Anno XX, n. 226
dicembre 2024
 
In primo piano
I magistrati Salvini, Tamburino
e Condorelli sul “Golpe Borghese”
Il saggio di Fulvio Mazza, edito da Pellegrini,
al centro dell’evento. Ne esce male Andreotti
di Giulia Condorelli
Il libro di Fulvio Mazza (Il Golpe Borghese. Quarto grado di giudizio. La leadership di Gelli, il golpista Andreotti, i depistaggi della “Dottrina Maletti”, Pellegrini editore, pp. 304) lo scorso 26 ottobre è stato al centro di una fitta discussione svoltasi tra autorevoli magistrati e un pubblico molto interessato.
La location è stata la bella Verona, nello specifico Libre! una libreria moderna all’interno della quale si avverte un intenso odore di cultura, anzi di culture. Un luogo che affascina anche per la sua collocazione all’interno della romantica città veneta, esattamente nel cuore di quella che i veronesi chiamano “Veronetta”, la zona che dal Teatro Romano porta fino al quartiere universitario. Una libreria indipendente, caratterizzata da un ricco assortimento di nuove pubblicazioni. Un vero e proprio emporio culturale, con un fitto calendario di iniziative pubbliche.
Quando, nello scorso mese di febbraio, ci siamo recati nella libreria e abbiamo mostrato a Lia – la titolare – il libro sul Golpe Borghese, del giornalista e saggista Fulvio Mazza, ne è rimasta subito colpita e ha voluto approfondire la questione. Inoltre, leggendo che l’autore è anche direttore dell’Agenzia letteraria Bottega editoriale, che è, tra l’altro, l’editrice della presente rivista (riguardo alla quale dobbiamo dichiarare, e lo facciamo ben volentieri, il nostro conflitto d’interessi), Lia ha immediatamente avanzato la proposta di organizzare una presentazione nella sua libreria.
Così, è sorto il dibattito sul Golpe Borghese e sul golpismo degli anni Settanta.
A relazionare sono stati tre prestigiosi magistrati: Nino Condorelli, Guido Salvini e Giovanni Tamburino.
Con un sagace utilizzo delle tecnologie informatiche, è stato acquisito il pensiero di tutti e tre, superando gli ostacoli logistici.
Il primo intervento è stato quello di Guido Salvini (noto al grande pubblico per essere riuscito, grazie alle sue inchieste, ad accertare in modo ormai discusso sul piano storico-giudiziario la responsabilità dell'estrema destra per la strage di piazza Fontana) che ha aperto il dibattito con un importante excursus sul tema.
Più in generale, Salvini ha sottolineato l’importanza di rievocare questo pericolosissimo episodio storico proprio a Verona, poiché era stato uno dei centri nevralgici del neofascismo di quegli anni.
A Verona – ha evidenziato – sopravviveva un “humus neofascista” intenso e pericoloso. Questo in quanto la città portava ancora l’eco della Repubblica sociale italiana che a Verona, aveva dislocato diversi ministeri repubblichini tanto dal diventare una sorta di capitale della Rsi. E a Verona la continuità con l’estrema destra eversiva dura da allora fino ai giorni nostri. Nel merito del Golpe, Salvini ha parlato dell’importante e attivo ruolo svolto dal colonello veronese Amos Spiazzi e di come tali vicende siano ben delineate dal saggio di Mazza.
Ha poi ricordato come, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, i congiurati si riunirono in diverse basi del territorio italiano, tutti pronti a dare l’assalto ai principali centri di potere dell’epoca.
Per riferirci solo alla Capitale: il Ministero dell’Interno (il più importante di tutti) e la Rai, come istituzioni. E il Presidente della Repubblica (Giuseppe Saragat) e il Capo della polizia (Angelo Vicari), come personalità istituzionali. Tutto era pronto, gli italiani accendendo la televisione avrebbero assistito alla presa del potere da parte dei militari, con conseguente abolizione delle libertà costituzionali e la creazione di un governo provvisorio che avrebbe salvato l’Italia dalla “sovversione rossa”.
Alla mezzanotte il piano scattò ovunque, quando improvvisamente tutto si fermò per il celebre “Contrordine”.
Il perché si sia fermato, rimane un mistero.
Salvini ha evidenziato come più volte Junio Valerio Borghese e i suoi uomini si siano relazionati con l’ambasciata e con altri esponenti degli Usa a Roma, spiegando loro qual era il piano che intendevano porre in essere e realizzare, nella notte tra del 7-8 dicembre. Chiesero l’appoggio per il Golpe promettendo la successiva formazione di un governo di transizione con a capo verosimilmente un militare o un politico di fiducia, il quale avrebbe comunque indetto le elezioni dalle quali, tuttavia, sarebbero rimaste escluse le forze socialiste e comuniste.
Resi edotti – e accettata (seppur controvoglia), la volontà degli Usa acché il capo del governo golpista avrebbe dovuto essere Giulio Andreotti – Salvini ha sottolineato, concordando con il libro di Mazza, che gli Usa non si fidarono e stettero a guardare.
L’improvviso mancare dell’appoggio degli Usa e, a cascata, dei Carabinieri e dell’Esercito, fece fallire il piano.
Un piano, aggiungiamo noi, che risulta sicuramente fallito dal punto di vista scenografico, poiché gli italiani non furono fortunatamente costretti a subire, dalla televisione, qualcuno che annunciava un Italia liberata dalla “sovversione rossa”.
Il Golpe però nelle sue finalità generali riuscì, nell’ottica di un ammonimento molto forte alle principali forze di governo, spaventando quei settori della Democrazia cristiana che vedevano, fra i loro esponenti di rilievo, e principali artefici del dialogo di apertura a un percorso comune con il Pci, Aldo Moro.
Salvini ha esposto altresì anche il contributo dato dal capitano dei Carabinieri, in quel momento distaccato al Sid, Antonio Labruna.
Concordando, anche in questo caso, con il libro di Mazza, ha evidenziato che a Labruna va riconosciuto il merito di essere riuscito a infiltrarsi, nel 1972-74, nelle riunioni degli ex golpisti, registrando anche diversi loro colloqui.
Ha quindi sottolineato che Labruna, a causa di questa indagine che al Sid era sgradita, fu abbandonato dai vertici del servizio militare e che, addirittura, fu trasformato in un “capro espiatorio” di molte delle malefatte compiute dal medesimo Sid.
Della correttezza di Labruna ne è testimone pure un altro fatto: che, constatato l’insabbiamento della verità sul “Golpe Borghese” e non solo, decise, nel 1991, di consegnare allo stesso Salvini (allora Giudice istruttore di diverse inchieste che gravitavano attorno agli “anni di piombo”) una copia autentica di tutte le registrazioni effettuate a carico degli ex golpisti.
Nella documentazione di Labruna (fatta di documenti, oltre che di intercettazioni) apparvero dei nomi compromettenti come quelli già citati di Licio Gelli, di Guido Paglia e di Giovanni Torrisi. Così, su disposizione di Andreotti e del generale dell’Esercito Gianadelio Maletti, capo diretto di Labruna, vennero censurate molte parti sensibili, e in particolare i passaggi in cui si facevano i nomi e gli avvenimenti legati a persone che si volevano tutelare dalle inchieste della Magistratura.
Questa scelta fece sì che, come accennavamo, tutta la storia del “Golpe Borghese” venne sopita. Anche perché la Cassazione decise di raggruppare tutte assieme le inchieste in atto (soprattutto quelle di Giovanni Tamburino, a Padova, di Luciano Violante a Torino, che furono unificate con quella di Roma, in cui Claudio Vitalone era Pubblico ministero).
Al termine dei tre gradi di giudizio, incredibilmente, vennero tutti (o quasi) assolti, anche coloro che avevano confessato di aver partecipato all’operazione di quella notte. L’attentato verso le istituzioni dello Stato fu quindi trasformato in qualcosa di meno e piano piano, anch’esso derubricato a fatto di minore o scarsa rilevanza politica.
Giovanni Tamburino (che, come accennavamo, ha indagato i golpisti sino a quando la Corte di Cassazione gli ha sottratto la pratica) da parte sua, ha sottolineato l’importanza di tornare a dibattere su questa parte della storia del nostro Paese, poiché si tratta ancora di una ferita non ripulita, non disinfettata, non cauterizzata che continua a suppurare anche dopo anni. Ha affermato, quindi, concordando anche lui con il libro di Mazza che risulta significativo redigere una sorta di “quarto grado” (che non vuole essere e non può essere un nuovo processo) che si realizza grazie a una documentazione in parte nuova che competa la conoscenza di quei fatti. Ha poi concluso in parallelo con quanto aveva aperto. Si è difatti domandato se oggi la storia si potrebbe ripetere e ha evidenziato come il libro di Mazza ci aiuti a pensare, ci offra ragioni per riflettere su un passato che, come ogni passato, può riproporsi in forme diverse.
Per ultimo, ma solo logisticamente, Nino Condorelli (noto magistrato che ha svolto negli anni ruoli di alta responsabilità nella magistratura) ha esposto un suo commento in cui rileva l’importanza di questo pezzo di storia significativo del nostro Paese, la storia del Ventesimo secolo in Italia, dopo la fine del fascismo, l’avvento della Repubblica e l’approvazione della nostra Costituzione.
Ha infine dichiarato come questo rigurgito verificatosi in quell’arco di anni non si possa certamente limitare alla vicenda Borghese, ma in essa trovi un’acme importante. È fondamentale che la storia se ne occupi in modo approfondito, e infatti dà merito a Fulvio Mazza per aver fatto questo importante lavoro di ricostruzione di tutti questi dati così che gli italiani sappiano cosa è successo, quello che sarebbe potuto succedere o che potrebbe succedere in futuro. Condorelli ha riflettuto sull’uso della strategia del terrore nel passato e infine, si è posto un importante quesito: se oggi la storia si ripetesse, quale sarebbe la reazione del popolo italiano? Avremmo oggi una capacità di risposta altrettanto forte e incisiva da fermare, come accadde all’epoca, questo processo eversivo? Condorelli ci ha lasciato con questo enorme interrogativo, che rende chiaro anche il motivo per cui libri come quello di Mazza devono essere letti con attenzione, per essere poi apprezzati, custoditi, meditati.
L’autore del libro, Fulvio Mazza, ha poi chiuso i lavori ringraziando i presenti e rispondendo ad alcuni quesiti sorti dal pubblico.
Per parte nostra, annotiamo come risulti fondamentale per le nuove generazioni conoscere la propria storia; una storia che appartiene sì al secolo scorso, ma che è essenziale per imparare a possedere una chiave di lettura di ciò che ci circonda.

Giulia Condorelli

(direfarescrivere, anno XX, n. 225, novembre 2024)
 
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