Anno XXI, n. 231
maggio 2025
 
In primo piano
Dietro il sipario e sul palcoscenico:
qual è il confine tra realtà e finzione?
Nell’incessante brulichio inventivo di Napoli, Miro Iafisco riflette
sull’arte recitativa. Un romanzo divertente e trasognato da Sovera
di Graziana Pecora
«L’attore non recita le parole ma i sentimenti, che la parte è fatta non di parole ma del sottofondo affettivo: è quella la parte nascosta da scoprire dell’attore». Per gli appassionati di cinema e teatro ma soprattutto per gli amanti della recitazione, questo aforisma di Stanislavskij, che riassume tutto il suo studio sull’espressività dell’attore e descrive il metodo che egli stesso mise a punto, ormai più di un secolo fa, è presumibilmente assai illuminante. E di certo Miro Iafisco, scrittore e sceneggiatore romano, lo conosce molto bene, tanto da decidere di costruire un romanzo intorno a questo tema. Party show (Sovera, pp. 144, € 14,00) è una commedia brillante incentrata proprio sulla recitazione, non solo come occasione di realizzazione personale in stretto rapporto con la notorietà presso il grande pubblico, ma soprattutto come momento estremo di creatività scaturita da un atto di profonda immedesimazione o, per meglio dire, da un processo di simbiosi. Azzeccatissima, a tal proposito, anche la scelta di ambientare la storia a Napoli, in omaggio alla grande tradizione teatrale che contraddistingue da tempo immemore il capoluogo partenopeo.

La creazione organica
Il difficile, per un attore, non è tanto immedesimarsi in un personaggio, ossia “scomparire” come persona per far “comparire” il personaggio, quanto appropriarsene emotivamente e psicologicamente, lasciare che questi entri e scorra in lui, in una sorta di innesto. L’attore deve, cioè, mettersi realmente nei panni del personaggio e chiedersi: “Come mi comporterei se fossi nelle sue condizioni?”. Questo è ciò che, in estrema sintesi e senza pretese di esaustività, suggerisce il metodo Stanislavskij. L’attore, recitando, “crea” in maniera organica, poiché è un tutt’uno con il personaggio.
E questo è anche ciò che impara a fare, un po’ inconsciamente, Aldovina in uno dei momenti culminanti del party show messo in scena davanti agli occhi del lettore. La maldestra ragazza, a ben vedere protagonista indiscussa del romanzo di Iafisco, è un talento naturale nel combinare guai e una campionessa di ingenuità, dotata di una fervida immaginazione ed estremamente propensa a lasciarsi catturare dallo stupore. Incarna, dunque, quelle doti fanciullesche che stanno alla base dell’immedesimazione recitativa, poiché sono determinanti per conferire verità alla propria “creazione”. Alina, come ben presto viene ribattezzata nel mondo della “finzione” del party, è l’unica outsider tra i personaggi del romanzo: diversamente da tutti gli altri, che sognano una vita da attori oppure sono produttori, giornalisti, starlettes abituate al mondo del cinema o del teatro, lei non ha mai nemmeno preso in considerazione l’idea di salire su un palcoscenico ed esibirsi. E fondamentalmente crede di non saperlo fare, anche perché non ne conosce le tecniche. Trascinata un po’ per forza in questo mondo artefatto per sostituire un’aspirante attrice infortunata, attraverserà momenti di profondo turbamento, misti a insicurezza, tensione, sorpresa e a un genuino sentimento amoroso. Tutte queste emozioni, intrecciate con il pensiero costante delle parole che dovrà recitare e che continua a dimenticare, la faranno approdare a un’inconsapevole esibizione perfetta, dettata dalla spontaneità del suo reale sentire.

Gli interpreti
Tutt’intorno a lei si agita un turbinio di figure che sin dall’inizio del romanzo – è proprio il caso di dirlo! – le rubano la scena. A tirare le fila della trama vi è, infatti, tutta una serie di personaggi che di volta in volta fanno credere al lettore di essere i veri e unici protagonisti della storia. Dapprima il quartetto della casa di produzione cinematografica “Oro Film”, capeggiata da Roberto Falto, il quale tenta disperatamente di inventarsi qualcosa di nuovo per salvare l’impresa dall’imminente fallimento e concepisce così l’idea del party show, una festa-spettacolo in cui attori emergenti e aspiranti tali potranno mettere alla prova le proprie abilità, farsi notare da registi e giornalisti e magari farsi scritturare dalla casa produttrice.
Poi il trio di amici, Vito, Alex e Gioia, teatranti per passione ma di tutt’altra professione, i quali, invitati anche loro al party show, aderiscono entusiasti all’iniziativa, salvo incontrare un piccolo intoppo – l’infortunio di Gioia – che vedrà, stavolta meno entusiasticamente, l’entrata in scena dell’impacciata Aldovina. Mentre Vito è molto sicuro di sé, forte anche di qualche piccola esperienza televisiva, Alex è estremamente contrariato per la decisione di Gioia di farsi sostituire dalla coinquilina, perché teme che, non avendo mai recitato ed essendo anche attratta da lui, finirà per rovinare l’esibizione e metterlo in cattiva luce. Quello che non sa, però, è che saranno proprio la forte attrazione della ragazza per lui e la sua totale estraneità al mondo della recitazione a far loro ottenere il massimo del successo al party.
Tra gli altri personaggi, molto ben caratterizzati e che qui non elencheremo tutti, vi è Brenda, la diva strapagata che mette in scena una rocambolesca e spaventosa operazione in cui il reale prende davvero il posto della finzione. Vi è Victor, responsabile organizzativo della festa, il prototipo dell’event manager omosessuale che pretende la perfezione, dunque l’artificiosità, salvo poi dover fare i conti con la realtà peggiore che possa augurarsi, ossia camerieri imbranati o ubriaconi e una festa che si trasforma in un gran disastro, tra finti terroristi e veri poliziotti. E ancora, Bruno, cameriere alla sua prima esperienza, che combina un pasticcio dietro l’altro, anche se ha dalla sua un ottimo motivo: nasconde, infatti, un segreto…

Il gioco
Party show: già il titolo racchiude le due componenti principali del romanzo, lo spettacolo, l’esibizione teatrale, e la festa, il divertimento. Caratteristiche fondamentali del testo sono infatti la leggerezza e l’assoluto spasso di molti episodi, specie alla fine, quando gli eventi prendono una piega talmente assurda e surreale che viene quasi da chiedersi se l’autore non si stia prendendo gioco del lettore. O forse si burla degli stessi personaggi, sbeffeggiando la cultura fondata sulla logica dell’apparire, il mito del successo a ogni costo? Chissà, qualche lettore malizioso potrebbe leggervi anche questo. Noi, però, più che quella canzonatoria, vi abbiamo trovato la componente scanzonata, la dimensione del gioco, ossia della finzione divertita e divertente che abilmente si mescola alla realtà. Una cifra stilistica che si riflette anche nelle modalità espressive del romanzo, colloquiali, immediate e lineari, le più adatte, cioè a una commedia, come insegnano i Greci. Il linguaggio, dunque, si adegua a creare un’atmosfera lieve e movimentata, un ritmo narrativo agile e scoppiettante, dalla suspense adrenalinica, pause dosate, colpi di scena spiazzanti ed episodi tutti da ridere.
La recitazione, sembra dirci Iafisco in ultima analisi, va presa con serietà e professionalità, calandosi il più possibile nel reale, ma in fondo – come ricordano il play inglese e il jouer francese – è pur sempre un gioco.

Graziana Pecora

(direfarescrivere, anno X, n. 102, giugno 2014)
 
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