Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
In primo piano
Toccare con mano raffinatezza e gusto
con le melodie di una giovane poetessa
Da Città del sole, una raccolta di poesie dal gusto un po’ retrò:
con i suoi versi, Cristiana Gagliardi riscopre la vera letteratura
di Rino Tripodi
Dopo il suo esordio letterario, nel 2004, a soli diciassette anni, con una raccolta di versi brevi e raffinati – edita anche con il supporto de la Bottega editoriale – e dallo stile tanto ricercato da apparire, infine, sorprendentemente semplice e limpido, Cristiana Gagliardi torna a deliziarci con una nuova antologia poetica, in grado di farci riscoprire tutto ciò che è arte e cultura. In sé basta l’amore (Città del sole, pp. 260, € 16,00) è un’opera che tocca svariate tematiche ricche di “dolci melodie”, che la poetessa riesce a trasmettere grazie alla sua sensibilità e destrezza scrittoria.
Di seguito vi invitiamo alla lettura della Prefazione al testo, a cura di Rino Tripodi, che attentamente ripercorre i versi dell’autrice, sottolineandone le preziose scelte stilistiche e i richiami letterari.

La redazione


Prefazione

Le infinite gocce musicali di Cristiana Gagliardi
Viviamo in un’epoca (il XXI secolo) nella quale, come sosteneva il compianto Giorgio De Rienzo sul Corriere della Sera, il culto della letteratura e la raffinatezza formale, quindi anche lessicale, sono venuti meno e ormai «appartengono al secolo scorso, non solo per la [...] formazione culturale, ma soprattutto per quel senso sacrale della scrittura e quel rispetto profondo del lavoro letterario, che ormai si sono perduti».
Dato tale contesto storico-culturale-letterario, la prima caratteristica che balza alla luce nelle poesie della pur giovane Cristiana Gagliardi – ma già alla seconda pubblicazione, dopo Col cuore in mano (Cle, gruppo Rubbettino) del 2004 – è il linguaggio ricercato, dotto, mai banale, mentre oggi la sciatteria prevale, purtroppo, anche in ambito letterario (sarebbe meglio dire “pseudoletterario”).

Lessico e misura dei versi
Le scelte linguistiche della poetessa sono preziose, curate, colte e si inseriscono lungo il solco dei “classici” della poesia italiana, nonché straniera.
Alcuni esempi, tratti da vari componimenti: «s’immilla»; «estua»; «rai»; «affralite»; «ignifero»; «foscheggia»; «equoreo»; «liliali»; «frangiam»; «cètera»; «sgrulla»; «venustà»; «embrice»; «albicate»; «belluria»; «carnicini»; «superno»; «ferace»; «enfie»; «letèo»; «albicanti»; «ghiara».
Del resto, un’intera sezione (Giganti) della raccolta delinea in ritratti di pochi versi alcuni dei grandi protagonisti della scrittura e dell’arte. Costanti sono in tutto il libro gli echi, lessicali e non solo, di illustri poeti del passato, quali Eugenio Montale, Giovanni Pascoli e molti ancora.
L’altro aspetto caratteristico dei componimenti dell’autrice è la misura dei versi. La Gagliardi sceglie la strada dell’uso costante della spezzatura, per cui abbiamo la prevalenza di bisillabi e trisillabi. Ciò comporta certamente un effetto di frantumazione, un ritmo franto, rotto, ma, paradossalmente, al contrario, un’infinita fluidità, una sensazione di perpetua caduta di gocce di musica.

Un’Arcadia, ma solo apparente
Ecco, allora, che, provocatoriamente, azzardiamo; e offriamo al lettore un’ipotesi. La brevità della misura metrica delle poesie che stiamo analizzando fanno pensare, da un lato, alla musica dodecafonica novecentesca, alle sperimentazioni più estreme, alla ricerca di un suono primigenio e frantumato – anche se l’insieme dei frammenti finisce per costituire un affresco grande, chiaro e prezioso; d’altro canto, la loro musicalità, la loro – almeno apparente – levità, il loro infinito scorrere, non richiamano forse alla mente Gabriello Chiabrera, il Rococò, l’Arcadia, il Metastasio?
In particolare, alcune poesie – musicali e sonore – sembrano delicate “arie” da melodramma metastasiano (si legga Navigante o Tommaso), anche, talvolta, per una certa loro sentenziosità («Chi / nega / diletto / per salvar / eburnea / l’alma, / cava / oro / fra mani / tremanti», Eco piacevole; «Avaro, / qual gazza / lucor / invola, / tesor / chiude / nei pugni», Umile pietà).
Ma, soprattutto, il richiamo all’arte letteraria sei-settecentesca è dovuto alla fluidità dei componimenti della Gagliardi, nei quali è dominante la sensazione di un movimento costante e rapidissimo nella natura, nella vita, uno zigzagare inarrestabile e imprendibile, un volo – spesso gioioso – nell’esistenza, in tutti i suoi aspetti («Piccoli / spiritelli / aspergon / luce / dalle stelle, / […] / Nell’ora / del risveglio, / farfalle / dipinte / portan / frammenti / d’incanto / su ali / tremanti», Fate), con accostamenti metaforici e analogici dal sapore addirittura barocco («Dentro / il blu / feraci / isole, / a lucciole / simili / nel cielo, / ove leggeri / s’avventano / gabbiani», Nuovo sole; e, in particolare, «Lucido / filar / di mimose / per il cielo / aurora / schizza / dalle gote / rubiconde», Segreto).
Tuttavia, a dire il vero, il vivere vien colto in tutte le sue contraddizioni: non mancano i riferimenti – anche crudi – alla violenza, magari occulta, ma sempre presente e minacciosa, alla crudeltà atroce dell’esperienza esistenziale («giorno / che schiva / il destino / affamato», Desio; «Tempo, / gomitolo / d’eventi, / si ravvolge / attorno / la vita…», Sorella).

L’immersione nel divenire
Eppure, resta prevalente una sensazione di piena immersione, vitalistica, selvaggia, nella natura, in tutte le sue forme e nel suo perpetuo, mutevole divenire («il mar / dell’essere / non intona / mai / lo stesso / canto», Armonia è alterità). Tutto fluttua.
Non a caso, la sezione iniziale si chiama Fluire. E, nella poesia che le dà il titolo, si dichiara apertamente: «Come l’onda / spumeggia / fra rivoli / d’acqua, / costretta / da brezze / ad andare / e venire; / m’abbandono / esule, / vagabonda / al lento / fluire / di nuove / vite».
La brezza, l’aura, il venticello, costituiscono veri leit-motiv della silloge («Il vento / giuoca / tra le spire», Avida scoperta). La loro mutevolezza consente di penetrare nell’energia vitale della natura, dell’universo, del cosmo, visti come sorpresa continua: «La loro / vivida / fiamma / segna / perpetuo / aprirsi / d’orizzonti» (Occhi).
Natura e vita sono un tutt’uno: «La vita, / indomabile / creatura, / rapisce / l’anima / terrestre, / come vento / del nord / arso / di gelo, / mare / increspato / su folate / d’autunno» (Indomabile creatura; ma, soprattutto, anche per la sua significatività e valore estetico, si legga interamente Vivi).
In questo movimento gioioso, talvolta giocondo, in volo, o danzante («lascia / cuore / alla danza, / che lenta / vibra / lo spirito», Cos’è), si immettono esplosioni di colori, suoni, sensazioni («Sfrusci / e pazzi / voli / nell’alba, / sonan / aure / trombe / di rai», Arcaico presente), con conseguente lampeggiare di sinestesie («Nell’acqua / violacea, / lo scintillìo / dei licheni / dorati / è polline / di suono», Calamita d’amore).
Infatti, l’intera costruzione del libro si caratterizza, oltre che per l’organizzazione testuale, per la ricerca (anche grazie all’inserzione dei disegni di Ilaria Casagrande e alla citazione finale dell’Art Poétique di Paul Verlaine) di una compenetrazione poesia-musica-pittura, che poi non è altro che il sogno decadente dell’“arte totale”. Come dice nella nota introduttiva la stessa autrice: «Sappiamo già che in questa vita umana tutto è caduco, ma possiamo almeno provare ad allungare insieme l’esistenza del mondo, tentando di ricostruire la condivisione di alcune virtù».

La ricerca del mistero
Tutto ciò è finalizzato alla scoperta dei misteri reconditi dell’io («Noi / siam / della meraviglia / immensità / e specchio», Amenità; oppure «Siamo / mare / e conchiglia: / espansione / d’infinito, / scrigno / d’intimità», Il mare e la conchiglia) e del cosmo («Il lattescente / brulichìo / delle vivide / stelle / rischiara, / d’ora / in ora, / la nera / azzurrità», Notti immense).
Come in Corrispondenze di Charles Baudelaire, la natura è un libro di simboli misteriosi, intermittenti, involontari, di terra, acqua, aria e fuoco, sparsi tra mare, cielo, animali, paesaggi, sensazioni, avvolgenti il soggetto e l’oggetto, in una sorta di panismo cosmico. Non si tratta di rivelazioni accecanti, ma di evocazioni, aloni, bisbiglii, sussurri, scintille, fuochi fatui, che provocano piacevoli rivelazioni, all’interno della gioia di vivere un’esistenza unica e inimitabile, in cui prevale l’incanto e la luminosità.
Simboli ancestrali, primigenii, tratti da quell’inconscio collettivo di junghiana memoria, ricco di vitalità e foriero di preziose scoperte anche all’interno del proprio inconscio, quello individuale. E, difatti, nella Gagliardi, c’è un continuo scambio tra il fuori di sé e il dentro di sé.

Ceruleo / Mondano
Due sono gli aggettivi più ricorrenti nei versi della Gagliardi: «ceruleo» e «mondano». Crediamo che tale dato “statistico” non sia casuale.
Si tratta delle due facce della realtà. «Mondano» si riferisce alla materialità, alla brutalità della vita; a esso si contrappone il «ceruleo» – colore particolare e misterioso, cangiante tra l’azzurro, il verde, il blu – che connota la sfera della spiritualità, della delicatezza, della religiosità.
La religiosità, appunto, è molto presente nella silloge, ma essa, più che essere legata a una fede “rivelata” e dogmatica, appare “espansa”, un prolungamento-ricerca dell’io. Del resto, forse il tema centrale è proprio il movimento costante e inconcluso perché senza fine, alla scoperta delle misteriose, quasi ineffabili e inintellegibili, leggi della vita («Nel mar / porpora, / immense / vie / scrutaron / devoti / fuggiaschi», Prodigio).
La poesia della Gagliardi non è certo una poesia semplice, anzi spesso presenta caratteristiche “difficili”. Tuttavia, permeata com’è da spirito religioso e amore («beltà / non c’è / senza / follia / d’amore»), coinvolgerà certamente molti lettori. E, comunque: In sé basta l’amore.

Bologna, marzo 2012

Rino Tripodi

(direfarescrivere, anno VIII, n. 79, luglio 2012)
 
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