Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
In primo piano
Un invito alla ricerca sulla strada
del vero attraverso il ruolo dell’arte
Per Tabula fati, Ulderico Nisticò mostra
le differenze tra verità e realtà
di Mario Saccomanno
Col termine verità si intende un’affermazione il cui contenuto, in quanto verificabile e dimostrabile attraverso mezzi razionali, vincola l’assenso. Si tratta di un tipo di oggettività che va ricercato nelle matematiche, cioè in quelle proposizioni – i teoremi – che risultano eternamente certe.
Tutt’oggi, in particolare nell’accezione metafisica, il termine verità diviene spesso sinonimo di realtà. Così facendo, si mira a definire l’esistenza concreta di un qualcosa che si distanzia dalle sensazioni, cioè dalla comprensione avente carattere ricettivo che porta sempre con sé un velo d’apparenza con cui ricopre i fenomeni.
Sta di fatto che, qualunque ambito si prenda in esame, si nota con semplicità come il concetto di verità celi continuamente un confronto con qualcosa che è ritenuto certo o immutabile.
Anche la verità storica si scontra incessantemente con relativismi concettuali, gnoseologici ed etici. Contro questi atteggiamenti anti-oggettivi, la storia presenta l’arma più affilata che possiede: le prove, il metodo filologico.
Di conseguenza, la ricerca della verità presuppone fare i conti con un carico da soma composto dalla verificazione di un enunciato. Inevitabilmente, questo percorso trascina con sé, tra gli altri, problemi metodologici, dubbi e, ancor di più, il peso gravoso degli accertamenti in senso assoluto.
Il libro Lettere di sangue (Edizioni Tabula fati, pp. 120, € 10,00) di Ulderico Nisticò presenta spunti di riflessione estremamente interessanti che permettono di gettar luce proprio sulla vexata quaestio della verità.

Discernere il vero, il verosimile e l’inventato
Sin dal capoverso conclusivo dell’Antefatto a Sersale con cui si apre il testo, Nisticò acclude nelle pagine del libro una sorta di avvertenza su cui occorre soffermarsi. Infatti, si legge: «Il lettore sappia discernere il vero, il verosimile e l’inventato: ma non è indispensabile».
Lettere di sangue è a tutti gli effetti un’indagine artistica che mira a far comprendere il valore della verità e, di rimando, le disfunzioni e le aberrazioni dannose che comporta imboccare la strada della menzogna.
L’autore si avvale del romanzo, un genere narrativo che, in base a quanto affermato dal filosofo e sociologo tedesco Theodor Adorno, è sempre in costante formazione, perennemente incompiuto e, proprio per questo, ben distante dagli altri generi, basti soltanto pensare alle gesta eroiche dell’epica, sempre collocabili in un arco temporale avente un inizio e una fine ben scanditi.
Questa scelta artistico-letteraria attualizza i problemi contenuti nel testo, poiché proprio l’incompiutezza risulta essere uno dei tratti distintivi del fare mediale che tratteggia marcatamente il nostro quotidiano.
Nella frammentazione e nell’indeterminatezza, che apre di per sé al relativismo, Nisticò invita a discernere, a soppesare ogni traccia, ogni azione, ogni evento. È un atto di fiducia nei riguardi dei lettori poiché presuppone ci sia la volontà a intraprendere una ricerca che possa portare la consapevolezza della scelta compiuta.
Occorre soffermarsi anche sulla conclusione dell’avvertenza poc’anzi riportata, cioè sull’inessenzialità del ravvisare il vero negli eventi contenuti nel libro. Inevitabilmente, questo modo d’agire apre al presentarsi dell’arte anche come attività meramente ricreativa. Eppure, a guardar bene, Nisticò sembra riferire che anche in questi casi, con un’azione catartica, si può essere coinvolti con più vigore negli eventi narrati e, una volta conclusa l’esperienza artistica, si può essere più invogliati alla ricerca.

Risalire al vero da una bugia
Dunque, nel testo, nella posteriorità degli eventi raccontati, che prendono consistenza dal decifrare una serie di appunti – le lettere a cui il titolo dell’opera rimanda –, si compie un tentativo che è a tutti gli effetti un invito a stimolare il dubbio, a non sostare sulle convenzioni e, inevitabilmente, a incamminarsi sulla strada della verità.
Questa esortazione a sporgersi sul vero avviene tramite una forma artistica che, in quanto tale, è finzione, dunque menzogna.
Occorre inevitabilmente soffermarsi su questo aspetto, altrimenti quanto appena affermato risulterebbe un paradosso. A notar bene, solo attraverso l’arte si può giungere oltre l’opera stessa, oltre il mero presentare una serie di informazioni.
La forma artistica permette di spingersi fino al punto da cogliere i tasselli che non vengono macchiati dalle miriadi di convenzioni e consuetudini che segnano ogni ambito. Così facendo, l’opera d’arte, per dirla con Heidegger, diventa «il porsi in opera della verità».
Nisticò avrebbe potuto presentare le tesi che compongono le pagine di Lettere di sangue sotto forma saggistica, ma è proprio la scelta artistica ad aprire i contenuti all’universale.
L’arte imita la realtà, mostrandone le contraddizioni e i modi d’agire che sottendono ogni scelta che, compiuta, porta inevitabilmente conseguenze.
Così, i problemi storici, spinosi e controversi, che l’autore presenta sono anche, e forse in primo luogo, sfumature che danno vita alla caratterizzazione di ogni figura che dà consistenza al testo.

L’importanza della ricerca
Oziare nelle proprie convinzioni, sostare sui propri traguardi è il peccato più grande contro cui si scaglia Nisticò nelle pagine del testo che si sta prendendo in esame.
Di sicuro, anche in questo caso, la forma artistica utilizzata avvalora enormemente e non svilisce affatto i contenuti presentati. Così facendo, chiunque non solo può masticare con più facilità i temi, ma riesce a sentirsi partecipe delle narrazioni e, per quell’incompiutezza di cui si è discusso in precedenza, invogliato ad aggiungere altri tasselli alla ricerca.
Dunque, a conclusione, Lettere di sangue è soprattutto un invito all’osservazione scrupolosa del proprio tempo, è una vera e propria esortazione a porsi continue domande sulle varie sfaccettature che colorano ogni esistenza.
L’autore mostra come indagare costantemente, fermarsi e comprendere i vari tasselli della storia crei la consapevolezza del proprio stare al mondo e, da lì, apra alla costruzione di un futuro diverso e migliore.

Mario Saccomanno

(direfarescrivere, anno XVIII, n. 194, marzo 2022)
 
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