Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
In primo piano
Giustizia sociale e sviluppo sostenibile:
la scelta dei consumatori responsabili
Da Prospettiva editrice un approfondito studio sociologico
sulla nascita e la diffusione del commercio equo e solidale
di Mariacristiana Guglielmelli
Bere una tazzina di caffè per molti è un’abitudine, sia come piacere individuale che come rituale collettivo. Ma ci siamo mai fermati a pensare cosa c’è dietro ogni sorso della nera bevanda? Il caffè è tra le materie prime di natura alimentare con una maggiore oscillazione di prezzo sul mercato globale, quindi esposto ad una massiccia speculazione tra produttori e distributori. Un braccio di ferro che contrappone categorie di persone, condizioni economiche e sociali, possibilità di accesso al mercato, potere, fino a coinvolgere intere nazioni del sud e nord del mondo. Forse non è un caso che proprio il caffè, insieme al tè, allo zucchero, al cioccolato, risulti tra i prodotti più venduti nei circuiti del commercio equo e solidale.

Stile di consumo come stile di vita
«La sociologia dei consumi ha esordi recenti in Italia: nasce e si sviluppa con la pubblicazione dei risultati di due ricerche condotte da Francesco Alberoni (1958; 1960)». Da qui parte Il commercio equo e solidale. Riflessioni minime di sociologia dei consumi (Prospettiva editrice, pp. 176, € 12,00) per analizzare le concatenazioni di eventi storici, economici, sociali che possano spiegare la nascita e lo sviluppo del movimento del Cees, appunto commercio equo e solidale. Gli autori, i sociologi Salvatore Polito e Gaetano Davide Iannello, studiosi dell’Università “La Sapienza” di Roma, presentano, in questo libro, un’accurata analisi sul movimento del commercio equo e solidale, riprendendo e citando le teorie e le ricerche di numerosi altri autori.
Dal boom economico degli anni ’60 ai più recenti processi di globalizzazione, la vita quotidiana viene scandita dalle scelte e dalle pratiche di consumo. Gli oggetti non sono più solo prodotti di prima necessità, ma rappresentano un vero e proprio stile di vita, si innestano in un più complesso sistema di riconoscimento e appartenenza sociale. Nel corso degli anni ciò ha comportato una graduale diversificazione dei consumi stessi e quindi una maggiore attenzione agli acquisti da parte dei consumatori.
Tale parabola viene delineata già nella premessa dal sociologo Paolo Contini attraverso un preciso excursus storico: gli anni ’60 infatti sono caratterizzati da un “consumo delle novità” a cui si contrappone il “consumo della distinzione” nel decennio successivo; gli anni ’80 lasciano il passo ad un “consumo individualista”, che sfocia negli anni ’90 in una domanda sempre più crescente di etica sociale. Un passaggio dall’esigenza di riconoscimento collettivo ad una più accurata ricerca di individualità, dunque, in cui si inseriscono scelte di vita e di consumo alternativi al mercato tradizionale.
L’attribuzione di valenza economica a tematiche quali la salvaguardia ambientale, lo sfruttamento del lavoro minorile o il superamento delle condizioni di povertà porta alla nascita e allo sviluppo di nuove forme di mercato che si contrappongono, o si pongono in alternativa, ai tradizionali flussi finanziari internazionali. Si inizia a parlare di consumo critico, finanza etica, commercio equo e solidale: un nuovo approccio al mercato, una nuova modalità attraverso cui la società si rappresenta. Un intero paragrafo del testo viene dedicato alle proposte alternative di economia, presentando il consumo critico, la finanza etica e il turismo responsabile come ambiti di azione in cui si ritrovano gli stessi valori presenti nel commercio equo e solidale.

È possibile un consumo giusto ed efficiente?
Questa opera rappresenta non certo un manuale di primo approccio al commercio equo, ma uno studio più indirizzato a chi vuole approfondire l’argomento. Il linguaggio è lineare e l’esposizione segue generalmente un ordine ben preciso. Talvolta gli autori anticipano un concetto per poi riprenderlo e approfondirlo nelle pagine successive, impegnando il lettore in una “ripresa del testo”.
Ben articolata la disposizione dei capitoli che accompagnano il lettore lungo un percorso discendente dal generale al particolare: partendo dall’analisi dei consumi si approda alla nascita del movimento del commercio equo e solidale, alla sua diffusione in Europa e in Italia, concludendo con una ricerca sul suo sviluppo nella città di Roma.
Difficile rintracciare una data precisa della nascita di questa forma alternativa di commercio. Comunemente si fa risalire al finire degli anni ’60 la comparsa dei primi esercizi commerciali in Olanda, per lo più sulla scia di istituzioni religiose e missionarie che dai paesi del sud del mondo importavano alcuni prodotti. Il peso planetario che ad oggi riveste il movimento deve però la sua maggiore forma di visibilità alle proteste verificatesi a Seattle durante la riunione del G7 nel dicembre 1999. In quella sede si erano palesate forti divergenze a livello politico tra i rappresentanti dei paesi più sviluppati e quelli meno sviluppati. I manifestanti dal canto loro contestavano le inefficienze del sistema di economia liberale imposto dai paesi occidentali e proponevano un nuovo modello di sviluppo, che coinvolgesse attivamente le popolazioni schiacciate dalle regole dominanti di mercato. Il commercio equo e solidale infatti si propone come «una forma economica di cooperazione allo sviluppo sostenibile che realizza delle relazioni commerciali paritarie con alcuni produttori di beni dei paesi del sud del mondo o paesi in via di sviluppo». Un approccio che riversa le proprie attenzioni sui produttori ubicati in tali paesi, garantendo condizioni di vita più dignitose, sostegno ai lavoratori, cura delle relazioni economiche, incentivi alla formazione scolastica e professionale, salvaguardia dei territori.
Pur mantenendo fede ai propri principi ispiratori, nel corso degli anni questa pratica di acquisto e di consumo si è evoluta e si è reso necessario adottare forme di regolamentazione e di riconoscimento. Il testo, a questo proposito, riporta in Appendice la Carta europea dei criteri (Fair Trade Criteria) promulgata nel 1998, la Carta italiana del commercio equo e solidale, approvata nel 1999, e la Carta d’identità delle botteghe.

L’esempio di un’esperienza
La particolarità rilevata in Italia, rispetto all’ideologia legata al commercio equo e solidale internazionale, viene analizzata dagli autori esponendo in concreto la situazione riscontrabile nella città di Roma. Partendo infatti da una ricerca effettuata negli esercizi commerciali (le “botteghe del mondo”) e intervistando sia i clienti sia gli addetti ai lavori, emergono le caratteristiche peculiari del movimento che accomunano le città della nostra penisola. Tratto distintivo appare essere proprio la modalità distributiva dei prodotti e delle informazioni corrispondenti, legata alla maggiore o minore capillarità ed incisività delle stesse botteghe. I prodotti vengono infatti veicolati spesso attraverso punti vendita di piccole dimensioni, strutturati nella forma giuridica dell’associazione o della cooperativa più che dell’azienda. Nell’ottica di rispondere con più coerenza alla filosofia sottesa al commercio equo e solidale all’interno dei punti vendita si riserva molta attenzione alle informazioni legate ai singoli prodotti e alle procedure di produzione e distribuzione. Le “botteghe del mondo” costituiscono inoltre luoghi di incontro e di ritrovo, di diffusione di saperi soprattutto inerenti le tematiche di economia solidale.
Gli autori analizzano anche gli elementi di criticità del Cees. In particolare puntano l’attenzione sull’aspetto che forse appare più evidente e dibattuto anche all’interno dello stesso movimento. Il paragrafo La controversia della grande distribuzione in Italia infatti mette in luce il nodo cruciale dell’apertura alla grande distribuzione dei prodotti equi, presentando i diversi punti di vista di coloro che approvano questa politica e dei “puristi” che invece sono contrari. Queste diverse posizioni trovano spazio nel libro ripresentandosi collegate ad altri aspetti trattati.
Relativamente all’ultimo capitolo c’è da evidenziare che gli autori non si soffermano molto sullo strumento metodologico utilizzato per la ricerca stessa, concentrandosi maggiormente sull’esposizione e l’analisi dei risultati.
In conclusione, uno studio che cerca di districarsi tra critiche e criticità e si inserisce in un ambito di ricerca in fieri che permetterà di dare descrizioni maggiormente dettagliate sul commercio equo e solidale come fenomeno sociale e culturale, i cui effetti – a detta degli autori – non si è in grado di controllare ancora nel lungo periodo.

Mariacristiana Guglielmelli

(direfarescrivere, anno VII, n. 62, febbraio 2011)
 
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