo famoso Cantico delle creature, non esita a lodare Dio «con tutte le sue creature».
Manca, tuttavia, nella cultura medievale qualsiasi riferimento etico alla dignità e ai diritti degli esseri che hanno popolato la Terra ben prima dell’uomo, il quale continua ad essere considerato come “il centro” della creazione.

Da Campanella all’Ottocento
Il pensiero magico-ermetico rinascimentale, pur accentuando la visione antropocentrica del cosmo, porta a rivalutare il mondo animale, in virtù di una spiccata sensibilità ilozooistica.
Ad esempio, Tommaso Campanella, che fu l’ultimo grande esponente di questa corrente di pensiero, nella nota opera Del senso delle cose e della magia (Rubbettino), dedica ampio spazio alla trattazione della vita animale, sostenendo che: «Negli animali senso, memoria, discorso e giudizio trovarsi, ma non mentale, razionale, umano».
La successiva rivoluzione scientifica del Seicento rinnova gli antichi pregiudizi contro gli animali, alla luce della mutata concezione della natura, orientata in senso prettamente meccanicistico e riduzionistico, che comporta una diversa valutazione degli esseri viventi, rispetto al pampsichismo rinascimentale.
Cartesio, nel celebre Discorso sul metodo (Laterza), contraddice le tesi campanelliane e descrive gli animali come esseri simili ad automi, incapaci di parlare e di pensare, ritenendo che la loro inettitudine ad articolare un linguaggio complesso «attesta non soltanto che le bestie hanno meno di ragione degli uomini, ma che non ne hanno del tutto».
È solo nel corso del Settecento, con l’illuminismo, che si supera l’esclusione assoluta degli animali da ogni considerazione morale. Un deciso riconoscimento in tal senso è pronunciato dal filosofo inglese Jeremy Bentham (1748-1832), fondatore dell’utilitarismo e autore del saggio Introduzione ai principi della morale e della legislazione (Utet).
Bentham, in nome del principio secondo cui bisogna garantire a tutti gli esseri la massima felicità possibile, sostiene l’obbligo dell’uomo di non infliggere sofferenza agli animali, affermando che «verrà un giorno in cui il resto della creazione animale acquisterà quei diritti che mai avrebbero dovuto essere negati dalla mano della tirannia».
Il filosofo inglese invita a considerare attentamente i sentimenti e l’intelligenza insiti negli animali, ricordando che «un cavallo o un cane adulto è un animale incomparabilmente più razionale, e più socievole, di un neonato». E, ancora, ribadisce che, dal punto di vista etico, «la domanda da porre non è: “Possono ragionare?”, né: “Possono parlare?”, ma: “Possono soffrire?”».
L’Ottocento ha, in genere, rilanciato l’idea della superiorità della specie umana sulle altre forme viventi, per quanto concerne sia l’idealismo (che intende teleologicamente l’uomo come punto di approdo dello “Spirito” insito nella natura), sia il positivismo (che individua nell’homo sapiens il prodotto più elevato dell’evoluzione biologica).
Illustri eccezioni possono considerarsi Giacomo Leopardi e Arthur Schopenhauer, che, legati da un profondo pessimismo “cosmico”, non mancano nei loro scritti di riferirsi al “dolore” che accomuna gli animali agli uomini, ponendoli moralmente sullo stesso piano.

L’odierno dibattito bioetico
Nella cultura contemporanea, all’interno del dibattito bioetico sulle responsabilità che l’uomo deve assumere nei confronti della natura, ha trovato ampio spazio la “questione animalista” e il confronto sul problema se gli animali possono essere oggetto di considerazioni morali.
Punto di riferimento imprescindibile per ogni discussione in merito è la Dichiarazione universale dei diritti dell’animale, approvata dall’Unesco nel 1978, in cui è esplicitamente asserito che «tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza».
A tale principio si ispira il movimento animalista internazionale, nato negli anni Settanta, che si articola secondo svariate direttrici e che comprende pensatori di diversa estrazione culturale, come Paola Cavalieri, Richard Hare, Tom Regan, Peter Singer, Donald Van De Veer.
Gli animalisti sono in genere concordi nel richiedere l’estensione dei diritti naturali a tutti gli animali, con una gamma di proposte che spazia dall’adozione di una dieta alimentare rigorosamente vegetariana (Singer), al semivegetarianismo (Hare), alla semplice condanna delle pratiche di allevamento intensivo o della sperimentazione sugli animali – tesi sostenuta da chi (Van De Veer) ritiene comunque ammissibili forme di allevamento a fini nutrizionali, purché rispettose della qualità della vita degli animali.
Il maggior teorico contemporaneo dell’animalismo può essere certamente considerato appunto il filosofo australiano Singer, autore del saggio Liberazione animale (Mondadori) e fondatore del Movimento per la liberazione animale, che ha posto all’attenzione dell’opinione pubblica il ripudio della caccia, della vivisezione e il superamento dello “specismo” (ossia delle discriminazioni tra le specie viventi).
Egli è rigorosamente vegetariano e motiva questa sua scelta di vita facendo riferimento alla filosofia utilitarista, secondo cui, accomunando la ricerca della felicità tutti gli esseri viventi, gli animali non possono essere maltrattati, né uccisi. In un significativo passo del suo libro egli afferma, infatti, che «dolore e sofferenza sono cose cattive e dovrebbero essere impedite o minimizzate, indipendentemente dalla razza, dal sesso o dalla specie a cui appartiene l’essere che soffre».
Lo statunitense Regan, autore de I diritti animali (Garzanti), s’ispira, a sua volta, ad una visione “giusnaturalistica”, estesa anche agli animali. Essendo convinto che i diritti naturali non possono essere prerogativa solo degli uomini, ma vanno allargati anche ad altre specie animali (in particolare a tutti i vertebrati), egli giustifica così la sua originale posizione: «Se si ammettono che esistono diritti umani fondamentali e che tali diritti competano anche alle esistenze marginali – quegli esseri umani privi, per età o per menomazione, delle qualità di agenti consapevoli e razionali –, allora anche altri esseri viventi devono essere riconosciuti titolari di diritti».
Su questa linea di pensiero si pone anche la Cavalieri, autrice del libro La questione animale (Bollati Boringhieri), in cui propone di rendere effettiva la citata dichiarazione del 1978 e di riconoscere gli animali come “soggetti di diritto” che, in quanto tali, non possono subire pratiche di asservimento e di manipolazione da parte della specie umana.
Su un versante diametralmente opposto si collocano molti teologi di estrazione cattolica, in particolare un gruppo di studiosi facenti capo alla rivista La civiltà cattolica, che, riprendendo in sostanza le tesi cartesiane, enfatizzano la “diversità ontologica” esistente fra uomini e animali, in nome di un “teo-antropocentrismo” radicale.
Nell’editoriale Gli animali hanno diritti?, apparso sulla rivista gesuitica il 20 febbraio del 1999, si dice palesemente che «gli animali sono diversi non per grado, ma per natura dagli uomini, perché, a differenza degli animali, gli esseri umani possono ragionare e parlare [...]. Quindi parlare di diritti degli animali è senza senso, essendo il diritto legato alla persona».

L’associazionismo animalista
Uno dei principali gruppi animalisti operanti in Italia è la Lav (Lega antivivisezione), un’associazione che si adopera prioritariamente nel contrastare la pratica della vivisezione degli animali, usata nel corso degli esperimenti biomedici.
La Lav si è impegnata storicamente anche nella lotta contro la caccia, gli allevamenti di animali da pelliccia, la sperimentazione di cosmetici sugli animali e la loro detenzione negli zoo e nei circhi. Negli ultimi anni si è molto attivata contro la cosiddetta “zoomafia”, vale a dire lo sfruttamento illegale e a fini di lucro degli animali da parte della criminalità organizzata, che controlla da tempo le scommesse legate alle corse clandestine di cavalli e ai combattimenti fra cani, nonché il traffico illecito di animali esotici e la macellazione clandestina.
Altre note associazioni impegnate sul fronte animalista sono il Wwf (World wildlife fund), Greenpeace, l’Enpa (Ente nazionale protezione animali), la Lipu (Lega italiana protezione uccelli). Queste organizzazioni da molti decenni si battono contro ogni violenza esercitata sugli animali e per la salvaguardia delle specie in estinzione; alcune di loro gestiscono parchi naturali ed oasi faunistiche.
Le petizioni e le lotte non-violente, portate avanti a partire dagli anni Ottanta in Italia dall’associazionismo animalista, hanno sortito dei risultati apprezzabili, con l’approvazione da parte del Parlamento di varie norme per la tutela degli animali, tra cui la legge 20 luglio 2004 n. 189, recante il titolo Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate.
La normativa introduce nel codice penale i «delitti contro il sentimento degli animali», che comportano – in caso di uccisione senza necessità – la reclusione da tre a diciotto mesi, mentre, in caso di semplice maltrattamento, una pena compresa fra tre mesi e un anno (anche se il reato di maltrattamento è estinguibile col pagamento di una semplice multa, che varia da 3.000 a 15.000 euro). Per avere maggiori informazioni sulla legislazione vigente in materia, si può consultare il libro, a cura di Maria Chiara Acciarini, Animali: i loro diritti, i nostri doveri (l’Unità).
Vorremmo, in conclusione di questo breve discorso sui diritti degli animali, ricordare una celebre frase di una lettera di Mohandas Gandhi (tratta da A Bunch of Old Letters di Jawaharlal Nehru, in M. K. Gandhi. Il mahatma di Franco Ruffo, B&B), che rispecchia perfettamente il nostro punto di vista:
«La vacca simboleggia tutto ciò che vive. La protezione della vacca significa protezione dei deboli, degli inermi, dei muti e dei sordi. L’uomo, allora, non diventa signore e padrone di tutta la creazione, bensì servitore di essa. La vacca, per me, è un sermone di pietà».

Giuseppe Licandro

(direfarescrivere, anno II, n. 3, febbraio 2006)
 
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