Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
In primo piano
Il bilancio politico di Antonio Bassolino:
i grandi consensi sommersi dai rifiuti
In un’intensa autobiografia, edita da Guida, emergono i meriti
da sindaco. Ma anche i demeriti da governatore. E tanto altro…
di Giuseppe Licandro
L’11 giugno 1984 si spense a Padova il segretario del Partito comunista italiano, Enrico Berlinguer, leader d’indiscusse qualità politiche ed etiche, la cui morte lasciò un vuoto incolmabile, avviando il processo di disgregazione del Pci.
L’eredità di Berlinguer fu temporaneamente raccolta da un gruppo piuttosto eterogeneo di dirigenti, divisi sulle scelte politiche da intraprendere, con una divaricazione tra chi, come Massimo D’Alema, Giorgio Napolitano e Achille Occhetto, esigeva un profondo rinnovamento e chi, come Armando Cossutta, Sergio Garavini e Pietro Ingrao, si appellava ancora alla tradizione comunista, pur nella versione riformatrice e antistalinista rappresentata da Michail Gorbačëv.

La prima fase della carriera di Bassolino
Fu in quel periodo che si affermò tra i dirigenti comunisti Antonio Bassolino, il quale ha recentemente pubblicato il libro Napoli Italia (Guida, pp. 184, € 12,00), in cui ha tracciato il bilancio dei diciassette anni trascorsi ad amministrare prima il Comune di Napoli, poi la Regione Campania.
Negli anni Settanta, Bassolino, divenuto membro del comitato centrale del Pci e segretario regionale della Campania, si schierò con la corrente di sinistra del partito, guidata da Ingrao, sensibile alle istanze degli operai e del movimento studentesco.
In seguito, Bassolino modificò la sua collocazione all’interno del Pci, avvicinandosi alle istanze dei “miglioristi”, favorevoli al dialogo con la Dc e il Psi, fino all’elezione in parlamento nel 1987.
All’ultimo congresso comunista, tenutosi a Rimini nel febbraio del 1991, egli presentò una mozione intermedia tra quella di maggioranza (favorevole allo scioglimento del Pci), e quella di opposizione (contraria allo scioglimento), ottenendo il 5,7 per cento dei consensi tra i delegati.
Bassolino ha poi aderito al Partito democratico della sinistra e ha occupato fin dall’inizio incarichi importanti, tra cui quello di membro della commissione parlamentare per il commercio e il turismo, ottenendo in seguito la nomina a commissario della Federazione provinciale di Napoli, subito dopo la serie di scandali che ne hanno decimato le fila agli inizi degli anni Novanta.

La ricostruzione del Pds partenopeo
Bassolino, in Napoli Italia, rievoca le proprie esperienze politiche a partire dall’aprile 1993, quando prende in mano la direzione del Pds partenopeo. Per rilanciare il partito, decide di aprirlo alla società civile, inserendo nel comitato provinciale federale «figure significative del mondo della scuola e dell’Università», ma anche recuperando l’impegno di tanti militanti delusi.
In agosto, la giunta pentapartitica (Dc, Pli, Pri, Psdi, Psi) che amministra Napoli va in crisi, dichiarando il dissesto finanziario, e il consiglio comunale si scioglie: le elezioni sono fissate per il 21 novembre, in concomitanza con quelle di altre città.
Da poco tempo è entrato in vigore il nuovo sistema di votazione che prevede l’elezione diretta del sindaco. Ciò obbliga i partiti a creare ampie coalizioni per affrontare con maggiori probabilità di successo il giudizio degli elettori: il Pds napoletano si allea con il Partito della rifondazione comunista, la Rete e la Federazione dei verdi, anticipando quello che sarà lo schieramento della sinistra progressista alle successive elezioni politiche del 1994.
Bassolino viene designato quale candidato della coalizione e s’impegna a fondo nella campagna elettorale, non limitandosi soltanto a intervenire nei dibattiti televisivi, ma spostandosi nei quartieri cittadini per contattare la gente, sentirne gli umori, ascoltarne i suggerimenti e le critiche.
Nasce così l’idea di una sorta di New deal partenopeo, da realizzare nei primi cento giorni di governo, per ristrutturare palestre, parchi, piscine e scuole in stato di abbandono, rilanciare il trasporto pubblico e, soprattutto, «restituire ai cittadini le piazze del centro storico ricche di monumenti, di chiese, di palazzi di grande rilievo». La vittoria è ampia (55,6 per cento dei voti), anche se ottenuta dopo il ballottaggio con la candidata della destra, Alessandra Mussolini.

Le riforme della giunta Bassolino
Durante il suo primo mandato, Bassolino opera alcune scelte intelligenti che, nell’arco di sei mesi, permettono a Napoli di rinascere come città a vocazione culturale e turistica.
La nuova giunta dà vita, al suo interno, a una specie di brain-trust (composto da un architetto, un avvocato, due dottori e quattro professori), ma nello stesso tempo riesce a spronare al lavoro centinaia di impiegati comunali demotivati dall’andazzo delle pregresse amministrazioni.
I risultati non tardano a venire e si portano a compimento innumerevoli opere pubbliche, ferme da anni: il grande parco di Taverna del Ferro, a San Giovanni a Teduccio (intitolato a Massimo Troisi); le biblioteche di Secondigliano e Piscinola; i giardini di Avvocata, Piscinola, San Carlo all’Arena e Secondigliano; i centri culturali di Paterno e Secondigliano; il complesso scolastico di Avvocata; il palazzetto dello sport di Ponticelli.
Vengono chiuse al traffico alcune zone cittadine d’interesse artistico, si ripuliscono le fognature e si disinfestano i quartieri più sporchi, si attua il decentramento dei servizi anagrafici, della Polizia municipale e della Nettezza urbana, viene avviato il progetto “Napoli città d’arte e di cultura”, si aprono al pubblico le chiese e i monumenti della zona del Decumano Maggiore.
Nel maggio del 1994 l’iniziativa “Napoli porte aperte” fa affluire nel centro storico partenopeo oltre quattrocentomila visitatori, che vengono condotti in giro da gruppi di studenti universitari, mentre nel luglio dello stesso anno proprio nel capoluogo campano si svolge il G7, il vertice tra i Paesi più industrializzati.
Le opere preventivate per il G7 vengono realizzate in tempi brevi «con procedure rapide e limpide» e consegnate entro la scadenza stabilita, con un budget di 55 miliardi di lire speso correttamente, senza opere faraoniche, bensì «restauri e riqualificazioni, arredo urbano e di qualità, spazi di vivibilità».

I primi problemi giudiziari
Per ricavare i fondi necessari alle opere pubbliche e risanare il bilancio comunale, la giunta Bassolino, oltre ai finanziamenti statali, attinge agli introiti che derivano dalla privatizzazione di alcuni servizi comunali (l’aeroporto di Capodichino, la centrale del latte comunale, la gestione dei rifiuti urbani), ma soprattutto concepisce una rischiosa operazione finanziaria: l’emissione di Boc, Buoni ordinari del comune, venduti soprattutto nel mercato statunitense, che fruttano circa 300 miliardi di lire.
Il ricorso a questo tipo di “finanza creativa”, tuttavia, produce un problema non trascurabile di indebitamento che si protrae nel tempo, obbligando l’amministrazione comunale a rinegoziare periodicamente il debito e a dilazionare pericolosamente il momento del pagamento, con l’incognita di una possibile bancarotta futura.
Del resto, i guai giudiziari, a partire dal 1994, non mancano. Come ricorda lo stesso autore, infatti, «la prima inchiesta [...] riguarda l’indennità di incarico per Sindaco e Giunta». Pochi mesi dopo «scatta l’indagine sull’uso dei cellulari», con l’accusa di peculato; segue, poi, l’«omissione di atti d’ufficio per una presunta truffa di 2.000 [...] miliardi di lire» in riferimento alla cattiva gestione dell’azienda municipalizzata dei trasporti. Ci sono, infine, altre quattro inchieste giudiziarie: «la concessione dello Stadio San Paolo al Napoli [...] l’indagine penale sui Boc e quella sulla privatizzazione dell’aeroporto di Capodichino [...] l’inchiesta sulla rottamazione delle auto».
Bassolino e i suoi assessori, comunque, vengono sempre prosciolti dalle accuse e continuano ad amministrare fino alla scadenza del mandato, portando a compimento altre opere di pubblica utilità come la costruzione di tre parcheggi, il completamento della metropolitana, gli appalti della Nettezza urbana, il piano urbanistico cittadino, la ristrutturazione dell’area dell’ex Ilva di Bagnoli.

La nomina a ministro del Lavoro
Bassolino ha modo di amministrare Napoli ancora fino al 2000, poiché viene rieletto trionfalmente nel 1997, al primo turno, col 72,9 per cento dei voti.
Siamo in una fase storica decisamente favorevole al centrosinistra, che ha vinto, sotto la guida di Romano Prodi, le elezioni politiche del 1996, grazie a L’Ulivo, la coalizione partitica che riesce nel difficile compito di risanare i conti pubblici, rispettare i parametri previsti dal Trattato di Maastricht e, quindi, far rientrare l’Italia tra i paesi dell’area dell’euro.
Il primo governo Prodi, però, entra dopo due anni in ambasce, lacerato dal conflitto tra la sua componente più moderata (Pds, Ppi) e quella più radicale (Prc, Verdi).
La ragione principale della crisi che nel 1998 porta alla sua caduta va ricercata, a parere di Bassolino, nella «mancanza di respiro politico», in quanto non si riesce a far diventare L’Ulivo «un vero soggetto politico», cioè «un partito capace di andare oltre e al di là di Ds e Margherita», né si riesce a cambiare marcia nella gestione del Sud, proponendo «investimenti veri e non sussidi, più mercato e più stato sociale».
L’uscita dalla maggioranza del Prc – da cui si scinde il Partito dei comunisti italiani, che rimane ne L’Ulivo – determina l’avvento, nell’ottobre del 1998, del governo D’Alema, con una nuova coalizione di centrosinistra allargata all’Unione democratica per la Repubblica di Francesco Cossiga e Clemente Mastella.
Bassolino, nonostante qualche dubbio iniziale, entra a far parte del governo, diventando ministro del Lavoro, anche se a tempo determinato, come egli stesso chiarisce nel libro: «Decido di darmi un tempo attorno ai 6 mesi e poi valutare».
Il ministro onora da subito il nuovo incarico e firma in dicembre con i sindacati il Patto per lo sviluppo e l’occupazione, ma l’attività ministeriale finisce col sovrapporsi a quella di sindaco, obbligandolo a un continuo viavai tra Napoli e Roma, che suscita vivaci critiche nel capoluogo campano.
Dopo l’omicidio, da parte delle Brigate rosse, di Massimo D’Antona, suo principale collaboratore, egli decide di rinunciare all’incarico governativo, non prima però di aver mediato positivamente tra sindacati e imprenditori per il rinnovo del contratto di lavoro degli operai metalmeccanici.

La conquista della Regione
Bassolino fa il sindaco ancora per un anno, poi la sua carriera politica subisce un’accelerazione, perché ottiene la candidatura a governatore della Campania nelle elezioni regionali del 2000.
D’Alema e Berlusconi hanno attribuito a queste elezioni amministrative una notevole rilevanza politica ed è per tale ragione che il Pds fa scendere in campo alcuni tra i suoi maggiori rappresentanti. L’esito del voto, però, è infausto per il governo: il centrodestra prevale in nove regioni su sedici, grazie anche all’accordo tra Forza Italia e la Lega Nord, che nel 1994 aveva abbandonato Berlusconi, provocandone il momentaneo tracollo politico.
D’Alema si dimette e si forma un nuovo esecutivo di centrosinistra, guidato da Giuliano Amato, che traghetta il paese verso le elezioni politiche del 2001, nelle quali prevale nuovamente il centrodestra, anche a causa della frammentazione degli avversari (divisi tra Democrazia europea, Italia dei valori, L’Ulivo e Prc).
Bassolino, comunque, conquista nel 2000 la Campania con un buon risultato elettorale, ottenendo il 54,3 per cento di voti. La nuova giunta riesce a cambiare registro nella gestione della Regione: «Per la prima volta vengono fatti i concorsi, pubblici e trasparenti, per funzionari e dirigenti».
Bassolino, inoltre, cerca di spendere bene i soldi previsti dal Fondo sociale europeo, che vengono investiti in vari settori strategici della società campana (agricoltura, ricerca, trasporti). Secondo Bassolino, infatti, «le ingenti risorse che riversiamo nell’economia regionale svolgono un’importante funzione anticiclica».
Qualcosa, tuttavia, continua a non andare per il verso giusto: ad esempio, lo smaltimento dell’immondizia, che versa in condizioni penose, nonostante nel 2000 Bassolino venga nominato commissario straordinario ai rifiuti (carica da lui ricoperta fino al 2004).

«Il mio errore più grande»
Nel 2005, grazie al rinnovato impegno politico di Prodi, si costituisce la Federazione dell’Ulivo, che successivamente forma L’Unione. Le elezioni regionali che si svolgono in quell’anno si risolvono in una débâcle per il governo di centrodestra e in un trionfo per l’opposizione: finisce 12 a 2 per L’Unione!
La schiacciante vittoria, tuttavia, illude i dirigenti ulivisti che il berlusconismo sia agli sgoccioli: ciò li induce a pensare che «non c’è più bisogno di essere o almeno apparire uniti» e che, perciò, «la competizione all’interno del centrosinistra si riapre».
Bassolino è incerto se ricandidarsi o no come presidente della Regione Campania, perché è convinto che «esistono le condizioni per un ricambio di classi dirigenti» e anche perché vorrebbe «tornare a fare politica», ma dopo un colloquio con Prodi capisce che è l’unico in grado di gestire la composita e problematica realtà campana, nella quale operano leader nazionali del calibro di Ciriaco De Mita (La Margherita) e Alfonso Pecoraro Scanio (Federazione dei verdi), oltre al già citato Mastella.
Bassolino viene rieletto con una squillante vittoria, conquistando il 62 per cento dei consensi. Ciò nonostante, egli in Napoli Italia sostiene che «la scelta di ricandidarmi alla Regione è il mio errore più grande», confessando le difficoltà insorte nella formazione della nuova giunta, che, in seguito, peseranno sulla sua amministrazione: Mastella, dopo essersi accordato con il segretario dei Ds Piero Fassino, gli impone l’assegnazione all’Unione democratici per l’Europa di due assessorati e della presidenza del consiglio regionale (conferita ad Alessandra Lonardo, moglie del leader dell’Udeur).

La riscossa ulivista...
La Margherita cambia nel 2005 la propria linea politica, proponendosi come forza centrista in grado di intercettare i voti dell’elettorato di destra: infatti, uno dei suoi principali dirigenti nazionali, Francesco Rutelli, «si dice pronto a raccogliere forze e singoli parlamentari che decidono di abbandonare Berlusconi».
In tal modo L’Unione diviene – secondo Bassolino – «il centrosinistra con il più classico dei trattini», cioè un “centro-sinistra” sbilanciato su posizioni moderate e disponibile a operazioni politiche di tipo trasformistico, mentre sarebbe preferibile «consolidare la scelta bipolare e mitigare il conflitto tra centro e sinistra in nome di un progetto unitario da rilanciare con forza».
Nonostante il 16 ottobre 2005 Prodi vinca le primarie per la scelta del candidato premier con una larga maggioranza di voti (74,1 per cento dei consensi su quattro milioni e trecentomila votanti), L’Unione non decolla sul piano politico. Anzi, finisce per subire una serie di contraccolpi negativi, allorquando scoppia lo “scandalo Unipol” (nel quale vengono implicati D’Alema e Fassino) e viene approvata dal parlamento la nuova legge elettorale, che, introducendo il sistema proporzionale con premio di maggioranza e liste bloccate, la mette in difficoltà.
Alle elezioni politiche del 2006 i Ds e La Margherita presentano una lista unica alla Camera (L’Ulivo), ma non al Senato, dove, concorrendo con due simboli distinti, prendono meno voti: questo errore impedisce a Prodi, pur vincendo le consultazioni, di ottenere un’ampia maggioranza in entrambi i rami del parlamento.
La vittoria del centrosinistra alla Camera si concretizza in Campania, a notte fonda, con appena ventiquattromila voti di vantaggio: proprio Bassolino telefona a Prodi, comunicandogli «che può andare sul palco dei SS. Apostoli e annunciare il risultato».
Appare da subito evidente la fragilità del secondo governo Prodi, che si regge grazie ai voti dei senatori a vita: per accontentare le composite anime della coalizione (formata da ben quindici partiti!) «si spacchettano ministeri per aumentarne il numero e soddisfare le pretese di ogni singola forza». Il numero dei membri dell’esecutivo è straordinario: «18 ministri con portafoglio, 8 senza portafoglio, 10 viceministri e 66 sottosegretari. Un premier e due vicepremier». Centocinque persone in tutto!

...e il trionfo del centrodestra
Il governo Prodi sopravvive appena venti mesi: il 24 gennaio 2008 viene sfiduciato al Senato, grazie ai voti determinanti dei Liberaldemocratici, di Sinistra critica, dell’Udeur e di Domenico Fisichella, indipendente eletto nelle fila de La Margherita. Alle elezioni politiche che si tengono a maggio, il centrodestra trionfa, conquistando una netta maggioranza parlamentare, mentre il centrosinistra, spaccato in quattro tronconi (Partito democratico e Italia dei valori, La Sinistra – L’Arcobaleno, Partito socialista, Partito comunista dei lavoratori), viene sonoramente sconfitto.
Inizia una nuova fase politica, segnata dal prevalere di due partiti (il Popolo delle libertà e il Pd), che però sono scossi al loro interno da dissidi e fronde, di cui paga le conseguenze, innanzi tutto, il segretario del Pd, Walter Veltroni, costretto a dimettersi dopo la sconfitta del suo partito alle elezioni regionali sarde del 2009.
Anche il Pdl, tuttavia, subisce una grave scissione nel 2010, quando Gianfranco Fini lo abbandona per fondare un nuovo raggruppamento politico di centrodestra, Futuro e libertà per l’Italia, che esce dalla maggioranza, creandole grosse difficoltà.
Bassolino, coinvolto in una serie di indagini giudiziarie, è intanto giunto alla fine della sua parabola politica. Nel settembre del 2009 dichiara in conferenza-stampa che «è giusto aprire una fase nuova di rinnovamento politico e, se possibile, anche generazionale», annunciando l’intenzione di ritirarsi dalla politica attiva.

L’emergenza dei rifiuti
In quel periodo riesplode a Napoli l’annoso problema dello smaltimento della spazzatura. La ragione di fondo, secondo l’autore, va ricercata nel lontano passato, ovvero nell’uso distorto delle discariche, «grandi fossi nei quali per decenni è stato sversato di tutto [...] non solo i rifiuti urbani, ma anche i rifiuti industriali non trattati e quelli tossici di ogni tipo [...] i rifiuti campani e quelli provenienti dal Nord».
Nella duplice veste di presidente della Regione e di commissario straordinario, Bassolino cerca di attuare il Piano regionale per lo smaltimento dei rifiuti approvato nel 1997, che prevede «la costruzione di 2 termovalorizzatori, 7 impianti di Cdr (combustibile derivante da rifiuto) e la raccolta differenziata al 37%», il cui appalto è stato vinto dalla Fibe, un’azienda del gruppo Impregilo, di proprietà della Fiat.
I suoi sforzi, però, vengono vanificati dalla convergenza in consiglio regionale tra l’opposizione del centrodestra e l’ala radicale del centrosinistra, la quale «avversa i termovalorizzatori, gli impianti di Cdr, la filosofia ‘privatistica’ del Piano e indica come unica alternativa il ricorso integrale alla raccolta differenziata».
Nei tre anni e otto mesi durante i quali ricopre l’incarico di commissario straordinario, Bassolino porta al 13 per cento la raccolta differenziata, riesce a far costruire gli impianti per il Cdr (in cui si producono le famose “ecoballe”), ma non i termovalorizzatori per l’incenerimento dei rifiuti, a causa delle proteste dei cittadini. La situazione si aggrava, soprattutto dopo che nel 2007 la magistratura dispone il blocco dei beni dell’Impregilo, tra cui il costruendo termovalorizzatore di Acerra.
A questo punto Bassolino tenta di riaprire la discarica di Pianura, dentro il comune partenopeo, ma si scatena una rivolta che degenera in «una spirale di violenza gestita da gruppi di ultras del Napoli e da gruppi camorristi». I rifiuti, infine, vengono spediti in Germania, dove si provvede a smaltirli a pagamento.
La situazione si normalizza nel 2008 grazie all’impegno del sindaco partenopeo, Rosa Russo Iervolino, e del commissario straordinario ai rifiuti, Guido Bertolaso, che riescono a individuare nuove discariche.
L’emergenza, però, non viene completamente superata: nel 2010 le montagne di rifiuti ritornano per le strade di Napoli e, con esse, il malcontento popolare.

Le ultime vicende giudiziarie
Ricordiamo, in conclusione, le ultime inchieste giudiziarie nelle quali risulta indagato Bassolino (di cui, in verità, nel libro si fa solo un breve cenno).
Nel luglio 2007 l’ex governatore campano è stato rinviato a giudizio – insieme a 28 imputati, tra cui Paolo e Piergiorgio Romiti, dirigenti dell’Impregilo – per truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato, frode in pubbliche forniture, falso e abuso d’ufficio; nell’ottobre 2009 è stato indagato, insieme al prefetto di Napoli Alessandro Pansa, per presunte irregolarità nell’affidamento di lavori di bonifica di siti e falde inquinate nella zona dei Campi Flegrei; nel febbraio 2008 è stato rinviato a giudizio per frode in pubbliche forniture, truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, falso e reati ambientali; nel marzo del 2010 è finito sotto processo con l’accusa di peculato.
Nel dicembre del 2007, inoltre, egli è stato riconosciuto colpevole dalla Corte dei conti campana per aver arbitrariamente istituito, in qualità di commissario straordinario ai rifiuti, un call center informativo che avrebbe sprecato ingenti quantità di denaro pubblico, ed è stato condannato al pagamento di tre milioni e duecentomila euro di multa. È doveroso sottolineare che si tratta di accuse ancora da dimostrare in sede di dibattimento e che, riguardo alla sentenza della Corte dei conti, Bassolino ha presentato ricorso in appello.
La sua figura, tuttavia, è uscita fortemente offuscata dagli scandali, anche perché l’emergenza dei rifiuti – oltre all’inquietante presenza della criminalità organizzata – ha fatto affiorare un ginepraio di affari poco chiari.
Ricordiamo, inoltre, l’assurda vicenda delle “ecoballe”, cioè dei circa otto milioni di tonnellate di Cdr (rifiuti “ecologici”), che dimorano in temporanei siti di stoccaggio e non possono essere smaltiti, perché... contengono sostanze altamente tossiche!
Ci risulta che la spazzatura campana continui a essere inviata periodicamente in Germania, dove subisce un idoneo trattamento in impianti meccanico-biologici, separandone le parti solide (poi riutilizzabili come materie prime) da quelle organiche, che sono smaltite negli inceneritori o adoperate per produrre il compost.
È un’operazione relativamente semplice, che potrebbe realizzarsi anche in Italia, senza ulteriori aggravi di spesa per trasportare all’estero l’immondizia.
Sembra di assistere a un film tragicomico, ma purtroppo si tratta dell’ennesimo inghippo della rocambolesca storia della Seconda Repubblica italiana...

Giuseppe Licandro

(direfarescrivere, anno VII, n. 64, aprile 2011)
 
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