Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
In primo piano
La fotografia può diventare letteratura?
Con la qualità giusta certo che sì!
Un libro molto particolare nella sua realizzazione è quello
di Piergiorgio Iannaccaro, pubblicato da Rubbettino Editore
di Guglielmo Colombero
Pubblichiamo in anteprima una recensione a firma di Guglielmo Colombero, contenuta nella sua raccolta di scritti di prossima pubblicazione, Nuovi percorsi della Letteratura contemporanea. Analisi, convegni, Prefazioni e recensioni sugli scrittori coevi.

Scrive Filippo Veltri nella sua Introduzione a Sila. Luoghi e stagioni (Rubbettino Editore, 2017, pp. 128, € 15,00), che fa parte della “Scuderia letteraria” di Bottega editoriale: «La Sila è una cosa a sé. Un luogo dell’anima, della mente, degli occhi. Degli odori autunnali e di quelli estivi; dei colori invernali e delle infinite sensazioni che dona il paesaggio».
L’autore Piergiorgio Iannaccaro, un medico appassionato di alpinismo e fotografia, conduce il lettore per mano in un magico labirinto di istantanee elegantemente rubate a una natura altrimenti chiusa, inaccessibile, quasi ostile. Scrive infatti: «un’atmosfera affascinante e resa misteriosa dalla coltre bianca, in una solitudine irreale, all’ombra gelida di alberi ammantati di bianco e per pianori assolati, incrociando le orme di animali che precedono, seguono, forse scrutano, mantenendosi lontani».
Il primo capitolo, Terra e acqua. Valli, boschi, laghi, è una panoramica vertiginosa, che inabissa il lettore in vedute e descrizioni da sogno: un respiro onirico che palpita e vibra di colori nelle immagini. Nella Sila Grande il lago Arvo sfavilla di un azzurro placido e incontaminato sotto il ramo frondoso di un albero centenario, mentre nella Sila Piccola Iannaccaro cattura con il suo magico e stregonesco occhio fotografico l’incantevole limpidezza della cascata del Pisarello, un luccicore di acque che scorre in mezzo alle sfumature smeraldine della vegetazione.
Dalla vetta del Monte Zingomarro scaturisce un’altra figurazione suggestiva, un impasto corposo di colori nelle rocce muschiose, con la sagoma nera della croce conficcata nella pietra che taglia verticalmente la visione distante del lago Ampollino, una chiazza lucente di cobalto. Nel bosco di Fallistro, un fascino atavico è impresso sulla corteccia rugosa di una gigantesca pianta sicuramente plurisecolare, muta testimonianza del trascorrere di innumerevoli stagioni.
Nella Valle del Soleo della Sila Piccola, l’esplosione gioiosa dei tardi colori primaverili spicca sullo sfondo di grandi alberi ombrosi, malinconici giganti sperduti in un mare giallastro e verdeggiante. Nell’Alta Valle del Tacina, il biancore spumoso delle nuvole incombe sul profilo nereggiante dei monti e sulla crosta abbronzata del declivio del pianoro. La Valle di Ciricilla, colta nel chiarore di un pomeriggio invernale, è immota, sospesa: un lunare sortilegio silenzioso, dove l’unica traccia della presenza umana è un sentiero di orme raggelate. La Valle del Crocchio, ancora nella Sila Piccola, lascia smarrire lo sguardo lungo lo specchio azzurro delle acque che serpeggia fra due sponde intrise di tutte le tonalità possibili e immaginabili del verde.

L’incanto naturale della Sila come rievocazione pittorica
Il lago del Passante nella Sila Piccola, eternato nello splendore incandescente del tramonto, è una delle immagini-talismano di questo straordinario e, riteniamo, irripetibile caleidoscopio fotografico. Iannaccaro non si rivela solo un maestro della fotografia ambientale, ma anche un poeta dell’immagine: un cielo fiammeggiante di giallo oro e di arancione che costeggia il profilo bruno della collina si rispecchia nella fosforescenza indaco del lago. Altrettanto suggestiva, quasi come un quadro surrealista di Magritte, la veduta del lago di Cecita a Lagarò nella Sila Grande: un isolotto racchiuso fra due lembi erbosi, acuminati come punte di freccia, e, nella quiete crepuscolare, il riflesso dell’acqua calma, rasserenante. Anche la già citata Valle del Soleo è colta in un paesaggio fortemente emozionale, sensorio, quasi postmoderno: una colossale nuvola a forma di fungo sopra una siepe imponente di alberi verde scuro, e appena sotto la distesa aurea del tavoliere, spruzzata di macchie verdognole sul limitare.
Un esempio ammaliante di fotografia pittorica è la visione del laghetto di Macchialonga nella Sila Grande: l’acqua è una superficie di cristallo opaco, che rispecchia gli alberi sotto il pallore azzurrino del cielo. La eguaglia nella Sila Piccola la veduta da Monte Scorciavuoi: qui Iannaccaro supera se stesso, perché i suoi cromatismi non si limitano a evocare la pittura naturalistica di fine Ottocento, ma la ricreano. Il paesaggio è un mosaico di sfumature cangianti: l’arancione torbido dell’erba bruciata dal sole, l’ambrato giallastro delle chiome degli alberi secolari, e soprattutto le svariate tonalità della vegetazione, che vanno dal verde intenso a quello pallido, dal color menta a quello oliva. In mezzo, due bovini al pascolo, dai manti ocra e giallo senape, che sembrano scaturiti da un dipinto di Giovanni Fattori. E, sullo sfondo, il blu violetto della spianata, le creste castane dei monti, le sagome vaporose delle nuvole. Un capolavoro di arte fotografica.
Memorabile un altro scorcio paesaggistico che l’autore trasfigura in preziose citazioni della pittura naturalista: la visione autunnale della Valle Lunga nella Sila Piccola offre la consueta varietà di sfumature cromatiche (verde, giallo, arancione), ma il dettaglio più pregevole è l’animale che bruca l’erba al centro, colto con una finezza degna del Canaletto.

Lo scorrere del tempo riflesso nei colori del paesaggio
Nel secondo capitolo, Le stagioni. Colori e impressioni, l’autore sottolinea che con l’avanzare dell’autunno «Monti e valli della Sila divengono un palcoscenico sul quale viene eseguita una entusiasmante sinfonia di colori». L’inverno, poi, «È la stagione del silenzio interrotto soltanto dal rumore delle fronde degli alberi mosse dal vento, è la stagione in cui la Sila sembra più maestosa, appartata, quasi inaccessibile».
A Moccone, nella Sila Grande, l’autore cristallizza le foglie di faggio in veste autunnale: un amalgama pastoso di vermiglio venato d’arancione, di violaceo nebbioso, di vinaccia pallido, di giallo acido. E tornando a Monte Scorciavuoi, crea fotograficamente un’accademica natura morta composta di funghi di un rosa smorto che affiorano da una screpolata ceppaia bruna chiazzata di verde smeraldo.
Lo splendore autunnale si sprigiona anche dalla veduta di Monte Pietra Posta nella Sila Piccola: una marea di foglie cadute, sfumate di un rosa conchiglia, ai piedi di maestosi alberi secolari dalla corteccia color cenere dai quali affiorano foglie gialle, arancione e smeraldine. Un cantico silenzioso di sfumature cromatiche che magnetizzano lo sguardo.
Un misticismo religioso che si fonde con lo scenario paesaggistico spicca come un vero e proprio tableau vivant nel crocefisso del Monte Curcio visto dal Valico di Monte Scuro della Sila Grande: un mirabile Cristo color ardesia incastonato dentro la glaciale geometria di un prisma rettangolare che esprime una sofferenza compressa.
Altre suggestive nature morte, dove la creatività di Iannaccaro, giocando abilmente con la suggestione delle macroinquadrature, produce infiorescenze surreali: l’astrazione fotografica dell’asfodelo di Monte Spinalba, nella Sila Piccola, è un frammento di natura che la dilatazione del dettaglio amplifica come di fronte a uno specchio deformante. E nella medesima pagina troviamo, a Monte Scorciavuoi, un tappeto di foglie secche che racchiude un collage di tonalità impressioniste in bilico fra l’esaltazione della vitalità della natura e il riverbero iridescente della sua putrefazione: come a voler dire che nulla si crea e nulla si distrugge.
Un altro capolavoro di visualità trionfante, rorido di turgida energia sanguigna, è l’agrifoglio in autunno di Monte Pietra Posta: quattro bacche scarlatte che letteralmente irrompono dalla lucentezza smeraldina del fogliame, emblemi di un’arte fotografica che idolatra la natura e la esalta in tutta la sua feconda pienezza.
Infine, poesia visuale allo stato puro, il diradarsi della nebbia autunnale a Verberano nella Sila Piccola: una scia biancastra che avanza in mezzo al verde brillante degli alberi, come un sentiero luminoso che la natura offre alla vista dell’uomo in una specie di malinconica elegia.
Nel terzo capitolo, I segni dell’uomo. L’impronta sul paesaggio, l’autore cicatrizza con una certa amarezza le ferite che l’intrusione della civiltà moderna ha inferto alla Sila: «Grandi opere di ingegneria che hanno trasformato ampie valli in laghi, grandi distese d’acqua che oltre a generare energia elettrica e a dissetare uomini e terre hanno reso l’aspetto dell’altipiano ancora più simile a quello del grande nord del mondo».
E l’iconografia di Iannaccaro non manca di sottolineare le trasformazioni scaturite dalla marcia inarrestabile del progresso: dai segni più recenti come la sagoma nera e invasiva dell’elettrodotto che si staglia sulle nuvole nei piani di Tirivolo della Sila Piccola, o la locomotiva a vapore nera e bordata di rosso di San Nicola Silvana Mansio nella Sila Grande fino ai più vetusti come i ruderi della casa cantoniera sulla strada per Lorica nella Sila Grande, o il tricolore impresso dal Cai (Club alpino italiano) sulla corteccia di un albero secolare nei boschi della Sila Piccola.
In conclusione, Piergiorgio Iannaccaro ci ha regalato uno scrigno di immagini ipnotiche, seducenti, terapeutiche: il suo amore per la natura della Sila trasuda da ogni singolo fotogramma, ne impregna i contorni, le sfumature, i dettagli. Ogni scatto fotografico racchiude una pulsione adorante verso i paesaggi che l’autore venera e rispetta, in una contemplazione estatica, rapita, incantata. Un inno all’eterna e incorruttibile bellezza della Sila.

Guglielmo Colombero

(direfarescrivere, anno XVI, n. 179, dicembre 2020)
 
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