Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
In primo piano
Passione e potere nella Roma dei papi:
una nuova storia di Giorgio De Angelis
Il romanzo storico edito da Falzea e ambientato nel Rinascimento
si incentra sulla figura ardita e controversa del duca Paolo Orsini
di Guglielmo Colombero
Sarà in distribuzione a breve il romanzo storico di Giorgio De Angelis, dal titolo L’Orso e la Rosa, pubblicato da Falzea editore (pp. 280, € 16,00). Dopo due thriller finanziari, La Banca e Il Colpo (editi entrambi da Piemme) e due romanzi storici, Processo per parricidio (Arduino Sacco editore) e Il potere e le sue ombre (Città del sole), l’autore si cimenta ancora con il romanzo storico, questa volta d’ambientazione rinascimentale, abbandonando il consueto scenario dell’antica Roma per scegliere la Roma fastosa, corrotta e sanguinaria dei papi.
La storia, che si svolge tra Roma e Venezia, narra le vicende amorose/passionali del duca Paolo Orsini che, dopo aver ucciso per vendetta la propria moglie, si innamora di Vittoria Accoramboni, sposata con il nipote del cardinale romano Felice Peretti. Per poterla avere Paolo arriverà a uccidere il marito di lei. Successivamente, in seguito a un editto papale emanato dallo stesso cardinale Peretti, divenuto nel frattempo Papa Sisto V, che vieta alla vedova di contrarre matrimonio senza il benestare del pontefice, i due dovranno fuggire a Venezia, dove il cugino di Paolo, Lodovico, sta per diventare capo delle milizie del Doge. Dopo il matrimonio, Paolo morirà in seguito a una malattia e Vittoria sarà fatta uccidere da Lodovico, desideroso di entrare in possesso dell'intero patrimonio degli Orsini.
Si tratta di un romanzo storico avvincente, in cui, nonostante la complessità della materia trattata – dove la storia si intreccia con le lotte politiche e le vicende personali – la struttura narrativa è molto semplice e lineare, ma ricca di pathos, che coinvolge il lettore e lo porta a identificarsi facilmente con le vicende trattate.
Per offrire una panoramica più completa sul romanzo – la cui pubblicazione si deve alla sinergia tra l’agenzia letteraria la Bottega editoriale e la casa editrice Falzea – riportiamo di seguito la Prefazione a firma dello scrittore Guglielmo Colombero (che con la stessa casa editrice ha pubblicato Himilce la sposa di Annibale e Tomyris. La signora delle tigri).

La redazione

PREFAZIONE

Da una penna sottile, un intrigo passionale
nella Roma dei papi rinascimentali


«Una città mondana e viziosa, ribalda e assassina. I nobili fanno il buono e cattivo tempo, avendo a servizio squadre di briganti. In questa Roma dannata il più dannato dei nobili è Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano», così lo storico Claudio Rendina, autore de I papi. Storia e Segreti, descrive la Roma di papa Gregorio XIII, in cui è ambientato, in un arco temporale che va dal 1576 al 1590, L’Orso e la Rosa, terzo romanzo storico di Giorgio De Angelis. Sempre l’Urbe, dunque, ma stavolta, dopo la Roma repubblicana di Cicerone e Silla di Processo per parricidio e quella imperiale di Augusto de Il potere e le sue ombre, l’autore compie un balzo in avanti di quindici secoli e ci trasporta dentro la cornice opulenta e fastosa dei papi rinascimentali, un caleidoscopio affascinante di contraddizioni: il lusso smodato e il raffinato mecenatismo della nobiltà e dei cardinali che convive con i vicoli sordidi e malsicuri, nei quali quasi ogni notte lampeggiano le lame dei pugnali e scorre sangue che raramente può dirsi innocente. Una Roma santa e luciferina allo stesso tempo, in cui il nepotismo dei papi occulta, sotto un profumato sudario di seta, un verminaio di putrescente corruzione morale. Il titolo si ispira alle due figure che compongono lo stemma degli Orsini, l’Orso e la Rosa, appunto, e il protagonista, Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano, è uno di quei personaggi destinati a lasciare un’impronta fosca e leggendaria nella Storia.
Nelle stampe rinascimentali che riproducono le sue fattezze, la chioma arruffata di un rosso infuocato e i folti baffi sopra il pizzo appuntito conferiscono al suo volto una sfumatura vagamente mefistofelica.
Nell’Anno Domini 1576 non si è ancora spento del tutto l’eco delle cannonate di Lepanto che hanno spazzato via dal Mediterraneo la minaccia ottomana, e negli incubi notturni dei sopravissuti risuonano ancora le urla di agonia degli ugonotti parigini sgozzati e squartati in nome di Cristo durante la notte di San Bartolomeo (Sua Santità Gregorio XIII ha fatto coniare una moneta per commemorare l’evento…): in una calda notte d’estate, il duca di Bracciano fa strangolare dai suoi sgherri la giovane moglie Isabella de’ Medici, colpevole di aver ricambiato le sue numerose infedeltà concedendosi all’affascinante cugino Troilo Orsini, e, tre mesi dopo, durante le solenni esequie a Roma, posa gli occhi sulla splendida Vittoria Accoramboni, moglie insoddisfatta del nipote del potente cardinale Peretti. Aprendo la narrazione con un raggelante coup de théâtre, De Angelis prosegue nel tratteggio dei suoi scenari caravaggeschi, cesellando le situazioni con la sua prosa squisitamente pittorica:

La notte era calda e afosa e lente spire di fumo, che pigre salivano dai numerosi candelabri a più bracci, s’involavano rapide dalle finestre aperte nel cielo stellato di una città addormentata e buia.

Quattro anni dopo, in una serata altrettanto torrida, avviene un secondo delitto: il fratello di Vittoria, Marcello, recide la gola nel corso di una rissa a Matteo Pallavicino, anche lui nipote di un cardinale, come il cognato.
Ricercato dal bargello, l’omicida trova asilo nella dimora di Paolo Giordano, che gli garantisce la sua protezione: ovviamente, esige che Marcello si sdebiti assumendo il ruolo di mezzano nel corteggiamento della sorella. Anche nel descrivere l’avvenenza di Vittoria, De Angelis sa depositare le parole come le pennellate di un ritrattista rinascimentale:

Osservò i capelli corvini, raccolti sul capo, intrecciati con una doppia fila di perle e l’esile collo ornato alla base dalla balza di raso rosa del corpetto, percepì il suo profumo, un profumo di viole e rose che lo confuse… notò le labbra tumide, rosse per natura, la pelle chiara, gli occhi bruni, gioiosi, vivi da far impazzire.

E non mancano soprassalti di velata, ma incandescente sensualità:

Anziché scostarsi, Vittoria accentuò il contatto sino a percepire con un brivido, sui glutei e sulle cosce, attraverso i numerosi strati delle vesti, il corpo del duca.

Resta impresso anche il ritratto del cardinale Peretti, il futuro Sisto V, molto aderente all’iconografia rinascimentale (è una trasposizione letteraria perfetta di un celebre dipinto di Filippo Bellini), che ce lo ha tramandato anche nel suo aspetto esteriore come, volendo usare la colorita espressione del Belli, «Papa tosto»:

Il capo incassato nelle spalle, scuro di volto, le labbra strette e ripiegate agli angoli della bocca, la gran barba grigia che s’allungava sin sul petto, le mani grevi, dalle dita nodose, raccolte in grembo, coperte da mezzi guanti di lana scura;

Sul filo della passione travolgente che si accende fra Vittoria e Paolo Giordano (lei è attratta dalla vorace sensualità del suo corteggiatore, e desidera essere posseduta quasi brutalmente, insofferente verso le delicate attenzioni che le dedica il giovanissimo ma assai poco virile marito Francesco), la narrazione procede con squarci quotidiani di vivida truculenza barocca, nel clima oppressivo e forcaiolo della Controriforma (l’impiccagione e lo squartamento del brigante Catena, la fustigazione pubblica per strada delle meretrici seminude): la massa plebea della Roma papalina appare più feroce e assetata di sangue degli stessi carnefici.
Un’altra pagina di straordinario impatto visivo è il concitato agguato notturno di cui resta vittima il marito di Vittoria (la sequenza implacabile dei colpi, la luna piena fredda e affilata come i volti e le lame degli assassini: sembra quasi un montaggio cinematografico), seguito dall’angoscioso materializzarsi dei fantasmi del rimorso nella mente di Vittoria:

Guardava i volti severi dei presenti, indifferenti alla sua pena, quello impassibile di monsignore, udiva il lento scorrere della penna d’oca del notaio sul registro. Nella sua mente si materializzarono le macerie dei suoi sogni crollati, mentre percepiva il tumultuare disordinato dei battiti del cuore.
Smarrita, girò i suoi grandi occhi neri nella stanza e solo il Cristo del grande crocifisso appeso sulla parete, dietro il tavolo, sembrò rivolgerle uno sguardo caritatevole.
Si stavano allontanando da lei, Paolo, la corona ducale, le dimore sontuose degli Orsini. Tutto era sfumato, avvolto in una fitta nebbia che ne confondeva i contorni, mentre il pensiero di Francesco, ucciso per causa sua, non le dava tregua.


L’udienza nel corso della quale Paolo Giordano, con gelida tracotanza, tenta inutilmente di strappare al vecchio e malato pontefice il nulla osta al matrimonio con Vittoria, è il momento più teso e vibrante del romanzo: un gioiello di efficacia drammaturgica, con risonanze quasi shakespeariane. L’Orsini incombe sulla scena, con il volto trasformato in una vescica gonfia di furore represso:

Paolo s’erse sulla persona. Con la statura gigantesca, in piedi dinanzi al trono posto su tre gradini, raggiungeva l’altezza del volto di Papa Gregorio. Con sguardo gelido fissò il Pontefice.
“Non è giusto Santità che puniate la giovane donna che mi ama, da me ricambiata, mortificando nel contempo i grandi servigi resi allo stato”.
La voce tagliente non intimidì per niente il Papa.


Ma, con ferma dignità, Gregorio XIII non cede alla sua minacciosa pressione, e lo congeda, sarcastico, con un gesto benedicente che in realtà ha la valenza di un anatema, di una implicita scomunica. Poco dopo, la collera di Paolo Giordano si stempera nella contemplazione della bellezza di Vittoria, e i due «amanti diabolici» danno libero sfogo ai sensi, con libertina voluttà rinascimentale, degna delle ninfe lascive scolpite dal Bernini, o delle languide naiadi dipinte da Salvator Rosa, prima che la vedova venga arrestata per ordine del Papa e reclusa in un convento.

Paolo le slacciò il mantello, e lasciandolo cadere in terra, fece un passo indietro per rimirarla, estasiato. Vestiva un semplice abito di raso color acqua marina stretto alla vita e lungo sino a coprire le scarpine dello stesso colore. L’ovale perfetto del volto appena arrossato dall’emozione, i capelli corvini sciolti sulle spalle, le rosse labbra tumide, il piccolo naso con le narici frementi, la pelle nivea del collo e le spalle scoperte, fecero scattare la passione a lungo repressa.

Dopo un scontro con i gendarmi papali in cui resta ferito mortalmente un cadetto degli Orsini, l’anarchia e il disordine si impadroniscono dell’Urbe. Le casse vuote dell’erario pontificio non sono in grado di reclutare mercenari, sono le bande armate al soldo degli Orsini a spadroneggiare per le vie: in un crescendo di rappresaglie e di vendette, De Angelis ci immerge in una città in preda al caos, che di sacro ormai ha solamente le reliquie custodite nelle chiese. Pur di placare la furia degli Orsini, il Papa si spinge fino a condannare a morte il bargello che non aveva fatto altro che eseguire gli ordini del governatore di Roma. Gli ultimi mesi del pontificato di Gregorio XIII si risolvono in un’umiliante capitolazione, che De Angelis ci descrive con accenti impietosi, quasi a voler sottolineare la pavida ipocrisia annidata nel vacillante potere temporale dei papi. Nella primavera del 1585, quando il rintocco delle campane annuncia la morte di Gregorio XIII, la plebaglia romana si scatena in devastazioni e saccheggi: si apre il conclave in una città sull’orlo del collasso politico, finanziario e sociale, tutti ripensano ai giorni terribili del Sacco del 1527. Dopo qualche giorno di stallo, fra due schieramenti di cardinali contrapposti, un compromesso porta all’elezione di Felice Peretti, con il nome di Sisto V: il peggior nemico di Paolo Giordano Orsini, ansioso di vendicare l’assassinio del nipote. Si rizzano le forche, il nuovo Papa ristabilisce l’ordine con pugno di ferro: Paolo Giordano, che finalmente ha potuto unirsi in matrimonio con Vittoria, gli chiede udienza e si umilia fino a baciargli la pantofola. Ma è tutto inutile: alla coppia non resta altro che abbandonare in fretta e furia l’Urbe, per andare incontro al proprio destino.

Guglielmo Colombero

(direfarescrivere, anno VI, n. 54, giugno 2010)
 
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