Un testo che più che un libro è un vademecum, un percorso di catarsi che affronta con ironia il tema difficile dell’alcolismo. Tutto questo è Noi antabusiani. Come sopravvivere all’antabuse e sconfiggere la dipendenza da alcoldi Lucia Besana (Il Seme Bianco, pp. 88, € 10,90) un libro che fa parte della “scuderia letteraria” di Bottega editoriale.
Il testo è corredato dalla Prefazione della coordinatrice della redazione della stessa Bottega, Antonella Napoli, in cui si cerca, tra le tante, di contestualizzare il tono abbastanza inusuale che viene utilizzato dall’autrice, schietta e molto ironica che però non sono sinonimo di «banalizzazione o derisione». Infatti, come scrive ancora la stessa Napoli, « Non è sempre facile parlare di se stessi, non lo è soprattutto quando c’è da raccontare un passato scomodo, per vergogna, per rimorso, per paura. Besana
tuttavia questo passato lo affronta, con semplicità, franchezza e leggerezza. Ha lottato, combattuto, con tenacia e soprattutto umiltà, è riuscita ad affrancarsi del suo nemico, ha resistito alle tentazioni, ha accettato di farsi aiutare, ha messo da parte l’orgoglio. Ora pone la sua esperienza al servizio degli altri, lanciando un universale messaggio di speranza».
Infatti l’autrice, in maniera egregia, racconta non solo tutte le caratteristiche della dipendenza, ma soprattutto la sua personale esperienza di vita che l’ha vista impegnata nell’impresa titanica di non ricadere nel vizio del “goccetto”, indagando così su tutti i meccanismi psicologici dell’alcolismo e dispensando soluzioni ad un problema così diffuso e sottovalutato.
Sono narrati i sacrifici, le tensioni, le ansie, che però possono essere superate al meglio e più velocemente se ci si sofferma a pensare che la vita è una sola, e che quindi bisogna riscoprire la vera essenza del quotidiano, lontano dai piaceri effimeri e illusori che racchiude l’alcol.
Una storia di alcolismo
Questo racconto, ovviamente, si riferisce a chi soffre di una seria dipendenza e che, quindi, non riesce a fare a meno di bere e continuare fino all’intontimento perpetuo; sono quelli che, come viene detto dalla stessa autrice, nascondono le bottiglie, che pur di rimediare una goccia d’alcol si riducono a bere sciroppi e profumi, ma anche quelli che cercano la soluzione alla loro malattia, senza farsi troppe colpe, comprendendo a pieno che la vita è unica e come tale va rispettata.
Il titolo si riferisce all’antabuse, il farmaco che è utilizzato – come il metadone per la tossicodipendenza – per sconfiggere la dipendenza da alcol, ovviamente insieme alla forza di volontà e alla forte autostima del paziente. Tuttavia il medicinale ha una sua funzionalità solo se non viene associato all’alcol, nemmeno a piccole dosi, o gli effetti collaterali potrebbero essere devastanti. Di questo farmaco l’autrice offre una puntuale analisi, esponendo sia i punti di forza che di debolezza, dimostrando come la strada verso la sobrietà sia costellata di difficoltà sempre diverse; nonostante questa sembra essere una via senza uscita, leggendo ci viene offerta un’esperienza positiva, quella di chi è riuscita a vincere la sua battaglia personale.
L’altro come risorsa
Oggetto di analisi sono anche i meccanismi psicologici che si ritrovano in chi soffre di una dipendenza: l’autrice si sofferma su come molti alcolisti pensino che “l’altro” sia un mostro, che le persone più vicine a loro, coinvolti in questo vizio autodistruttivo, siano “il male” mentre, con un monito ben evidenziato all’interno del racconto, la scrittrice cerca di far comprendere la necessità di considerarle come dei compagni: dove l’alcol è solitudine e stravolgimento dei pensieri, gli “altri” restituiscono speranze; se l’alcol è tradimento e abbandono, questi affetti possono essere empatici e condividere da “dentro” e insieme ogni battaglia, più di quanto possa sembrare possibile.
In molti casi si teme il giudizio dall’esterno e si cerca ancora più complicità nell’alcol, ma bere fa perdere solo lucidità mentre aumentano le insicurezze; causa l’allontanamento dalle responsabilità e dai familiari e amici che potrebbero salvare e fornire energia e forza nei momenti di smarrimento.
Il libro è molto particolare, poiché cerca sempre di sdrammatizzare e rendere l’alcolismo un problema risolutivo, rimanendo comunque un racconto vero e sentito, dettagliato, che sa coinvolgere per bene il lettore. Il testo è una sorta di terapia d’urto, forte nelle descrizioni e scientifico nelle analisi, ma non melodrammatico; non è, infatti, una storia da fiction, ma una fotografia della realtà e un racconto autobiografico razionale e utile a chiunque.
Il messaggio che viene trasmesso ci insegna che la volontà può tutto sull’uomo e che il contatto con gli altri è un modo essenziale per avere sempre più chiara la realtà, anche in maniera brutale, al fine di riconoscere e affrontare, finalmente, il problema con l’appoggio delle persone che si amano, compagni preziosi in un momento così difficile.
Beviamoci su!
La parte più curiosa, e che dimostra l’ironia e la serenità di Lucia Besana, arriva in conclusione, nell’elenco di alcune ricette dei cocktails più rinomati ma nella loro versione analcolica, a voler significare che la sobrietà non vuol dire privarsi di qualcosa di fondamentale per potersi divertire in compagnia, anzi, al contrario, continuare a bere può portare al precludersi altro.
Il tema viene affrontato con molta leggerezza, spontaneità, coraggio, senza autocommiserazione; sicuramente una formula vincente per avvicinare più lettori accomunati da questo problema e che in questo modo possono riconoscersi e prenderne atto migliorandosi. Certamente il saggio si rivolge soprattutto a chi condivide la propria vita con chi soffre di questo disturbo, tuttavia può essere utile anche per chi si trova dall’altra parte del problema, come amico o familiare di un alcolista, permettendogli di entrare nella dimensione della dipendenza e offrendogli uno strumento utile per poter comprendere come iniziare un percorso di rinascita, insieme.
Gilda Pucci
(www.bottegascriptamanent.it, anno XII, n. 135, dicembre 2018)
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