Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
In primo piano
La questione di Nizza sottratta all’Italia.
La verità sui baratti e le frodi politiche
Da Edizioni Settecolori, le numerose falsità francesi e sabaude.
I vani tentativi di Garibaldi contro questo enorme broglio storico
di Guglielmo Colombero
«Della letteratura italiana del Nizzardo – afferma Giulio Vignoli, autore di Storie e letterature italiane di Nizza e del Nizzardo (e di Briga e di Tenda e del Principato di Monaco) (Edizioni Settecolori, pp. 134, € 13,00) – nessuno sa niente né in Italia né in Francia. Non se ne sa niente perché in Italia non se ne parla più da sessant’anni e perché in Francia si cerca in tutti i modi di tenerla ben nascosta». Il teorema sostenuto da Vignoli, in effetti, ha un fondamento indiscutibilmente vero: lo stato francese «ha ancora la coda di paglia per il modo in cui Nizza fu annessa (ceduta dal Regno di Sardegna), e teme sempre che qualcuno si decida ad accendergliela, e per la repressione successiva contro i Nizzardi, una vera e propria azione di distruzione culturale contro tutto quello che sapesse d’italiano. Solo le lapidi dei vecchi cimiteri, ovviamente scritte in italiano, furono rispettate».

«Nizza e Corsica sono francesi come io sono tartaro!»
Queste le parole del furibondo anatema scagliato da Giuseppe Garibaldi contro l’accordo tra Cavour e Napoleone III che l’aveva “reso straniero in patria”, contenute in una lettera che l’Eroe dei due Mondi inviò al giornale La Riforma il 17 maggio 1881, un anno prima della sua morte nello sdegnoso isolamento di Caprera. Nel libro che analizziamo la tematica dell’italianità di Nizza è affrontata con argomentazioni sobrie e incisive, del tutto avulse da qualsiasi forma di revanchisme riconducibile a nostalgie del Ventennio.
Una breve panoramica storica è indispensabile. Acquisita dai Savoia nel 1388, per volontà della dinastia feudale dei Grimaldi di Boglio, che in tal modo si sottrasse all’oppressione degli Angioini, la contea di Nizza rappresentò il primo sbocco sul mare per la Casa sabauda. Riconosciuta solennemente dai nizzardi la sovranità di Amedeo VIII, la cessione ai Savoia ottenne la ratifica del Sacro Romano Impero nel 1419. Il giorno di ferragosto del 1543 Nizza visse il suo momento più nero, quando fu assalita e saccheggiata dai corsari turchi alleati dei francesi: solo il castello rimase inespugnato, e la pasionaria dei nizzardi, l’intrepida Catarina Segurana, che aveva combattuto con più coraggio di un uomo, fu impiccata dagli invasori alla Porta Paroliera, diventando un’icona leggendaria. Il 9 settembre un esercito sabaudo di soccorso ruppe l’assedio.
Professore di Diritto internazionale presso l’Università degli Studi di Genova, Giulio Vignoli si è sempre interessato alle minoranze etniche e linguistiche. Ha pubblicato L’irredentismo italiano in Corsica durante la Seconda guerra mondiale. La sentenza di condanna a morte degli irredentisti corsi (Ipotesi, 1981), I territori italofoni non appartenenti alla Repubblica italiana agraristica (Giuffrè, 1995), Gli Italiani dimenticati. Minoranze italiane in Europa (Giuffrè, 2000), Donne di casa Savoia. Da Adelaide di Susa a Maria Josè (Ecig, 2001), La vicenda italo-montenegrina. L’inesistente indipendenza del Montenegro nel 1941 (Ecig, 2002), Il sovrano sconosciuto. Tomislavo II re di Croazia (Mursia, 2006), L’olocausto sconosciuto. Lo sterminio degli Italiani di Crimea (Settimo Sigillo, 2009, scritto a quattro mani con Giulia Giacchetti Boico).

Un plebiscito farsa e i sanguinosi Vespri nizzardi
Il Risorgimento, purtroppo, coincide per i nizzardi con la rescissione traumatica dei loro legami con l’Italia. Il plebiscito del 1860 fu un’ignobile farsa: solo metà della popolazione si recò alle urne e le autorità francesi comunicarono che l’annessione era stata votata da oltre 24.000 nizzardi, contro solo 160 suffragi contrari. Dieci anni dopo, quando il processo di “francesizzazione” forzata era già a buon punto, il crollo del Secondo Impero a Sedan ridiede slancio ai nizzardi che aspiravano al ricongiungimento con l’Italia. Il 6 novembre 1870 riprese a circolare un quotidiano in lingua italiana, Il Diritto di Nizza, fu costituita su iniziativa del popolo una Guardia nazionale e le autorità francesi risposero con la proclamazione dello stato d’assedio. Le elezioni per l’Assemblea nazionale francese, indette dal governo provvisorio della Terza Repubblica con sede a Bordeaux, sancirono a Nizza un trionfo per il partito filoitaliano: furono eletti deputati Costantino Bergondi, Giuseppe Garibaldi e Luigi Piccon. La reazione del prefetto Dufraisse non si fece attendere: il 9 febbraio 1871 la polizia irruppe nella sede del Diritto di Nizza e soppresse brutalmente il giornale. Scoppiarono tumulti di piazza, la gente sventolava bandiere su cui figurava l’acronimo “Inri”: I Nizzardi Ritorneranno Italiani. I gendarmi a cavallo caricarono la folla e, con l’intervento di alcuni battaglioni di soldati della Marina, la rivolta nizzarda fu schiacciata nel sangue in un paio di giorni. Il numero delle vittime non fu mai reso noto. Il pavido governo italiano dell’epoca, presieduto dall’esponente della Destra storica Giovanni Lanza, non mosse un dito in favore degli insorti, e così Nizza rimase saldamente in pugno all’ancora traballante governo repubblicano francese. L’8 marzo a Bordeaux venne chiesto l’annullamento dell’elezione di Garibaldi, in quanto di nazionalità italiana: prese la parola il grande scrittore Victor Hugo, che rammentò all’Assemblea che il Nizzardo era comunque l’unico generale vittorioso nella guerra contro la Prussia, rassegnando subito dopo, polemicamente, le dimissioni da deputato.

Un pluralismo culturale soffocato per decreto
«Nizza per secoli è stata una città internazionale, crocevia di culture, intreccio di costumi, centro di arricchimenti reciproci, che convivevano in pace e costruttivamente», scrive Vignoli. «A Nizza si parlava e si scriveva nizzardo, italiano e francese […]. La Francia distruggerà con una metodica, sistematica azione questo centro pluriculturale, di apporti diversi. Farà strame dell’identità, dell’essenza stessa di Nizza, verrà fatta violenza alla Città e alla Contea. Un vero, autentico “genocidio culturale”».
Un analogo procedimento fu seguito per Briga e Tenda, occupate militarmente dai francesi fra il 26 e il 27 aprile 1945, all’indomani della Liberazione. Il 29 aprile fu organizzato uno pseudoplebiscito annessionista: il voto non era segreto, chi non si recava alle urne non riceveva la tessera annonaria e, fatto veramente inaudito, sulla scheda non era indicata un’eventuale opzione per l’Italia. La Repubblica italiana ratificò la cessione il 27 giugno 1946, confermandola l’anno dopo al momento della firma del trattato di pace. Circa 250 famiglie che intendevano rimanere italiane furono costrette all’esilio e abbandonarono in fretta e furia le loro case, in un esodo forzato.

I letterati nizzardi dal Rinascimento a oggi
Che lingua parlavano i nizzardi? Un misto di lingua occitana e di dialetti piemontesi e liguri, ma dal 1561 in avanti, da quando cioè il duca Emanuele Filiberto introdusse l’uso della lingua italiana nei suoi stati, a Nizza si cominciò a parlare e soprattutto a scrivere in italiano.
Nella cittadina di Sospello, nel 1548, il professore di Belle lettere Nicola Imberti pubblica un volume intitolato Dell’arte di scrivere. «I nizzardi, quindi, – chiosa giustamente il Ragazzoni – non scrivevano solo ma si permettevano anche di dare lezioni su come si scrivesse in italiano!».
Nel 1613 Onorato Leotardi, giudice nizzardo, tra un’udienza e l’altra scrive un’opera teatrale dal curioso titolo La Pescatrice errante. Favola marittima stampata dal tipografo Fenza a Torino. Nel 1655 un altro illustre uomo di cultura nizzardo, il gesuita Gian Andrea Alberti, pubblica a Genova L’Empia flagellazione del Santo zelo d’Elia, ma si imbatte nelle grinfie dell’Inquisizione, che mette all’indice il suo libro accusandolo di scarso rispetto verso l’ortodossia cattolica. Monumentale l’opera di Pietro Gioffredo, sacerdote e storico di corte di Carlo Emanuele II di Savoia, autore nel 1690 di una Storia delle Alpi Marittime, in sette volumi, che raccoglie tutte le conoscenze etnologiche sulle popolazioni di Nizza dal II secolo sino alla fine del Seicento.
Il più grande scrittore nizzardo nel Settecento fu Gian Carlo Passeroni, sacerdote e poeta, contemporaneo di Jonathan Swift: come ne I viaggi di Gulliver, infatti, nel suo poema Cicerone (pubblicato fra il 1755 e il 1774), Passeroni «si spinge in lunghissime disgressioni, soprattutto satiriche, ironiche e fustiganti il malcostume settecentesco». Un altro religioso, l’abate Francesco d’Alberti di Villanuova, pubblicò a Lucca nel 1797 con la stamperia Marescandoli nientemeno che un Dizionario Universale Critico-Enciclopedico della Lingua italiana. In quel medesimo periodo, l’abate Carlo Antonio Cacciardi, originario di Breglio, nell’arco di un trentennio divenne assai popolare pubblicando un almanacco di effemeridi intitolato Sibilla celeste: gli oroscopi andavano assai di moda anche nel secolo dei Lumi.
La letteratura nizzarda dell’Ottocento annovera l’affascinante figura di Giuseppe Beghelli, garibaldino e mazziniano, reduce delle campagne del 1866 in Trentino e del 1871 in Francia, giornalista e scrittore di talento, stroncato dalla tisi a soli trent’anni. Due suoi romanzi storici, I diavoli della terra e Murata viva, furono pubblicati postumi.
Al Novecento appartiene Pier Luigi Caire, uomo di legge con la passione per lo scrivere, nativo di Saorgio: nel 1910 pubblica il pamphlet Nizza 1860: ricordi storici documentati, «accorata denuncia delle violenze, dei brogli, degli intrighi, degli inganni messi in opera a Nizza e nella sua Contea per giungere fraudolentemente al risibile risultatio plebiscitario».
Quanto al nizzardo più illustre di tutti, Giuseppe Garibaldi, lo strazio lancinante che provava per la cessione della sua terra d’origine alla Francia affiora in innumerevoli scritti: «Nizza è venduta! Il delitto è consumato!» (Memoria sulla cessione di Nizza, 8 aprile 1860); «I Nizzardi, esuli in patria, sono una protesta vivente contro la violazione del diritto italiano», (Proclama da Caprera all’Associazione di Mutuo Soccorso per gli Emigrati Nizzardi in Torino, 3 marzo 1863); «Negare l’italianità di Nizza, è negare la luce del sole» (Lettera da Caprera a Eugenio Lavagna, 25 novembre 1871). E via dicendo, in un crescendo inarrestabile di indignazione e di sofferenza.
L’ultimo dei grandi autori di lingua italiana del Nizzardo è Giuseppe Bres, vissuto fra il 1842 e il 1924: instancabile nel denunciare la «colonizzazione culturale» francese, nell’opera Considerazioni sul dialetto nizzardo. Suggerimenti sulla sua forma, pubblicato nel 1906, Bres esamina «il carattere specifico e soprattutto non francese di questo parlare, contro il parere interessato di faziosi linguisti francesi che affermano il contrario per motivi politici». Altre opere significative di Bres sono la monografia L’arte nell’estrema Liguria occidentale e il saggio storico Catarina Segurana, entrambi pubblicati nel 1914.

Colpi di spugna su verità storiche scomode
Dopo i Vespri del 1871, le autorità francesi attuano una politica di graduale cancellazione della residuale identità italiana dei nizzardi, spesso con metodi brutali: nel 1895 viene soppresso il periodico Il Pensiero di Nizza, ultimo baluardo dell’italianità nel panorama della stampa nizzarda. Durante la Seconda guerra mondiale, Nizza è occupata militarmente dall’Italia dalla fine del 1942 sino all’8 settembre 1943, ma stranamente Mussolini non ne rivendica il possesso con i tedeschi. In seguito all’annessione, comunque, «ogni insegnamento in lingua italiana fu immediatamente soppresso dal governo francese nelle scuole pubbliche». Sottolinea amaramente Vignoli che, nella tanto celebrata Storia d’Italia edita da Einaudi negli anni Settanta, il capitolo sull’“Italia fuori d’Italia” a cura di Franco Venturi «non dice una parola sulla cultura nizzarda di lingua italiana. Ma forse il Venturi era “politicamente corretto”. Perché rischiare l’accusa di fascista?».

Guglielmo Colombero

(direfarescrivere, anno VII, n. 70, ottobre 2011)
 
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