Anno XX, n. 218
marzo 2024
 
In primo piano
Un saggio che mette in discussione
l’opposizione tra l’essere e il nulla
Per Armando editore, Alessandro Giraudi propone
un testo che cambia i termini del problema ontologico
di Marco Gatto e Rosita Mazzei
L’ontologia ha da sempre intessuto le fila del pensiero umano. Ci ritroviamo completamente immersi in un mondo senza il nostro consenso e per questo il pensiero ha cercato più volte di dare concretezza all’essere, sia nella sua accezione divina che nella sua accezione di ente, oggetto palpabile e soggetto alla mortalità. Già i presocratici avevano iniziato a porsi domande simili e a cercare di darne delle risposte esaustive. Se con i pensatori di Mileto si tenta di dare una giustificazione del mondo attraverso un elemento, è con Parmenide che abbiamo la vera e propria nascita dell’ontologia che in Platone troverà radici maggiormente solide.
E così veniamo anche noi trasportati sul carro della Dea alla ricerca di una distinzione precisa e consapevole tra opinione e verità. La
ἀλήθεια, infatti, nel mito del filosofo eleate è un vero e proprio svelamento. L’alfa privativa ci riconduce a uno stato che si rifiuta di essere velato, di essere nascosto. La verità, dunque, è rappresentata dal logos (λόγος) ovvero il pensiero. Per questo motivo nulla può essere più lontano che i termini doxa (δόξα) ed epistème (ἐπιστήμη). La prima è una mera opinione, basata spesso su questioni fisiche, fenomeniche, mentre la seconda è una verità certa, scientifica. Sappiamo, però, che tutto ciò è una riduzione indegna del pensiero di un grande autore che ha avuto il merito di introdurre per primo la questione dell’essere e sull’essere in filosofia e di aver reso tale argomento il fulcro centrale della propria ideologia. Inoltre, il pensiero di Parmenide, come anche quello di altri presocratici, venne manipolato in seguito da Platone e da Aristotele per avere basi autorevoli alle proprie concezioni filosofiche.
L’ontologia, dunque, sin dai suoi primi vagiti ha cercato di mettere l’essere in quanto tale al centro della propria riflessione, andando ad analizzare i vari accidenti a esso correlati. Ne è un esempio il già citato Aristotele che andò a scandagliare tutto ciò all’interno della sua opera
Le categorie che, per l’appunto, tratta la filosofia prima e, attraverso di essa, l’essere in quanto oggetto primario dei suoi studi. Un tale attaccamento a siffatta ricerca nel corso dei secoli non si è minimamente dileguato né sfumato, ma ha semplicemente trovato altre forme di espressione. Ne è un chiaro e limpido segno il Medioevo, troppo spesso disprezzato perché considerato contenitore di “secoli bui” che, invece, si sono dimostrati degni garanti di una cultura che, altrimenti, sarebbe andata incontro all’oblio della dimenticanza. Così Anselmo d’Aosta, Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino, Guglielmo d’Ockham e molti altri diedero il proprio contributo a quello che fu un dibattito che durò interi secoli e che non ha alcuna intenzione di arrestarsi neanche ai giorni nostri. Un dibattito continuo che ha viste impegnate le menti più brillanti dell’umanità e che non si è mai arrestato nemmeno innanzi alle vili accuse di allontanare l’uomo dalla realtà. Talete, per esempio, fu tra coloro che si videro derisi perché troppo impegnati a scrutare il cielo. Eppure quelle domande millenarie sono ancora qui a turbarci nel profondo.
Tra coloro che hanno ridato una spinta al pensiero ontologico vi è il filosofo e studioso Alessandro Giraudi che ha voluto dare il proprio contributo a quello che è uno dei capisaldi della filosofia occidentale sin dagli albori di quest’ultima. Egli, dunque, non si limita a citare i grandi del passato e/o quelli più recenti, come Martin Heidegger ed Emanuele Severino. Il suo è un rapporto vivo, esattamente come lo erano i dialoghi platonici che cercavano di riportare tramite la scrittura, tanto odiata da Socrate, il dinamismo proprio del pensiero.
Giraudi, però, non è nuovo a tale potenza di riflessione. Ci aveva infatti proposto in precedenza
La visione universale del mondo. Per la rivoluzione inclusiva di cui avevamo anche trattato ( www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=2307&ricerca=weltanschauung). Ora ci offre un saggio, Perché gli enti non sono eterni. Confutazione delle tesi di Severino e Parmenide (Armando editore, pp. 88, € 10,00), (facilmente reperibile qui www.armandoeditore.it/catalogo/perche-gli-enti-non-sono-eterni/), facente parte della “Scuderia letteraria” di Bottega editoriale, che mette in discussione la dicotomia essere-nulla. Marco Gatto, docente universitario di Teoria della letteratura, che aveva già dato il suo contributo nel primo volume dell’autore, ci offre la sua visione di tale opera all’interno della Prefazione ivi proposta. In essa, le chiavi di lettura di volta in volta presentate sono tutte estremamente coerenti con quella che è la volontà di Giraudi di farsi portavoce e innovatore di una discussione pregna di significato e che sembra non volersi esaurire mai del tutto.
I lettori specializzati, ma anche quelli alla prime armi in tale argomento, riusciranno a trovare validi incoraggiamenti e suggerimenti per poter affrontare un testo che vuole essere tassello importante all’interno di un universo che ha numerosissime protuberanze, tutte egualmente essenziali.
Per far comprendere al meglio quanto proposto da Giraudi, riproponiamo la quarta di copertina: «In questo breve saggio l’autore discute sia la teoria dell’eternità degli enti di Emanuele Severino, sia la tesi famosa di Parmenide che ne fa da perno. L’autore sostiene che entrambe hanno come errate premesse dei concetti sbagliati dell’essere e del nulla, cioè l’idea che l’essere sia ciò che si oppone al nulla, e che il nulla sia ciò che si oppone all’essere. In realtà il nulla è il mondo vuoto, è il limite dell’essere, ossia è compatibile con esso. Gli enti non sono eterni perché, non essendoci una forte e irriducibile opposizione tra il nulla e l’essere, il sorgere delle cose dal nulla e il loro ritornare nel nulla non è contraddittorio. Nel saggio inoltre viene approfondito e rinnovato il concetto di “essenza” e ripensata radicalmente anche la distinzione tra sostanza e accidente».


Rosita Mazzei

Con questo ultimo e impegnativo contributo, Alessandro Giraudi aggiunge un ulteriore tassello alla sua interessante ricerca filosofica, che lo vede impegnato sul fronte, oggi certamente inusuale e proprio per questo audace, di una ricostruzione concettualmente rigorosa di alcuni principi fondamentali del pensiero occidentale. E siccome Giraudi conosce l’arte della dialettica e sa scavare nell’idea attraverso le armi della logica, ogni restituzione speculativa, espressa non solo in questo aureo libretto, ma anche nei contributi più ampi e già editi, appare nelle forme di un confronto con le filosofie del passato, di un contrasto edificante e rispettoso con i predecessori, in una prospettiva – anche questa, è bene ribadirlo, purtroppo non di gran moda, e invece la sola, forse, davvero utile al disordinato presente che ci troviamo a vivere – di storia della filosofia e di teoresi dinamica.
Credo sia da intendersi in questo senso il dibattito che l’autore allestisce con due voci fra loro lontane nel tempo, ma legate dal filo doppio della storicità dei concetti. Da un lato, Parmenide, il filosofo dell’Essere, il cui pensiero ha esercitato, lungo il corso del Novecento, un fascino indiscusso e un vero e proprio magistero per chi ha voluto vedervi la fonte di una certa ontologia che, con non poche controversie, ha incontrato ragioni altre, magari legate alla cosiddetta “svolta linguistica” della postmodernità; dall’altro lato, Emanuele Severino, un filosofo per molti aspetti solitario, teso a edificare, nel suo percorso di pensatore, un’originalità che certamente troviamo in pochi altri protagonisti della filosofia italiana contemporanea: nello stesso tempo, un filosofo da discutere, da leggere attentamente nella costruzione, a volte fin troppo voluttuosa, del proprio messaggio e per questo da relativizzare o, di fronte a certe sinuose asserzioni, da esorcizzare. Giraudi innesca un confronto vivissimo con entrambi, ma sa di confrontarsi con il fiume carsico del pensiero ontologico e con tutte le dovute conseguenze che esso si porta dietro, in termini di risultanti concettuali e in termini di storia filosofica.
Ecco perché, nell’arguta decostruzione concettuale dei primi due capitoli, nei quali l’autore ribalta l’usuale dicotomia tra l’essere (con questo termine con l’iniziale minuscola Giraudi intende ogni singolo ente e la totalità degli enti) e il nulla, fondando la sua gnoseologia sull’idea di limite – e riprendendo così una delle direttrici fondamentali del lavoro depositato ne La visione universale del mondo. Per la rivoluzione inclusiva (Armando editore, 2019), un testo che dovrebbe essere letto insieme al seguente –, il lettore ha sempre l’impressione di trovarsi al centro di una proiezione necessaria verso l’oggi o di sentire pressante l’ombra lunga di un pensiero che predispone al conflitto con una porzione importante della filosofia novecentesca, dalla presenza di Martin Heidegger fino a quel capitolo fondamentale del pensiero relazionale e dialettico che è L’Essere e il Nulla di Jean-Paul Sartre. Ciò per un motivo essenziale: i concetti che Giraudi maneggia con tanto acume e con l’ambizione di trarne una sua riflessione, e non l’ennesimo saggio di rilettura del lascito altrui, sono l’ossessione costante del pensiero occidentale nella sua ultima fase. Sono, direi, il centro nevralgico di due grandi pulsioni che continuano, nonostante i mala tempora, ad animare la riflessione sul senso dell’esistere e dell’esserci oggi: da un lato, la pulsione nichilista, che ha trovato nella postmodernità una sua netta incarnazione, con l’apoteosi di Friedrich Nietzsche quale filosofo della crisi e il ritorno di Heidegger quale pastore dell’Essere, certo, ma anche dell’Essere come Linguaggio; dall’altro, la resistenza (non potrei chiamarla altrimenti) dell’antinichilismo, che forse trova proprio in un rinnovato, ma minoritario, pensiero dialettico – ovvero in grado di riproporre la centralità dei nessi, delle categorie e di una loro organizzazione sistematica – il modo per forzare i limiti dell’ermeneutica e aprire a nuove possibilità teoretiche. Giraudi, a mio parere, è consapevole di rispondere alle sollecitazioni di questa ultima esigenza e di collocarsi dalla parte di un pensiero che possa riabilitare la forza del concetto e di un ragionamento sui fondamenti. E, difatti, guardando alla sua produzione filosofica, tenta di essere pensatore di un dinamismo universale che una volta si sarebbe detto “totalizzante”, estraneo alle lusinghe di un tempo che ha fatto, al contrario, della disarticolazione e del culto del frammento una ragione utilitaristica di sopravvivenza.
Non si può ovviamente riassumere in queste poche righe il ricco ragionamento messo in campo dall’autore. Ma è bene evidenziare che il tentativo più affascinante sta nel dimostrare che l’opposizione essere/nulla – una delle tante dicotomie o formazioni ideologiche di tipo binario che nutrono il non ancora verificato corredo categoriale del pensiero occidentale – si fondi su una logica mistificante, nella quale due poli si mantengono arbitrariamente su un equilibrio oppositivo che al netto, ci dice Giraudi, non convince. Perché, per l’autore, «il nulla è nulla-limite, il nulla è il negativo non perché sia discordante con l’essere, ma perché è il limite dell’essere, è il limite di tutte le cose, è ciò che dice no all’infinità di ogni ente. Il nulla è il negativo in quanto nega l’illimitatezza del positivo, della totalità delle cose»: pertanto quell’opposizione perde il suo irrigidimento, si apre a una reciprocità in cui i termini non sono più orpelli di un polo o dell’altro, bensì, per usare le parole di Giraudi, si apre a una nuova configurazione concettuale, in virtù della quale «Il nulla assoluto non contraddice l’essere, non “dice” il contrario dell’essere ma “dice” la limitatezza dell’essere».
I termini della questione cambiano – e Giraudi ne fa discendere una serie di conseguenze che sono la scaturigine vera delle sue posizioni sulla non-eternità degli enti – ma non nel senso (mi piace sottolineare particolarmente questo punto) di uno scardinamento che porterebbe alla non-dialettica fra le parti, bensì nel senso per cui è, per dirla con il linguaggio di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, il toglimento di un polo a garantire la sua stessa dinamicità e la possibilità di una fuoriuscita da quella chiusura ideologica che è l’eternità senza variazione. Volendo radicalizzare il discorso, come Giraudi propone, possiamo arrivare a dire che «l’“essere”-limite (il mondo vuoto o nulla assoluto) non è parte del mondo pieno, ma è strettamente congiunto a esso in quanto fa da suo limite», dove l’attenzione va rivolta ancora a una concezione del nulla-limite che io leggo in funzione antinichilistica (non necessariamente annettendovi la prova dell’esistenza di Dio, come l’autore, seguendo un’altra delle sue genuine ossessioni, propone).
Ma siamo, è il caso di dire, già giunti al punto-limite di questa presentazione (che deve frenarsi per non seguire con grande interesse i sentieri speculativi dell’autore), perché le strade successive che Giraudi percorre sono quelle che caratterizzano il suo pensiero e i suoi scritti. Il capitolo sul divenire e il contributo sul rapporto tra “sostanza” e “accidente” vanno letti, a parere di chi scrive, come prolegomeni a un edificio teorico più complesso che, come l’autore ha dimostrato nei suoi altri libri, è in divenire per sua stessa costituzione. In questo percorso, come il lettore può ravvisare nelle rapide pagine conclusive, la filosofia può farsi anche polemica e scontro, pur nel rispetto sempre vivo del concetto e della posta in gioco, e provare con coraggio a fornire la propria visione, i propri pilastri di pensiero. Sarà poi compito di chi verrà dopo verificarli con la stessa forza.

Marco Gatto

(direfarescrivere, anno XVII, n. 184, maggio 2021)
 
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