Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
La recensione libraria
La volontà di inserire il proprio vissuto
nelle trame dell’estrinsecazione lirica.
Un itinerario dell’anima oltre il tempo
Un tentativo di trasfigurazione del proprio tempo
nella silloge del giovane Gatto. Pellegrini editore
di Daniela Latella
Approssimarsi alla poesia è quanto di più difficile e delicato un lettore possa fare, specialmente quando la stessa, nella sua accezione più pura, sviscera individualità che nel raccontarsi, raccontano. Passando in rassegna diversi componimenti non è arduo notare come il lettore, solitamente, tenda ad approssimarsi con più condiscendenza a quelli in cui è l’essere umano nelle sue plurime fragilità, velleità e contraddizioni a venir fuori, per via di una sorta di meccanismo piuttosto radicato che nella mimesi ha uno dei suoi punti forti.
Misura del tempo di Marco Gatto, (Prefazione di Renato Nisticò, Luigi Pellegrini Editore, pp. 88, € 8,00) già nel titolo appare confrontarsi con quanto di più problematico l’uomo abbia dovuto e voluto raffrontarsi nel corso dei secoli, attraverso la filosofia, la scienza, la prosa e non ultima la lirica, vale a dire il computo personale, e titanico nel suo tentativo, di una realtà ontologicamente incommensurabile.
Il desiderio del singolo, poi, di incanalarlo in una dimensione più vicina e familiare, sembra condurre all’improbabile quanto ardita equazione che vede il tempo del poeta assurgere a massima realtà noumenica.

Poesia consapevole
Ciò detto, l’opera risulta nettamente mediata da una scelta ben ponderata che punta a fare del verso lo strumento di edificazione del sé del poeta, quasi a dire che un uomo per diventare tale, debba vestirne prima i panni.
Nelle liriche della raccolta è palese infatti questo incanalamento mirante a dare forma a un’esistenza dai contorni a volte opachi, altre volte tutti da definire. Tra tanti abiti da poter vestire per corroborare un’individualità che vuole emergere nella sua specificità letteraria, l’autore opta per quello che, pur nella sua frammentarietà intrinseca, sente nascergli dentro simile a un monito che necessiti fiato.
Gatto in tale direzione segue il cliché dell’uomo ripiegato su se stesso, la cui sensibilità la gente stenta a riconoscere, in un contesto, sia esso il paese, la città o l’esterno nella sua accezione più ampia, che è comunque nemico e ostile. In uno scenario siffatto l’autore, che mira ad adire all’olimpo dei poeti che nel corso della sua formazione ha preso ad esempio, Sereni e Montale su tutti, si crea un alter ego contro cui scagliarsi o imbastire un dialogo: da qui la centralità della figura del padre, che oscilla tra il naturale, nei componimenti che maggiormente riflettono sull’autobiografismo, e il putativo in quelli in cui è visto come un occhio puntato che vigila sul suo operato artistico.

Le tre tappe
Alla silloge di Gatto che si articola in tre sezioni titolate, Esercizi di memoria, Misura del tempo, Ipotesi private, e un Postludio, fanno eco altrettante fasi del privato efficacemente deducibili dai testi.
La prima parte, infatti, lascia intravedere il poeta nella sua genesi che si affaccia alla vita con intendimenti già abbastanza precisi. In essa appare il giovane neofita che «ancora cieco di vita » cerca nell’arte il mezzo per trovare la sua voce, tra mille echi distorti. Una siffatta cornice di nascita poetica è rappresentata efficacemente in due versi, emblematici degli intenti e delle predilezioni dell’autore: «oh trasformare in poesia un padre/ che si allontana dalla culla».
Nella sezione invece che dà il titolo all’intero volume, la memoria e il lutto, nella loro funzione euristica, fanno da ponte ad un approccio più maturo e cosciente del poeta nei confronti della materia del suo verso. Qui la disillusione sembra aver preso piede, nel suo ruolo di permettere all’occhio di vedere le cose, nel loro mero essere fenomenico, ben oltre i miraggi di cui spesso gli uomini sentono di avere bisogno: «non si capisce se ha senso arrestare / ormai andato il tempo su una lapide / o quel che sia, pure poesia, / quando poi ad un elenco di mancanti / si riduce il discorso catastale».
Nelle Ipotesi private, infine, appare una quotidianità ridotta in cenere, dalla quale sopravvive soltanto il mito del verso, unico e ultimo anelito di speranza e conforto, potenziale rivelazione ma in realtà semplice riflesso: «lo stillicidio di versi cometa / e l’eclissi del segno che decide / hanno invaso i miei giorni. / Non era quel che temevamo, trema / un pensiero di furia. / Sfiorisce aprile, impura è la sete».

La corrispondenza
Considerate nella loro globalità, le liriche di Marco Gatto sanno raccontare in maniera a volte trasversale, altre diretta, il percorso altalenante di un individuo che a dispetto di riflessi distorti, riesce ugualmente a guardarsi allo specchio del ricordo e della percezione.
Il suo poetare, nella ricorrenza di concetti e figure chiave, genera pertanto familiarità e complicità nel lettore che in ultima analisi riesce a dedurre dal tutto un monito non trascurabile, che rintraccia nella poesia la fonte principale di identità, altrove troppo spesso vilipese.

Daniela Latella

(direfarescrivere, anno IV, n. 28, aprile 2008)
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