Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
In primo piano
Un libro: il thriller psicologico
che si veste da metaromanzo
Federico Crisio ci offre un giallo particolare:
colpi di scena catturano il lettore
di Elena Cangiamila
Cosa accade quando un autore decide di creare un protagonista che sia il trionfo dell’uomo comune? Che sia il simbolo dell’inettitudine, che pur tentato dall’esasperante ricerca dell’unicità rimanga sempre e comunque se stesso: ordinario, inutile. Cosa succede però se la volontà dell’autore improvvisamente muta, se un invisibile nemico d’inchiostro si insinua tra le pagine?
A queste domande bizzarre, dal sapore quasi onirico, si può rispondere solamente con la lettura di Un libro (La Rondine Edizioni, pp. 160, € 11,90), il romanzo di Federico Crisio, parte della “Scuderia letteraria” di Bottega editoriale, che, nonostante il titolo paradossale, non è per nulla un’opera qualunque. Fin dall’inizio, l’inettitudine, la meticolosità che rasenta l’ossessione e la metodicità del personaggio principale – il Professore – sono il presagio di un punto di rottura sempre più vicino, che puntualmente avviene e trasforma una trama semplice e regolare in quella intricata e seducente di un thriller.
In Un libro nulla è come sembra: né il Professore apparentemente innocuo, né il Dottore dal largo sorriso; né il misterioso uomo armato di pistola, né tantomeno l’Autore, il quale come un dio crudele plasma i destini dei personaggi impietosamente, intervenendo nell’opera con un tono talvolta sarcastico e pungente, talvolta confortante, ma pur sempre incontestabile.

La metanarrazione: il modo perfetto di catturare il lettore
Da Italo Calvino a Miguel de Cervantes, la metanarrazione è una strategia narrativa frequentemente utilizzata dai grandi scrittori del passato. E certo, saperla utilizzare con naturalezza e maestria non è per nulla semplice. Tuttavia, nella sua opera Federico Crisio ci dimostra che non solo è possibile, ma che a volte si rivela persino essenziale nella creazione di una storia ammaliante, dalla trama volubile e originale.
Se a un primo livello narrativo infatti, le vicende riguardanti il Professore sembrano prive di qualunque valore letterario, arriva immediatamente la svolta a smentire le impressioni iniziali: un secondo livello parallelo al primo e arricchito da colpi di scena, perdite di memoria e interruzioni, in cui nulla è reale e nulla è finzione, ma tutto esiste. Così, al secondo livello narrativo – che presenta tutte le caratteristiche del thriller psicologico – si intreccia il terzo, ovvero la voce dell’Autore, che interviene parlando un po’ al lettore e un po’ quasi a se stesso, attraverso delle vere e proprie digressioni segnalate da parentesi quadre.
L’utilizzo della seconda persona singolare nella narrazione contorna il tutto, rendendolo ancora più sfuggevole e sorprendente. Come spiega l’Autore è più semplice indicare il protagonista «con un Tu generico, che equivale anche a un Me o a un Ognuno di noi». E allora, in questo vortice di maschere e misteri, la voce dell’Autore è l’unica certezza, l’unica guida in un universo in perenne mutazione.

La sconcertante banalità del male
Benché tutta l’opera desti nel lettore non solo interesse, ma anche una certa dose di incredulità e sconvolgimento, la figura del Professore è di certo memorabile per la sua avvincente e crudele trasformazione.
Se l’iniziale intenzione dello scrittore immaginario è quella di creare un uomo – o un Tu generico, un Me o un Ognuno di noi – sciatto e privo di qualunque slancio alla vita e all’azione, qualcosa cambia improvvisamente. All’insaputa dello stesso lettore, il mite Professore muta la sua repressione in follia omicida, stuprando e facendo letteralmente a pezzi una sua studentessa. Come aveva già fatto la sapiente penna di Hannah Arendt, ecco che la letteratura ci ricorda ancora che il male è banale, che si annida dappertutto. Il lettore rimane sgomento di fronte all’apparente innocenza del Professore, il quale, vittima di un’amnesia causata dai farmaci che tanto ama, ricorda le sue azioni terribili soltanto dopo averle compiute.
In questo clima di incertezza e mistero, la scena viene riempita dall’insospettabile Dottore, o meglio, dal Pretendente Protagonista, che come un moderno dottor Frankenstein dà forma all’alter ego malvagio del tranquillo Professore attraverso le sue medicine.
Ancora una volta, il male si traveste in modo impensabile, da uomo che ispira e trasuda fiducia. Il Dottore ha derubato il Professore della sua identità, lo ha reso “qualcuno” per strapparlo al suo ruolo di protagonista qualunque. Ma proprio quando tutto sembra perduto, proprio quando egli sembra poter finalmente divenire il nuovo Protagonista, ecco che il bene trionfa: il Tutore dell’Ordine, un vero e proprio salvatore di storie, arriva in soccorso al romanzo, e così un nuovo capitolo si apre.

Arte per arte, vivere per vivere
Il Dottore vuole impedire alla storia iniziale di soddisfare lo scopo per cui è stata creata: ovvero, parlare di un uomo qualunque, di un uomo inutile. Il Tutore dell’Ordine, dopo aver sconfitto il Dottore ed essere diventato il nuovo Protagonista, pensa di aver fallito la sua missione, poiché non è riuscito a salvare il Professore. Cerca uno scopo, un motivo per cui la storia debba continuare, non capisce perché non sia ancora finita, prova in tutti i modi ad agire. Ma se questo inconcludente impulso all’azione fosse quello che accomuna il Dottore e il Tutore? Ciò che davvero li condanna al fallimento?
Vivere soltanto per il gusto meraviglioso di vivere è una delle lezioni più complesse tanto da comprendere quanto da imparare, ma al di là dei colpi di scena, dei cambi di prospettiva e dei diversi livelli narrativi, questo è proprio ciò che Un libro vuole insegnarci.
La cosa più coraggiosa che si può fare è quindi lasciarsi andare. Lasciare andare il tempo, le situazioni, i sentimenti. Il Tutore sembra non aver pace, si dibatte come un uccello in gabbia. Ma solo lentamente e anche grazie all’intervento del buffo Magistro riesce a comprendere come la sua incapacità di svolgere il suo lavoro e la sua umana imperfezione siano proprio ciò di cui il romanzo ha bisogno.
Così, l’iniziale senso di inquietudine lascia il posto a un presagio d’amore. Amore per la vita, amore per l’arte. Come l’Autore ci ricorda nella sua lettera finale, Un libro non ha uno scopo, se non quello di celebrare l’arte e di essere per questo il libro di tutti – siano questi un Tu generico, un Me o un Ognuno di noi – per poi interrompersi improvvisamente lasciandoci sospesi in una sorta di vuoto. Un vuoto tutto da riempire.

Elena Cangiamila

(direfarescrivere, anno XVI, n. 171, aprile 2020)
 
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