Paradiso. Dimensione atemporale volgarmente chiamata eternità. Quattro importanti uomini del passato, più un riflessivo e affabile barbiere, rimangono attoniti di fronte al mondo e alle azioni dell’uomo, mentre osservano la Terra dall’alto attraverso un modernissimo monitor chiamato «Grande Oblò».
È con queste incredibili e accattivanti premesse che ha inizio Che mondo! (Kimerik, pp. 152, € 15,00), il romanzo di Fabiano Pini, dalla penna coinvolgente e originale. Quello ideato nel romanzo è infatti un paradiso super tecnologico, in cui il così chiamato Principale – nientedimeno che l’Onnipotente – chiama a raccolta alcune delle personalità più geniali che hanno popolato la Terra, dando loro il prestigioso ruolo di Indagatori celesti e creando dunque una squadra che si occupi di risolvere i mali dell’umanità.
Così ci ritroviamo innanzi a Napoleone III, Albert Einstein, Sandro Pertini, Leonardo da Vinci e il meno celebre (ma non meno importante) Ovidio Ruffini in un gruppo di discussione e riflessione sui problemi che affliggono l’umanità, tentando di risolverli con tenacia, perseveranza e un pizzico di follia.
La lotta ai mali del mondo: tra ironia, denuncia sociale e fantapolitica letteraria
Come già accennato in precedenza, in Che mondo!, l’incarico degli illustri e sapienti defunti convocati dall’Onnipotente è l’importantissimo nonché complesso compito di portare il bene laddove alberga il male. Per fare ciò, i nostri Indagatori celesti dovranno affidarsi alla loro intuizione e capacità di riflessione, potendo operare direttamente sulla Terra soltanto attraverso degli Emissari, angeli autorizzati a interagire con gli uomini.
Avendo stabilito simili premesse, un lettore attento non può certamente aspettarsi che il romanzo prosegua in modo prevedibile: tanto l’ironia acuta quanto gli scenari fantastici stabiliti inizialmente dall’autore si trasformano infatti molto presto in un’amara denuncia, in una riflessione che analizza in profondità la società del presente e del passato, che ne scopre i drammi e le contraddizioni. La lotta contro il male si inasprisce sempre più, mentre i capitoli dell’opera toccano alcuni tra i temi più scottanti dell’umanità intera: il bullismo, l’uso spropositato e dannoso dei social network, la solitudine, la corruzione morale e politica, il degrado, la schiavitù infantile, il femminicidio e la droga.
Ecco che allora la fervida fantasia dell’autore si mischia alla denuncia sociale e alla politica generando un romanzo che porta in sé le parti migliori di ogni genere letterario che lo compone. La fantapolitica, anzi, la «fantasociologia» – così chiamata da Antonio Oliverio nella sua Prefazione all’opera stessa – è quindi una delle forze motrici che guidano la narrazione del romanzo, rendendola dinamica, autentica e dolorosamente attuale.
I magnifici cinque: Indagatori celesti a confronto
«Parbleu!»[1] direbbe Napo, «Für das Elend!»[2] esclamerebbe Albi, «Corpo di mille pipe!» aggiungerebbe l’ex presidente. E dopo essere stati calmati dal pacifico Ovidio Ruffini, tutti si volterebbero a guardare Leo attirati dal familiare tramestio che segnala la creazione di una nuova invenzione.
Tra indignazione, malinconiche discussioni e geniali risoluzioni, viene declinata dunque la vita dei cinque Indagatori Celesti in paradiso, così diversi tra loro eppure allo stesso tempo così uguali. Napoleone III, Albert Einstein, Leonardo da Vinci e Sandro Pertini – rispettivamente Napo, Albi, Leo e il Presidente – appartengono a epoche e culture diverse, ma sono animati da una sete di giustizia autentica, da principi che nella vita, così come nella morte, impongono loro tenacia e coraggio anche di fronte a quelle questioni apparentemente irrisolvibili.
A unire le spiccate personalità che compongono il gruppo è Ovidio Ruffini, un barbiere giunto da poco in paradiso, un individuo qualunque. Ma proprio nella sua modestia e nella sua condizione di uomo comune si nasconde la forza di Ovidio: la sua pacatezza riesce a mitigare gli animi spesso indomiti dei suoi compagni, la sua indole tranquilla, che potrebbe quindi restare sommersa dalle personalità carismatiche che la circondano, riesce invece ad emergere e affermarsi, mostrandosi decisiva per la risoluzione di ogni conflitto.
Leonardo da Vinci e l’umana speranza
A guardarla dal Grande Oblò, l’umanità si direbbe perduta per sempre.
Il fantasma della sconfitta aleggia minaccioso nelle menti dei defunti protagonisti continuamente, li scoraggia e li annichilisce mentre osservano increduli il male che gli uomini sono stati capaci di generare nel corso dei secoli.
Eppure, quando tutto sembra perduto, quando ogni discussione colma di amarezza si è infine esaurita, accade qualcosa di inaspettato che accende ancora la fiamma della speranza: Leonardo da Vinci, Leo per i suoi amici, tira fuori all’improvviso un’invenzione capace di risolvere la spinosa questione del momento, qualunque essa sia. E benché l’uomo non disponga delle tecnologie decisamente ultraterrene che Leo utilizza in paradiso, l’ingegno di quest’ultimo, la sua fede, quella forza che lo spinge ad agire e a creare, mentre gli altri rimangono a discutere inutilmente, sono tutti impulsi meravigliosamente propri dell’essere umano. La resilienza di Leo rappresenta dunque quella dell’uomo, nonché la chiave per il trionfo del bene.
È così che, nonostante l’amarezza e il dolore, nonostante le domande senza risposta che i cinque Indagatori si pongono attoniti alla fine della loro missione, il romanzo fornisce all’uomo un barlume di speranza, l’accenno confortante di un lieto fine: se l’uomo è responsabile del suo declino, allora, con grande forza e tenacia, può anche essere artefice della sua rinascita.
Così, con altrettanta tenacia e irresistibile ironia, Fabiano Pini muove le redini del suo romanzo, incantando con maestria noi «pazzi uomini moderni» e demolendo ad uno ad uno i tabù della nostra società.
[1] Dal francese: Per Giove!
[2] Dal tedesco: Per la miseria!
Elena Cangiamila
(direfarescrivere, anno XVI, n. 170, marzo 2020)
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