Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
In primo piano
Una narrazione patchwork
nei racconti di Vincenzo Ziparo
I miti di un’isola misteriosa tra passato e presente.
Il libro, pubblicato da Armando editore, ha una Prefazione di Renato Minore
di Renato Minore
Un caleidoscopio di eventi e protagonisti, all’interno dei misteri di un’isola che, tra uragani e incidenti, trasporta il lettore nelle brutture, ma anche nelle bellezze, dell’animo umano. Questo il fulcro di Al di là dell’isola (Armando editore, pp. 240, € 16,00), la prima prova narrativa di Vincenzo Ziparo e parte della “Scuderia letteraria” di Bottega editoriale. Una raccolta di racconti che mostra quanto gli esseri umani possano perdersi nelle loro paure ma, cosa ancora più importante, quanto possano ritrovarsi e tornare alla vita. L’opera si pregia della Prefazione a firma del critico letterario Renato Minore, che qui pubblichiamo. Buona lettura!

Accadono molte cose nell’universo narrativo di Vincenzo Ziparo percorrendo i sentieri e le spiagge della sua isola assai misteriosa e quasi inafferrabile che sembra dare forma visibile, e in qualche modo vivente, alle storie che in essa si generano e si incrociano e all’elaborazione fantastica e mitica che l’hanno alimentata e tramandata nella voce collettiva di chi abita i suoi racconti come protagonista, figurante o semplice comparsa.

Accade che una coppia che abita sull’isola viva una tormentata relazione a causa dell’infedeltà di lui, o che in un’altra coppia la schizofrenia dell’uomo, forse causata dal suo passato difficile, costringa entrambi a una vita illegale e girovaga.
Accade che una figlia scopra che cosa davvero si nasconde dietro una fotografia del padre accanto alla sua presunta giovanissima amante e dissolva quel dubbio che la lacerava e che la teneva distante e tormentata nel rapporto con il genitore. Accade che a un uomo roso da un persistente sospetto, suffragato da indizi all’apparenza ben fondati, alla fine si riveli qualcosa di sorprendente e davvero inatteso sul presunto adulterio della moglie. E ancora: il lutto può anche essere elaborato in modo davvero singolare e visionario, facendo ascoltare la propria musica alle lucciole in una notte stellata.

Queste e le altre sono davvero, come dice il sottotitolo del libro, «storie di uomini e donne ritrovati». Ovvero lacerti narrativi recuperati e montati dal pozzo della memoria, dei sogni, degli incubi, e filtrati attraverso la parola che ne fa racconto, “il racconto”, un garbuglio di esperienze di vita, risvolti psichici, sogni e mediazioni, un intrigo profondamente umano, come una sorta di caleidoscopio che fa scorrere quelle storie, le figure, le situazioni, le sorprese; quel continuo disagio che sembra attraversarle tutte. Perché, come scrive Ziparo: «È incredibile a volte quanto restiamo soli nella sofferenza, passiamo la vita a sognare, gioire, amare, e tutta un’infinità d’altre azioni e d’altri sentimenti, in compagnia d’altri uomini e donne, ma la sofferenza, quella vera, rimane prettamente un’esperienza solitaria».

Con un passo di interrogazione continua e perplessa, Ziparo è un gran raccontatore di storie ingarbugliate e complesse, assai abile a costruirne la matassa mediante fili che si intrecciano e si sciolgono lentamente, talora con un procedimento a spirale che condensa realtà, incubi e sogni approdando a una risoluzione finale, spesso secca e decisiva che illumina l’intero percorso e lo orienta verso un più certo approdo cognitivo. Che in qualche modo conduca il lettore «su queste stradine strette, rigagnoli di vita in agrodolce, che confluiscono al mare, con i loro flussi di ricordi, di sangue, di dolci amori, di carichi nauseabondi, di vite guaste, di assassini, di ubriachi distesi per terra sul lastricato unto, levigato, leccati da un cane randagio. Abbracciati alla nostra carne, ai pensieri, alle nostre profonde e affusolate infelicità, a noi».

I nove racconti che compongono il disegno narrativo di Al di là dell’isola (con un Prologo lirico-visionario e un Epilogo quasi sinottico che delinea e definisce la “cornice” in cui si sono inserite queste storie di ritrovamenti, il terreno che le alimenta dando forma e sostanza al loro muoversi, agitarsi, cercarsi, perdersi, inseguirsi) in realtà sono piccoli, virtuosi, ben congegnati dispositivi cognitivi. Possono indossare i diversi panni che veste il genere del racconto: un racconto patchwork, si potrebbe avanzare la formula, che alterna i registri, li incastra, li fonde e li rigenera in una tipologia che va dalla tonalità fiabesca alla disposizione memoriale, dal plot a tinte psicologiche al quasi noir a doppia velocità, a una intonazione più mossa che sfiora la gangster story e perfino la pochade. Accumulano percorsi, confessioni di vita, piste e indizi tra sorprese, inganni, minime verità conquistate sul campo, crepe che s’allargano sull’enigma dello sguardo, gli abbagli percettivi, i malintesi dei rapporti interpersonali che si rincorrono da un testo all’altro, quasi come un tema più forte, giustamente a rilievo. Sempre secondo l’indicazione, molto spinoziana, che lo sguardo sugli altri è sempre un modo per guardarci più profondamente; per avviare quel processo di interiore e necessaria, pur se dolorosa e spesso vana, consapevolezza della propria delusione, della propria rabbia, della propria incertezza. Un sentimento del vivere e patire la vita che si riassume in questa davvero illuminante “dedica” nascosta sapientemente dall’autore: «A noi che nonostante tutto troviamo la forza d’amarci e d’odiarci, che abbiamo il coraggio di sognare, di guardarci negli occhi e di non piangere, che abbiamo percorso i capillari sentieri della irragionevolezza, che abbiamo sondato i suoi meandri più oscuri. Immersi nel bruciore dei nostri pensieri, a noi che cerchiamo la verità, ovunque: all’inferno, al paradiso».

Renato Minore

(direfarescrivere, anno XVII, n. 185, giugno 2021)
 
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