La Rubbettino e la Fondazione Carical
promuovono romanzi de “La Giara”
Alcuni fra i migliori testi del Premio Rai pubblicati di recente.
Importante anche il ruolo dell’agenzia letteraria Bottega editoriale
di Pamela Quintieri
Sin dal 1972, anno della sua fondazione, Rubbettino si è sempre distinta nella pubblicazione di volumi di grande rilevanza culturale, la cui qualità quasi mai è passata inosservata agli addetti del settore e non, riservandosi nel panorama letterario nazionale un posto di prestigio.
Recentemente ha pubblicato (con il marchio Iride, nella collana Il mecenate) tre volumi risultati finalisti regionali al Premio letterario Rai “La Giara”. Si tratta delle opere: La grande madre di Alessia Alì (Iride, pp. 214, € 10,00), La promessa di Domenico Colella (Iride, pp. 148, € 10,00) e Nessuno tranne le formiche di Carla Gigliotti (Iride, pp. 118, € 10,00).
I testi sono stati stampati grazie alla partnership con la Fondazione Carical (presieduta da Mario Bozzo, importante giurato del premio). L’ente, senza fini di lucro, si concentra soprattutto sul substrato culturale, economico e sociale dell’entroterra calabrese e lucano, interessandosi a più livelli di arte, conservazione e valorizzazione dei Beni culturali, sanità, ricerca scientifica e assistenza delle categorie deboli.
L’editing dei tre libri è stato curato (perdonateci l’autoreferenzialità) da Bottega editoriale, l’agenzia letteraria guidata dal saggista storico e giornalista Fulvio Mazza, anche lui giurato per il medesimo premio.
Ecco una sintesi delle tre pubblicazioni.
La grande madre di Alessia Alì
Pentapoli 2492, il futuro è sempre più vicino. La medicina, in particolare la genetica, ha fatto passi da gigante.
La trasmissione della vita avviene tramite Metròs (conosciuta come “la grande madre”), un dispositivo che seleziona ed elabora il materiale cellulare, precedentemente prelevato, di due donatori sani ed emette gli embrioni da incubare in una cella omega per favorirne il completo sviluppo. Non esiste più alcun vincolo biologico tra genitori e figli; non esistono più malattie: è questo lo scenario che si presenta davanti agli occhi di Thomas e Julia, due dei protagonisti, al termine del loro percorso spazio-temporale intrapreso per far luce sullo strano arrivo a Thor Island di bambini provenienti dal futuro.
La storia viene raccontata da due voci narranti: la prima è proprio quella di Julia, che redige un diario di viaggio riguardante la sua avventura; la seconda appartiene a Orius, il responsabile per la sicurezza della Bambineria. A mettere in moto l’azione è Olga, l’assistente del dottor Vitasey, dopo essersi resa conto che questi, nel suo laboratorio, sta portando avanti un esperimento di eugenetica con l’intento di creare una stirpe biologicamente perfetta, destinata a diventare la nuova classe dirigente.
In questo testo raffinato e avanguardistico l’esposizione procede in maniera armoniosa ed estremamente fluida fondendosi abilmente con la trama scientifica i cui argomenti e colpi di scena conquistano il lettore. Anche la suspense contribuisce a creare un racconto avvincente, sospeso fra l’attesa e la scoperta: l’evoluzione del progresso e la sua natura vengono descritti attraverso personaggi caratterizzati in dettaglio, dalla componente psicologica approfondita e intensa. L’ambientazione avveniristica condisce di spunti interessanti una storia vibrante che regala attimi di riflessione concentrandosi sul problema dell’eticità delle invenzioni e delle scoperte mediche: la cultura è positiva solo se utilizzata a fini benefici.
L’autrice Alessia Alì è avvocato ed è originaria di Gioiosa Ionica (Rc).
«Avrei potuto dirle che non ce n’era bisogno: un pezzo di lei sarebbe tornato a casa, quel piccolo pezzo che io mi portavo dentro, come un dolore meraviglioso. Avrei potuto dirle tante altre cose. Avrei potuto almeno salutarla. Stringerla un’ultima volta. Invece non l’ho fatto. Mi sono limitato a guardarmi intorno, in cerca di qualcosa che avrei potuto lasciarle, perché fosse solo suo, perché le ricordasse ciò che era stata per me, ma era un’idea sciocca: io le stavo lasciando tutto di me, quello che era stato mio adesso era suo, anche se lei non ne avrebbe potuto godere ancora a lungo perché stava svanendo inghiottita da quel male che la divorava da dentro. E allora, mentre pensavo con rabbia al suo dolore, al mio dolore, sentii, dimenticato lì nella tasca della mia giacca, come un peso di fuoco vicino al cuore, il mio inalatore; lo tirai fuori, me lo rigirai tra le dita per qualche istante e poi glielo misi in mano, senza parole, ma con il rimorso travestito da compassione di chi compie un male inevitabile. Lei lo prese e indugiò un momento sulle mie dita, lasciando l’impronta dei suoi polpastrelli sulle mie mani; un contatto che non vorrò mai dimenticare».
La promessa di Domenico Colella
Troade, Anatolia, primo giorno d’estate dell’anno 334 a.C. Si narra qui della giovinezza di un re che ha fatto parlare il mondo di sé e delle sue gesta: Alexandros, erede naturale di Filippo II di Macedonia e di Olimpia, discendente di Pirro, figlio del Pelide Achille. Il suo amore carnale, acceso, per la schiava sacra Sophia si consuma in un momento di passione rovente e dà come frutto il piccolo Kratos. Il bambino, inconsapevole delle proprie origini, crescerà allevato dai nonni come pastore di capre e pecore, trascorrendo così la sua adolescenza. Dura e faticosa sarà la strada che il piccolo dovrà percorrere fin dalla più tenera età per ritornare nel suo paese natio e rivelare la sua reale stirpe e discendenza. Il titolo, La promessa, si riferisce al giuramento fatto da un soldato, Belos, che si occupa di salvare il neonato Kratos, assicurandogli che lo farà ritornare dai suoi legittimi familiari per occupare il posto che gli spetta di diritto.
Ricca di descrizioni paesaggistiche e climatiche, particolarmente coinvolgenti da un punto di vista evocativo-sensoriale, la narrazione, resa scattante e fluida dal ritmo serrato, seduce il lettore.
Il linguaggio fortemente espressivo crea un racconto che si dirama sulla base di un abile intreccio di personaggi e relazioni. Buoni e pertinenti i riferimenti storici.
L’autore Domenico Colella è giovanissimo, è originario di Locri ed è attualmente studente presso l’Università della Calabria; all’epoca della partecipazione al Premio Rai “La Giara” frequentava ancora il Liceo classico.
«Ad un tratto, un rumore furioso di zoccoli che calpestavano il terreno fece girare velocemente la testa ai soldati: una decina di cavalieri spronava i cavalli per arrivare per primi in cima alla collinetta. I possenti destrieri cavalcavano ignorando i fanti che velocemente si scansavano per evitare di essere calpestati. I cavalieri non erano meno imponenti delle loro cavalcature. Visi truci su corpi pieni di cicatrici. In testa però, su un gigantesco cavallo dal manto scuro e una macchia a forma di cranio bovino sulla fronte si trovava un ragazzo di appena vent’anni. Si dice che quando nacque, la dea Artemide fosse talmente intenta a guardarlo che non si accorse che il suo tempio a Efeso era lentamente divorato da rosse fiamme insaziabili. Quel ragazzo da allora era molto maturato e ora si ritrovava ad essere re. Si era sempre lamentato con suo padre Filippo del fatto che lui non gli avrebbe lasciato nulla da conquistare, ma oggi, ad ogni respiro, gli sembrava di avvertire nell’aria qualcosa che aveva ricercato a lungo. Sì, ne era sicuro, quello che gli entrava nelle narici era l’odore dell’avventura e della gloria che lo stavano aspettando oltre quell’orizzonte. Spronava il cavallo con i talloni mentre drizzava la schiena per attutire i continui sobbalzi che la groppa di Bucefalo produceva galoppando. Il terreno misto alla sabbia era alzato dai possenti zoccoli mentre cavallo e cavaliere, muovendosi come fossero un tutt’uno, distanziavano sempre di più il gruppo. In breve il dislivello della collinetta diventò sempre più piccolo finché non spuntò prima il tetto e poi tutta la struttura del grande tempio. Un falco volteggiava sopra l’edificio e chiunque fosse superstizioso prese quel segno come un buon auspicio».
Nessuno tranne le formiche di Carla Gigliotti
Una donna cerca di portare a termine una gravidanza (quelle precedenti si sono sempre concluse con aborti spontanei), finché all’ennesima nasce Michele Currao, un piccolo solitario e taciturno. Siamo nell’Italia degli anni ’40, durante il Fascismo, ed è in questo periodo di fervore politico-culturale, ma anche di arretratezza sociale, analfabetismo e lavoro nei campi, che si sviluppa un’amicizia profonda e indistruttibile che nemmeno il corso degli anni potrà cancellare: quella tra Michele e il suo compagno di banco di scuola elementare Tonio Mazzini. Sarà Tonio a svelare a Michele il luogo dove si trova il Santuario delle formiche, da cui il titolo prende origine. Il legame tra i due bambini sembrerà interrompersi misteriosamente, fino a quando il passato tornerà a fondersi con il presente.
In un contesto che colpisce immaginario, mente e cuore, equilibrati procedono all’unisono, i personaggi, principali e non, che ricoprono un ruolo determinante, e la tensione emotiva trabocca ricca e piena rendendo tutto meravigliosamente morbido e avvolgente. Queste figure vivide, reali, concrete ingenerano un grado di immedesimazione altissimo nel lettore. E la narrazione si snoda spontanea, fluttuante, contornata da particolari politico-culturali o da momenti di leggerezza. Sarà proprio questa cura particolare, questo saper bene bilanciare l’intensità delle scene principali con l’armonia di momenti più conviviali e gradevoli, a modellare una trama sapiente e dal gusto raffinato.
L’autrice Carla Gigliotti è originaria di Vibo Valentia ed è psicologa, attualmente risiede in Inghilterra.
«Il succedersi dei giorni e delle stagioni è un evento regolato da moti e rotazioni, tuttavia il tempo che trascorre sugli orologi e le meridiane ha una connotazione umana e proprio per tale motivo non è esente da errore. Accade così che un anno non si concluda al trecentosessantacinquesimo giorno, ma duri qualcosa in più, per l’esattezza 365,2225. Per recuperare questo scarto, che si accumulerebbe nei secoli confondendo le abitudini, ecco che periodicamente ci si inventa un giorno eccezionale: il 29 Febbraio. […] Febbraio era così fuggito via veloce, consumando anche quell’ultimo giorno eccezionale, che eccezionale lo era diventato realmente per Serafina Currao. Prima dello scadere della mezzanotte, infatti, era riuscita a recuperare lo scarto temporale accumulato in quasi trent’anni, durante i quali le era stata perfidamente negata la maternità. Nel tormentato travaglio, aveva udito perfettamente il giudizio crudele del medico che sopravvalutando l’ottundimento, causato dalla febbre e dallo sfinimento delle doglie, si era espresso definendola un tetro sarcofago da scoperchiare. […] S’era voluta posizionare davanti alla finestra, ordinando perentoria che gliela aprissero. […] Con le gambe divaricate s’era piegata sul davanzale, come a guardare qualcosa che le fosse caduto in strada. […] D’un tratto, il medico aveva visto la stoffa della camicia da notte ondeggiare, in un punto vicino all’orlo, distinguendo la sagoma di un piedino che scalciava».
Il Premio Rai “La Giara”
Il concorso letterario, istituito nel 2012, ricerca talenti nel campo della scrittura ed è aperto a cittadini italiani di età compresa tra i 18 ed i 39 anni (compiuti entro la data di inizio dello stesso). Si può partecipare con un componimento in lingua italiana, rigorosamente in prosa, almeno di 180.000 caratteri, spazi inclusi.
Sono ventuno le commissioni regionali dislocate sul territorio nazionale che sceglieranno, anche quest’anno, i due finalisti (due per ogni regione) che approderanno alla fase ultima per la proclama dei primi tre classificati. La premiazione avverrà il 15 luglio 2015 nella cornice della Valle dei Templi di Agrigento. I vincitori vedranno la loro opera pubblicata con Rai Eri, il laboratorio di scrittura creativa di Rai. Si possono avere maggiori informazioni sul premio consultando il sito all’indirizzo www.premioletterariolagiara.it.
Pamela Quintieri
(direfarescrivere, anno XI, n. 110, febbraio 2015)