Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
La recensione libraria
Sentire e sentirsi, vedere e vedersi:
esistenze interrotte che provano
a rinascere attraverso i cinque sensi
Da Ferrari editore, undici storie d’amore insieme
altamente introspettive e intensamente visibili
di Francesca Ielpo
Quando un libro evoca sensazioni viventi, allora è valido. Leggi, comprendi e senti. Ciò che viene narrato tra le pagine stampate è parte della tua vita, delle esperienze che, magari, col trascorrere degli anni avevi dimenticato. Poi, d’un colpo, una sola parola e rivivi, con lo stesso batticuore, ciò che è passato.
Per un convergere di parole – che, poche volte, troviamo il coraggio di pronunciare – lette in Nella aveva perso il suo odore (Ferrari editore, pp. 176, € 15,00), ognuno, nella desolazione della propria casa, sente sopraggiungere un senso di comunione con gli altri. Attraverso le undici short story che compongono la raccolta, infatti, non ci ritroviamo più soli nel continuo lavorio della nostra mente, che mai si rifiuta di scavare nei suoi substrati, così fragili e doloranti. «Possibile che nessuno si renda conto che per creare qualcosa che non deperisca bisogna in qualche modo distruggersi?».
Si viene a formare un circolo di lettori come una sorta di comunità, una élite, per così dire, sentimentale, che vive la routine della quotidianità, apparentemente tranquilla, imprimendo sulla pelle il trascorrere del tempo, con i suoi odori, colori, movimenti.
Pier Paolo Sciola, già autore di una sceneggiatura (Jazz – un buco nell’anima) e di due romanzi (tra cui La vita nonostante), sembra riportare nel testo le caratteristiche della sua terra d’origine, la Sardegna: ambigua, ostile, rude ma tremendamente ammaliante.

Legami strutturali, legami esistenziali
È curioso leggere l’indice del romanzo e scoprire che i titoli delle short story rimandano ad alcuni dei cinque sensi. Basti pensare a Nella aveva perso il suo odore (olfatto), Sfregando l’indice sulla tua bocca, Mio padre ha mani grandi (tatto) e A vedere il mare (vista). Così com’è curioso scoprire che il primo e l’ultimo racconto, all’insegna del misticismo, sembrano completarsi (Mistica domestica, Mistica turistica).
Il mare e l’isola, esemplari di vaghezza, infinità e solitudine, non possono che essere citati con A vedere il mare e On an Island.
Giri di parole, che riportano a elementi figurativi dal forte impatto emotivo, da cui tutto prende avvio.
I protagonisti, per lo più adulti, hanno spesso un matrimonio alle spalle. Sembrerebbero navigare su di un battello, a colpi sicuri. Eppure, tentennano. Si ritrovano a guardare indietro e faticano ad andare avanti, con la stessa e identica lena.
Proseguendo, in tutta velocità, d’improvviso si accorgono che non c’è nessun traguardo ad aspettarli, nessuna ricompensa ad allietare il loro stato d’animo: «Non c’è Niente – ti dici – non può esserci Niente. […] Non è di tesori che ti sei messo in cerca, non ti interessa, sai di non averne, nessuna urna dal contenuto misterioso; e il saperlo, forse, è il solo tesoro che possiedi: la disillusione come unica ricchezza».
E se poi è la percezione di odori, o il tatto di altri corpi, a farci giungere a nuove consapevolezze, allora tutto gioca sull’istinto, che solo successivamente porta al pensiero, e non viceversa.
Nella percezione e reazione siamo animali, è dopo che diventiamo umani. Così il compagno di Nella vorrebbe allontanarsi da lei, diventata nel frattempo una pornostar, ma non ci riesce. Semplicemente l’ama, amava il suo vecchio odore, ne ama il nuovo. Forse non è un caso se Pier Paolo Sciola sceglie, come titolo dell’opera, lo stesso di questo racconto, in cui amore puro e percezioni autentiche (percezioni che portano a sensazioni), che con difficoltà si svelano e vengono alla ribalta, fanno da sfondo. L’intera narrazione, presa nel complesso, è un processo di comprensione, che parte dall’anima e le cui conseguenze non sono solo astratte e interiori, ma oggettivamente e realmente visibili.
Anche in Mistica turistica, il cui protagonista, non voltandosi al passato ma solo rimuginando su esso, decide di porre le basi della sua vita su diversi tasselli, a partire da una nuova città, Roma. Lontano da sua moglie, troppo depressa per permettergli di vivere. «Mentre sogni di piccoli aeroplani che si librano leggeri nell’azzurro. Fino a perdersi guerrieri nella luce». È modellismo applicato alla realtà. Giochi con i pensieri e ti ritrovi a ricostruire la tua vita.

RaccontarSi
È un’antica tradizione, il genere letterario di questo romanzo. Pier Paolo Sciola sembra rifarsi al flusso di coscienza di James Joyce e di Virginia Woolf o alle trame letterarie di Italo Svevo e Luigi Pirandello. Di fronte a un’incalzante narrazione, siamo catapultati in mondi interiori, il cui contesto esterno sembra presto dissolversi.
A tal proposito, rilevante è il racconto Mio padre ha mani grandi, la cui tecnica narrativa è messa in evidenza nella Postfazione di Silvia Longo. Si racconta di abusi sessuali di un padre sulla figlia. Non è facile narrarne. Ma l’autore, mettendo al bando riferimenti espliciti e utilizzando frasi sospese, ricalca il senso di estraniazione e terrore da parte della vittima.
Ciò che non si dice, si intuisce. Ciò che si intuisce, provoca una morsa allo stomaco.
Alla fine anche il lettore sente sulla pelle le vite raccontate.
Un solo insegnamento: se provassimo ad annusare continuamente odori, l’olfatto della vita avrebbe un altro sapore e il nostro tatto emotivo andrebbe ad assottigliarsi, fino alla percezione di ciò che è più nascosto.
Potrebbe essere una tecnica, una singolare sinestesia.

Francesca Ielpo

(direfarescrivere, anno VII, n. 71, novembre 2011)

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