Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
In primo piano
L’intelligence: strumento fondamentale
per proteggere la sicurezza dello stato
Città del sole e Antonella Colonna Vilasi spiegano i servizi segreti
in un saggio prefato da Stefano Folli. Lo illustra Rosina Madotta
di Stefano Folli
Antonella Colonna Vilasi si cimenta da anni nello studio dell’intelligence, a cui ha dedicato persino una Trilogia (pubblicata con la casa editrice Mursia). Quest’anno, per Città del sole, pubblica il Manuale d’intelligence (pp. 144, € 14,00), in cui tratta gli elementi fondanti, ovvero la storia dell’intelligence e la descrizione dettagliata dei suoi processi di funzionamento, e presenta le nuove sfide che si affacciano sul panorama geopolitico internazionale. Il libro è corredato da tre importanti apparati critici: la Prefazione del noto giornalista Stefano Folli, l’Introduzione dell’ammiraglio Pierre Lacoste (già direttore della Dgse francese) e l’Intervista finale ad Alfredo Mantici (già capo del Dipartimento di analisi del Sisde), esperto di terrorismo. La redazione propone l’autorevole testo a firma di Folli, seguito dalla recensione del saggio che ci propone Rosina Madotta.

La redazione


PREFAZIONE

Poche cose al mondo sono mal comprese come i servizi d’intelligence. E poche cose sono più utili nella vita di una società organizzata. Nell’immaginario collettivo, ossia nella psicologia del cosiddetto uomo della strada, l’attività d’intelligence ha spesso il sapore del mistero: un luogo oscuro dove uomini onnipotenti ed onniscienti decidono le sorti del mondo. O di un paese o di un sistema politico: non c’è che l’imbarazzo della scelta. In alternativa, il giudizio sull’intelligence tende a farsi sprezzante: un inutile orpello, l’eredità superflua di un passato remoto, un pozzo senza fondo che assorbe pubblico denaro e restituisce solo grane. Di qui la necessità di un costante rinnovamento dei vertici, sempre sospettati di aver “deviato” dai loro compiti istituzionali. Ed anche questo è qualcosa d’incomprensibile o inspiegabile agli occhi del cittadino.
L’aspetto singolare è che questi due punti di vista, in apparenza inconciliabili, talvolta convivono nelle stesse persone. Quelli che si dicono convinti della scarsa o nulla utilità sociale dei servizi, sono tra coloro – in molti casi – sempre pronti a denunciare complotti o cospirazioni i cui fili sono tratti nelle stanze del mistero. Ma delle due l’una: o l’intelligence è inutile o è super-potente. Le due cose insieme non vanno. Forse esiste una terza via. Per seguirla cominciamo a dire che è indispensabile curare la sicurezza dello Stato nelle sue varie forme: rinunciarvi espone tutti a pericoli troppo gravi. Pericoli che mutano e minacce che si rinnovano, per cui il terrorismo degli anni duemila ha poco o nulla da spartire con la Guerra fredda degli anni cinquanta. Ma questa è una ragione di più per conoscere l’intelligence e provare a penetrarne l’arcano.
È quello che si propone Antonella Colonna Vilasi in questo libro completo e bene informato. Scrupoloso nel ricostruire la storia e l’essenza dei servizi d’intelligence, attento nel rivolgersi al lettore con un linguaggio piacevole e diretto. Il riferimento alla manualistica nel titolo svela le ambizioni dell’autrice: l’idea di rendere accessibile la realtà dei servizi di sicurezza anche a coloro che non hanno una specifica preparazione tecnica o istituzionale. Del resto, non dovrebbe essere sempre così? Infatti bisogna distinguere. La segretezza in cui opera l’intelligence obbedisce a ragioni intuitive. Non possono esistere servizi, dediti a missioni così delicate, costretti ad operare alla luce del sole. Quando è accaduto, lo abbiamo visto in anni abbastanza recenti, l’efficienza del sistema è rapidamente crollata.
Peraltro la segretezza non può coincidere con l’assenza del controllo di legalità; non può voler dire che l’intelligence opera al di sopra delle leggi senza che nessuno sappia chi sta facendo cosa. Questo è il dilemma che tutti i governi democratici si sono trovati davanti: come conciliare la segretezza con la legalità, come garantirsi che i vertici dei servizi riescano ad essere al tempo stesso capaci sul piano tecnico e leali verso le istituzioni. Ed infine, si deve aggiungere, come ottenere che l’esistenza dei servizi sia percepita dai cittadini come un ausilio alla sicurezza collettiva e non certo come un’insidia.
Nel nostro paese, vissuto per troppi anni nel solco delle ideologie contrapposte, l’intelligence è stata usata come strumento di lotta politica. Inutile ripercorrere i diversi passaggi di una storia recente peraltro nota. Diciamo solo che esistono oggi le premesse per guardare avanti con ottimismo. Purché si riesca a seguire il suggerimento che Colonna Vilasi lascia intuire nelle pagine cruciali del suo lavoro. I servizi devono adeguarsi sempre più in fretta al mondo che cambia. L’intelligence del nuovo secolo – un secolo cominciato, non dimentichiamolo, con l’attentato alle Torri Gemelle – può essere tutto, tranne che un brutto romanzo d’appendice. Nel senso che occorre buttarsi alle spalle il bagaglio retorico di un passato che non esiste più. Il vecchio “spionaggio” aveva molti lati suggestivi, anche quando sembrava nascondere chissà quali ombre, ma certe romanticherie non sono più adeguate ai tempi. Diciamo che non possiamo permettercele.
Tuttavia, attenzione. Colonna Vilasi ci spiega che la tecnologia non è tutto. Anzi, può essere persino controproducente. Quando accade che le macchine elettroniche sono in grado di sapere tutto di tutti, ma la capacità di elaborazione dei dati raccolti è di appena il 6 per cento, tutti capiscono che qualcosa non va. Il tuffo nella tecnica va bene se c’è un uomo a reggere il bandolo della matassa. Un tempo l’intelligence era nelle mani degli uomini: era un fatto di sagacia e di cuore. Oggi sembra un fatto solo meccanico e scientifico. Ma è un’illusione. L’elemento umano è irrinunciabile. E se c’è stata una fase in cui si è creduto di poterne fare a meno, l’autrice dimostra che non è possibile.
Si può partire di qui per capire come dovrà essere l’intelligence nel nuovo secolo, quali intrecci e quali collaborazioni potranno svilupparsi fra i servizi delle nazioni alleate. Dove peraltro si è dimostrato che nessuno oggi può fare tutto da solo, nemmeno gli Stati Uniti. Ed anche questo è un modo per recuperare l’“umanità” dei servizi e gestire al meglio quella fragile “zona grigia” in cui giocano gli interessi nazionali e le esigenze sovranazionali di una sicurezza ormai del tutto “globalizzata”.
Sfatare il mito dell’intelligence è in definitiva opportuno. Soprattutto quando, come in questo caso, si tratta di eliminare tante scorie pseudo-ideologiche e far comprendere al lettore quanto siano importanti le funzioni che un servizio bene organizzato ed efficiente può svolgere a favore della collettività. Fare a meno dell’intelligence non si può, in un mondo in cui persino gli Stati faticano a sopravvivere alle nuove minacce che li incalzano. Quindi la cosa migliore è conoscere i servizi per quello che sono e rappresentano. Quando un paese è solido, fondato su un governo legittimo e su un Parlamento in grado di controllarne l’operato, l’intelligence ritrova tutto il suo fascino. Ed è altrettanto affascinante capire come funziona e a cosa serve.

Stefano Folli

(direfarescrivere, anno VII, n. 69, settembre 2011)


L’intelligence: questa sconosciuta. Quante volte abbiamo sentito questa parola, in particolare all’interno di notizie diramate dai mass media? Ma quanto ne sappiamo veramente dei meccanismi che reggono le basi della difesa economica, militare, politica di uno stato?
È opinione largamente condivisa che i servizi di intelligence siano sinonimo di mistero, di operazioni oscure messe in pratica dai potenti del mondo che, come in un teatro dei burattini, muovono i fili per manipolare le sorti del pianeta. Essi richiamano alla memoria periodi politicamente bui della recente storia italiana, durante i quali la raccolta di informazioni e ciò che viene comunemente chiamato “spionaggio” erano utilizzati a fini politici. Eppure, in una società aperta e globalizzata come quella odierna, si ritiene siano indispensabili per essere al sicuro e prevenire qualsiasi minaccia. La sicurezza dello stato è, dunque, fondamentale soprattutto negli anni Duemila, quando le nuove forme di terrorismo espongono il mondo a rischi e pericoli sempre diversi.
Dietro il lavoro dei servizi di intelligence si cela un universo complesso, un volume indefinito di informazioni da raccogliere, analizzare e selezionare. C’è questo e molto altro ancora.
Antonella Colonna Vilasi – autrice specializzata nell’argomento e prima ad avere scritto una trilogia sul tema – nel suo ultimo libro Manuale d’intelligence si propone di rendere più comprensibile questa tematica, soprattutto a chi vi si addentra per la prima volta o non possiede conoscenze specifiche, partendo dalla definizione e dalle origini storiche fino ad analizzare gli obiettivi e gli orizzonti futuri dei servizi di sicurezza. Il testo è organizzato in due capitoli principali, è corredato dalla Prefazione di Stefano Folli e dall’Introduzione di Pierre Lacoste e completato da un’intervista ad Alfredo Mantici.

Servizi segreti e sicurezza dello stato
L’autrice, come sottolinea Stefano Folli, si propone l’obiettivo di demolire il mito dell’intelligence come attività oscura, «eliminare tante scorie pseudoideologiche e far comprendere al lettore quanto siano importanti le funzioni che un servizio bene organizzato ed efficiente può svolgere a favore della collettività. Fare a meno dell’intelligence non si può, in un mondo in cui persino gli Stati faticano a sopravvivere alle nuove minacce che li incalzano. Quindi la cosa migliore è conoscere i servizi per quello che sono e rappresentano. Quando un paese è solido, fondato su un governo legittimo e su un Parlamento in grado di controllarne l’operato, l’intelligence ritrova tutto il suo fascino. Ed è altrettanto affascinante capire come funziona e a cosa serve».
Già all’inizio del primo capitolo, Antonella Colonna Vilasi si sofferma sulla definizione, non sempre scontata, del termine inglese intelligence che, tradotto letteralmente in italiano, significa “intelligenza” nell’accezione di raccolta di informazioni utili, oppure “spionaggio”, espressione che però induce a pensare a una natura illegale o immorale dei servizi segreti, oltre che a imprese in stile James Bond. La traduzione del termine inglese non è, quindi, la migliore possibile, in quanto pone l’accento soprattutto sugli aspetti negativi delle attività di sicurezza. Come esplicita l’autrice, «volendo fornire una spiegazione che sia la più oggettiva possibile del termine intelligence, potremmo definirla come “l’insieme delle attività finalizzate all’acquisizione d’informazioni rilevanti per la sicurezza dello Stato”, sia che la si voglia intendere come una branca dell’attività governativa, sia che la si intenda semplicemente come uno specifico campo di studio accademico che si occupa di rapporti internazionali, di politica estera e di sicurezza nazionale». Tuttavia, considerando l’aura di mistero e complotto che ruota da sempre intorno a questa tematica, è facile comprendere quanto essa sia poco conosciuta dai cittadini, vista anche la distanza abissale che spesso separa costoro dalle istituzioni: se da un lato manca la comunicazione istituzionale da parte degli organismi dei servizi segreti, dall’altro è scarso o totalmente assente l’interesse dell’opinione pubblica verso i temi della sicurezza nazionale.
In un mondo come quello odierno, globalizzato, multietnico e in continua evoluzione, gli stati si trovano ad affrontare sempre nuove minacce: alla sicurezza del territorio, alla stabilità delle istituzioni, agli interessi nazionali. E anche il modo di perseguire la sicurezza è cambiato. I meccanismi che regolano le azioni di intelligence sono paragonabili a quelli di qualsiasi altra scienza: viene privilegiato il metodo scientifico al fine di prevedere gli scenari futuri tramite lo studio minuzioso del materiale raccolto e dell’ambiente circostante. «L’analisi d’intelligence inizia con i dati, ma è finalizzata a formulare previsioni. L’intelligence, insomma, è funzionale all’attività di previsione che, a sua volta, è preliminare all’attività di pianificazione. Anzi, si può sostenere che non si ha intelligence senza previsione, e previsione senza intelligence». Le tre fasi in cui si articolano le attività di intelligence sono così definite: fase della descrizione, fase della spiegazione e fase della previsione.

Le nuove frontiere dell’intelligence
Dopo il 1989, con la caduta del muro di Berlino, il panorama economico, politico, sociale e culturale mondiale, è completamente mutato con un conseguente rimodellamento delle attività di intelligence. Il bipolarismo, che vedeva la contrapposizione delle due super potenze Urss e Usa, ha lasciato spazio al multipolarismo con l’avanzata sulla scena di nuovi stati che fino ad allora avevano orbitato intorno all’uno o all’altro dei due protagonisti. A ciò si sono aggiunte nuove tensioni etniche e razziali che hanno alimentato ideologie terroristiche e di odio verso l’Occidente, sfociate nell’attacco alle Torri Gemelle di New York. «Gli avvenimenti che hanno segnato gli anni tra il 1989 ed il 1991 – spiega l’autrice – hanno modificato il precedente scenario di riferimento internazionale: le situazioni tipiche di un sistema bipolare, gli interessi nazionali, le minacce e i fattori di rischio interagenti sulla sicurezza dello Stato sono crollati per subire una completa metamorfosi in riferimento ai nuovi rapporti del multipolarismo. Conseguentemente le attività d’intelligence hanno dovuto adeguarsi ed adattarsi».
Colonna Vilasi riporta in modo molto dettagliato, nel secondo capitolo, i risultati dello studio Global Trends 2015, divulgato dall’organismo americano National Intelligence Council nel gennaio del 2001. Secondo questo studio, i fattori chiave che caratterizzeranno lo scenario mondiale del 2015 e che saranno oggetto dell’attenzione delle operazioni dei servizi di sicurezza, sono: la demografia, le risorse naturali e l’ambiente, l’economia e la globalizzazione, la scienza e la tecnologia, la gestione di governo nazionale e internazionale, e infine le tendenze nei conflitti futuri. Ma l’autrice specifica anche che «purtroppo l’onniscienza e la chiaroveggenza sono doti che non possiamo richiedere ai governanti. Né possiamo auspicare una conoscenza ed un controllo dei cittadini delle odierne nazioni democratiche, ricalcato sul “grande fratello” di orwelliana memoria. Possiamo però avvalerci di un ottimo strumento in nostro possesso, l’intelligence, l’unico in grado di delineare le linee guida del mondo che verrà, sebbene con possibilità di chiaroveggenza decisamente più limitate, e probabilmente fallibili».
Nella nostra epoca, caratterizzata dalla rivoluzione digitale, gli organismi di intelligence devono dunque essere in grado di affrontare nuove sfide incentrate soprattutto sulle questioni dello sviluppo, della gestione delle informazioni e della conoscenza, dimostrandosi ogni volta capaci di selezionare i dati più utili all’obiettivo del momento nell’enorme quantità di informazioni in loro possesso.

Rosina Madotta

(direfarescrivere, anno VII, n. 69, settembre 2011)
 
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