Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
In primo piano
L’elemento ritmico e percussivo
tra musicologia e musicoterapia
Emanuela Cangemi e un saggio
per appassionati. Di Bottega editoriale
di Gabriele Gatto
Il libro di Emanuela Cangemi Discorrendo sulla musica. Raccolta di saggi in musicologia (Bottega editoriale, pp. 80, € 10,00) è un’opera che, fatta eccezione per alcuni momenti in cui l’autrice mette in campo tutto il proprio rigore musicologico, si presta alla lettura e alla comprensione anche da parte di un pubblico non specializzato. Il volume si apre con un’interessante Prefazione di Pietro Zambrin, che presenta l’autrice nella sua doppia veste di saggista e musicoterapista. Proprio a partire dalla musicoterapia, Zambrin riesce a tracciare una linea di continuità fra musica, rito e percussione. Quest’ultima è da intendersi in un’accezione piuttosto ricca, che collega il particolare ambiente psicosonoro prodotto dall’atto percussivo al pensiero cosiddetto selvaggio descritto dall’antropologo Claude Lévi-Strauss, capace di fornire un tipo di conoscenza irraggiungibile se ancorati a un modello di razionalità occidentale. Ecco che allora la musicoterapia e, in particolare, i suoi elementi percussivi, possono essere letti in una chiave che esula dalla semplice musicologia, ma che si allarga fino a comprendere un’alterazione dell’orizzonte estetico ed epistemologico. La pratica musicoterapica avrebbe infatti «l’inestimabile beneficio di ricordare (diremmo platonicamente) quell’altro sapere, quello “primario”, e restituire finalmente completezza alla nostra esperienza del mondo». Diventa allora chiaro perché, caricato di una valenza tanto importante, l’elemento ritmico e percussivo costituisca il filo rosso che unisce i cinque saggi che compongono il libro, e questo a prescindere dalle ovvie ragioni legate all’attività di percussionista di Cangemi.

Dopo una breve Introduzione a cura di Franco Arcangelo, ci troviamo di fronte al primo saggio, intitolato Breve excursus estetico sulla forma concerto: Concertino per xilofono e orchestra di Toshiro Mayuzumi. Tutti i saggi del volume seguono una struttura molto simile. In questo caso, dopo alcune brevi note biografiche sulla vita dell’autore, Cangemi fornisce una concisa analisi sulla forma concerto per mostrare come la letteratura delle percussioni rientri perfettamente nei canoni costruttivi della suddetta forma. Procede quindi alla definizione di cosa sia un concerto e ne dà alcuni cenni storici, notandone un ritorno negli anni ’80 del Novecento dopo un periodo di sostanziale indifferenza da parte dell’avanguardia del Secondo dopoguerra, indifferenza che in ogni caso non intaccò, nelle parole dell’autrice, «il concetto della contrapposizione dialettica tra un solista e un gruppo strumentale», centrale nella forma concerto.

Comincia a questo punto una delle sezioni di forte carattere musicologico, in cui l’autrice descrive e analizza minuziosamente la partitura della composizione, notandone fra le altre cose il carattere minimalista. Sempre in questa sezione si analizza il momento del virtuosismo della cadenza, eseguito non a caso dal percussionista. Tuttavia, è proprio in questi momenti che si percepisce quello che è forse l’unico vero limite di quello che rimane, comunque, un ottimo libro: l’assenza di spartiti. Non che fosse pensabile riprodurre tutte le parti suonate da tutti gli strumenti di tutti i brani analizzati, ma una trascrizione dei temi o delle cellule ritmiche più significative avrebbe certamente dato al volume maggiore spessore. Un tale supporto visivo avrebbe inoltre permesso di evitare passaggi che risultano francamente macchinosi, come il seguente: «Nelle prime undici battute in ¾ è presente il solo tessuto orchestrale, che esegue accordi e un disegno ritmico ripetitivo (pausa di semiminima, acciaccatura semplice e quattro semicrome, croma, pausa di semicroma puntata e biscroma legata a una croma, pausa di semicroma puntata biscroma legata a croma, croma e pausa di semiminima)».

A ogni modo, il primo saggio si conclude riconoscendo a Mayuzumi «di aver donato un concerto che coordina il mondo musicale occidentale con quello orientale, dimostrando che almeno nell’ambito musicale non esistono barriere», una conclusione che ci riporta al valore antropologico della musica già notato nella Prefazione.

Il resto del libro in realtà non si discosta molto da quanto detto finora, esponendosi alle medesime critiche come ai medesimi elogi. Il secondo saggio, per esempio, intitolato Breve ricerca storica sul concetto di musica da camera: Sonata per due pianoforti e percussioni di Béla Bartók, parte con un rigoroso excursus sulla storia della musica nelle società cosiddette primitive, sottolineandone l’aspetto emotivo e collettivo e da qui descrivendo l’interesse del compositore per la musica folclorica rumena e ungherese. Segue dunque un’analisi musicologica del brano che mette in risalto il ruolo delle percussioni e che sottolinea anche il progetto (mai portato a compimento) di fare un quartetto per sole percussioni.

Gli ultimi tre saggi analizzano rispettivamente la Sonata per xilofono di Thomas Baron Pitfield, la Histoire du Soldat portata in musica da Igor Stravinskij e infine il ruolo che ritmo e improvvisazione ricoprono nel genere jazz.

Al di là dell’unica criticità segnalata, il testo di Cangemi si configura comunque come di pregevole fattura, tutto sommato agile e dal ritmo coinvolgente.

Gabriele Gatto

(direfarescrivere, anno XVII, n. 189, ottobre 2021)
 
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