Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
In primo piano
Una storia calabrese tutta da riscoprire:
le lotte sociali nel Secondo dopoguerra
Ciccio Caruso, ne La Giurlanda (Città del sole edizioni), ripercorre
la propria vita e ricorda le vicende politiche di cui fu protagonista
di Giuseppe Licandro
“Giurlanda” è il nome con cui si designa il fiore del castagno, ma è pure la denominazione di una località della Locride, ricca di siti archeologici. Di questa e di altri luoghi della Calabria ci parla lo scrittore Francesco (detto “Ciccio”) Caruso ne La Giurlanda. Storia di vita, di lotte e di riscatto (Prefazione di Vito Barresi, Città del Sole edizioni, pp. 360, € 14,00), un’ampia raccolta di articoli da lui pubblicati fra il 1984 e il 2008 sul periodico il Crotonese e sulla rivista Ora locale.
Il volume, corredato da un glossario dei termini dialettali e da una significativa Appendice fotografica, si dipana con uno stile narrativo avvincente che ondeggia tra il racconto autobiografico, il saggio storico-politico e la cronaca.

Un’immagine inedita dei calabresi
Il sociologo Vito Barresi, nella Prefazione, afferma che nell’opera di Caruso «si scorge un’inedita intuizione della Calabria del Novecento, liberata dal filtro ideologico di un certo “alvarismo” di maniera, fatto che costituisce la nota e la sembianza extraletteraria dell’intero libro». L’autore, a sua volta, chiarisce nella Presentazione di aver «scritto di vicende e persone che hanno segnato la storia del nostro tempo, del lungo cammino dei diritti e della libertà», con l’intenzione di «testimoniare questo passato, straordinario e contraddittorio, e comunque ricco di speranze e di utopie ma anche di trasformazioni epocali che hanno cambiato la nostra vita».
Nei ventotto racconti di cui si compone il libro l’autore parla soprattutto della propria esistenza, soffermandosi in particolare a tracciare l’impegno politico che lo vide tra i protagonisti delle lotte sociali sviluppatesi in Calabria subito dopo la Seconda guerra mondiale. L’immagine della popolazione locale che emerge dalle sue cronache è assai lontana da certi stereotipi che l’hanno spesso etichettata come socialmente arretrata e scarsamente politicizzata. Lo scrittore, invece, rende onore ai lavoratori agricoli calabresi che si batterono, anche a prezzo della vita, per cambiare gli anacronistici rapporti di produzione perduranti in molte aree regionali.
Originario della Giurlanda, egli si trasferì da bambino nella città pitagorica, dove, appena quattordicenne, iniziò a lavorare alla Montecatini. Dopo aver subito un ingiusto licenziamento – dettato da ragioni politiche –, Caruso trovò un temporaneo impiego presso le Ferrovie calabro-lucane. In seguito andò a lavorare alla Pertusola di Crotone e, infine, si dedicò a tempio pieno all’attività politica.

Dalla Giurlanda alla Montecatini
Il secondo racconto – intitolato appunto La Giurlanda – narra l’infanzia di Ciccio e descrive la Locride durante gli anni Venti, quando «primeggiavano ancora gli ulivi, i gelsi – in molte famiglie si allevavano i bachi da seta e si lavorava anche la lana, il lino e la ginestra – le viti da mosto e molti mandorli» ed era ancora diffusa la figura del fittavolo, che versava al signore del luogo un terzo del raccolto di ogni «tuminata» (circa tre quarti di ettaro) di terra datagli in concessione.
La comunità della Giurlanda, chiusa a riccio in se stessa, viveva in una dimensione esistenziale per certi versi premoderna, caratterizzata da forti vincoli familiari, radicati pregiudizi e ataviche paure. I suoi componenti si dedicavano perlopiù ai lavori agricoli e s’intrattenevano tra loro con gli svaghi tipici delle contrade rurali. Un aspetto rilevante della cultura locale era costituito dai rituali folclorici, che si svolgevano soprattutto durante i festeggiamenti in onore della Madonna di Polsi, così rievocati dall’autore: «Le tarantelle, le ballate malandrine e le sfide tra i cantori erano le attrazioni più seguite e impegnative della giornata e non di rado anche il motivo più ricorrente di interminabili discussioni tra le tifoserie sulla qualità delle prestazioni dei vari gruppi in competizione».
Nel 1930 la famiglia si trasferì a Crotone e qui Ciccio ebbe modo di confrontarsi con una realtà sociale totalmente diversa. In quegli anni, infatti, era iniziata nel Marchesato un’incipiente industrializzazione (rimasta comunque allo stato larvale) con la costituzione di alcune industrie chimiche.
Caruso iniziò a lavorare come apprendista alla Montecatini e, intorno ai venticinque anni, conseguì la qualifica di operaio specializzato che gli consentì di venire assunto a tempo pieno dalla stessa azienda chimica. Si era ormai giunti alla fine della Seconda guerra mondiale e, nel frattempo, Ciccio aveva scoperto «la lotta di classe, il Sindacato e la politica».
La sua maturazione personale e civile lo portò, dunque, a militare nel Pci e nella Cgil, assumendo anche importanti incarichi dirigenziali (fu, tra l’altro, segretario regionale della Federbraccianti e segretario della Federazione del Pci di Crotone e di Ragusa).

Le lotte contadine
Vari capitoli del libro sono dedicati alla rievocazione delle lotte sociali che animarono la Calabria tra il 1945 e il 1949. Caruso ricorda in particolare quattro avvenimenti – oggi quasi del tutto rimossi dalla memoria collettiva – che pure all’epoca suscitarono un’eco non indifferente presso l’opinione pubblica nazionale: l’effimera “Repubblica rossa” di Caulonia del marzo 1945; lo sciopero generale di Crotone contro il carovita del 30 settembre 1946; l’eccidio di Petilia Policastro del 13 aprile 1947 (nel quale vennero uccisi dai carabinieri Isabella Carvelli e Francesco Mascaro); i “fatti di Melissa” del 29 ottobre 1949 (in cui furono feriti a morte dalla Celere Angelina Mauro, Francesco Nigro e Giovanni Zito).
Il contesto storico nel quale s’innestarono queste intense proteste popolari fu quello del Secondo dopoguerra, contraddistinto dalla crisi economica e da una profonda contrapposizione tra i partiti di sinistra (il Pci e il Psi), che si battevano in favore della riforma agraria, e le forze moderate (incarnate soprattutto dalla Democrazia cristiana), che difendevano la proprietà privata e il latifondo.
Caruso, a tal proposito, rammenta che lo scontro sociale nelle campagne calabresi si acuì in seguito all’approvazione nel 1944 dei decreti Gullo (che presero il nome dall’allora ministro dell’Agricoltura, il comunista Fausto Gullo), che prevedevano la distribuzione ai contadini delle «terre incolte o insufficientemente coltivate».
I latifondisti, che si erano appropriati di una parte consistente dei terreni demaniali, misero in campo tutti i mezzi di cui disponevano per boicottare gli espropri e la distribuzione delle terre, «dalla corruzione alla carta bollata».
Le lotte contadine riuscirono, tuttavia, a conseguire un risultato tutt’altro che disprezzabile: grazie alle leggi Sila e Stralcio, infatti, fu attuata una parziale riforma agraria, che comportò la distribuzione di 760.000 ettari di terreno incolto a circa 113.000 famiglie di contadini poveri. Secondo Caruso, fu proprio l’ondata di sdegno che fece seguito all’eccidio di Melissa ad accelerare i tempi di realizzazione dell’agognata riforma terriera: «il Governo De Gasperi, isolato e battuto nel paese, fu costretto a varare una legge di Riforma agraria che, per quanto discutibile, poneva per la prima volta un limite alla proprietà terriera».

Le assurde traversie giudiziarie
Lo scrittore nei suoi racconti fa menzione della sua vita sentimentale, degli innumerevoli amici e compagni che lo affiancarono nella lunga militanza politica, della sua passione sportiva per la squadra di calcio crotonese. E accenna anche alle incredibili traversie giudiziarie che lo videro, suo malgrado, protagonista negli anni Cinquanta, a riprova dei rischi cui andava incontro chi allora militava nel Pci.
Nel gennaio del 1951 – reduce da una serie di manifestazioni contro la politica estera filostatunitense del governo italiano – Caruso fu arrestato con l’accusa di «istigazione alla diserzione, incitamento a disubbidire alle leggi dello Stato e di vilipendio alle Forze armate e al Governo». All’origine dell’arresto vi fu una denuncia – che poi si rivelò priva di fondamento – di due cittadini che avevano ascoltato un intervento del dirigente comunista durante un’assemblea popolare tenutasi a Isola Capo Rizzuto.
Caruso fu addirittura deferito al Tribunale militare di Napoli e tradotto in catene presso il carcere napoletano di Poggioreale! Una parte dell’opinione pubblica si mobilitò in sua difesa e il processo, svoltosi in tempi rapidi, si concluse a maggio del 1951 con la piena assoluzione dell’imputato «perché il fatto non sussisteva».
Qualche mese più tardi, in seguito a un’agitazione dei braccianti di Borgia in favore della distribuzione delle terre previste dalla legge Sila, l’attivista del Pci fu di nuovo arrestato, ma anche in questo caso venne ben presto prosciolto da ogni addebito.
Un ultimo “torto” da parte della giustizia italiana fu subìto da Ciccio nel 1959, quando la Procura di Crotone gli contestò il reato di diffamazione, a causa della diffusione di un volantino in cui si attaccava un notabile locale. Sebbene fosse estraneo alla stesura del testo, il procuratore lo ritenne comunque politicamente responsabile, in quanto segretario del Pci. Ciò impedì al dirigente comunista di ottenere il rilascio del passaporto, che gli serviva urgentemente per condurre il figlio Eliseo, gravemente malato di talassemia, a Parigi, dove si sperava di poterlo curare adeguatamente. Egli, infine, fu scagionato dalle accuse e riuscì a ottenere dal Questore l’autorizzazione all’espatrio. Purtroppo, però, il viaggio in Francia si rivelò inutile e, come ricorda tristemente lo stesso autore, «fallito il tentativo generoso della scienza... Eliseo dopo pochi mesi morì».

Il pregio narrativo de La Giurlanda
Nella parte finale del suo libro Caruso parla anche dell’impegno giornalistico che lo ha portato a collaborare dapprima con il Crotonese e poi con Ora locale.
Di questa seconda esperienza egli tratta diffusamente nel racconto La ragazza comunista, in cui si rievocano gli anni Sessanta e Settanta, durante i quali a Catanzaro si costituì, intorno a una famosa edicola, un gruppo di giovani intellettuali della Nuova sinistra, che Caruso conobbe e frequentò – pur con posizioni politiche un po’ differenti – quando fu nominato segretario della locale Camera del lavoro. Alcuni di questi intellettuali si sono ritrovati, a distanza di anni, nella redazione di Ora locale, la rivista diretta da Mario Alcaro, docente di Storia della filosofia presso l’Università della Calabria, che ha rappresentato tra il 1996 e il 2005 un punto di riferimento per la sinistra “critica” calabrese.
Diversi brani della raccolta di Caruso si riferiscono alle vicende italiane più attuali, a testimonianza del fatto che egli, anche se ha in parte rivisto nel tempo la sua impostazione ideologica, rimane pur sempre una persona impegnata sul piano sociale e civile, attenta alle contraddizioni e ai mutamenti insiti nel mondo odierno.
Il pregio de La Giurlanda, tuttavia, non va individuato soltanto nella ricostruzione, puntuale e rigorosa, del percorso esistenziale di un militante politico e sindacale. L’abilità dello scrittore calabrese, infatti, consiste soprattutto nella sua capacità di avvincere chi legge e di farlo appassionare ai suoi racconti.
Condividiamo, quindi, quanto ha scritto Paola Mazza, a proposito delle doti narrative di Caruso, sul n. 21 di Bottega Scriptamanent (www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=576&ricerca=): «Le vicende ed i personaggi del suo passato più lontano o più recente sono tali da spingere all’emozione il lettore che non può che sentirsi partecipe delle vicende narrate».

Giuseppe Licandro

(direfarescrivere, anno V, n. 47, novembre 2009)
 
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