Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
La recensione libraria
Manipolazione mediatica, disinteresse,
poca informazione. Ecco il pregiudizio
contro coloro che scontano una pena
La testimonianza di un uomo che ha avuto un’altra
chance, pubblicata dalle Edizioni Casa del Giovane
di Simona Gerace
Si vive in un mondo frenetico e individualista in cui la maggior parte della gente pensa solo a se stessa e guarda il resto della comunità con assoluta indifferenza. A ciò si affiancano problemi come la disoccupazione, il disagio giovanile, la mancanza di fiducia nella politica e nelle istituzioni e un totale disinteresse riguardo alle sorti dell’intera collettività. Con queste premesse non possono che scaturire situazioni, modi di vita, quadri globali sbagliati, banditi dal senso comune e scostati dalla collettività.
Si guarda facilmente dall’alto in basso, con un senso di superiorità e pregiudizio coloro che sono condannati dalla giustizia a dover pagare a caro prezzo gli errori commessi. Dall’altra parte, quanti si considerano persone per bene, ergendosi a titani, tengono sempre il dito puntato, pronti a giudicare i cosiddetti reietti della società; la realtà che conoscono è diversa da quella esistente in quanto viene loro filtrata attraverso i mass media in modo manipolato e irreale. Credono di essere diversi, di non avere nessuna responsabilità per i vari episodi di bullismo e droga che ormai dilagano a dismisura, si ritengono migliori senza pensare di essere stati solo più fortunati di altri, cresciuti magari sulle strade tra diversi e gravosi ostacoli.
Le persone che commettono errori vengono così ingiustamente emarginate, perdono la dignità di esseri umani ma, cosa più grave, non viene offerta loro alcuna possibilità di miglioramento e di futuro dignitoso. Lo stato, le istituzioni, la politica, la gente, non offrono loro nulla, anzi li considerano incapaci di condurre una vita normale e all’insegna della giustizia.

L’importanza della prevenzione
Di queste problematiche parla l’ultimo libro di Vincenzo Andraous (Riconciliazione o vendetta? Bulli. Carcere. Comunità, edizioni Casa del Giovane, pp. 166, € 15,00).
L’autore è un uomo ristretto da trent’anni e condannato all’ergastolo «fine pena mai». In regime di semilibertà svolge attività di tutor nella comunità Casa del giovane di Pavia, e ciò gli fa molto onore e offre una testimonianza di come anche chi ha sbagliato nella vita può cercare di cambiare e recuperare gli errori commessi.
L’autore, denunciando apertamente le problematiche della società presente, sottolinea la necessità e l’importanza dello svolgere un’attività di prevenzione che esuli, come lui stesso afferma, «dalla presunzione di salvare qualcuno dal proprio destino».
Il volume è corredato da un corposo e completo apparato paratestuale. Nella Prefazione il cammino dell’autore viene paragonato a quello di Dante che, nei gironi infernali, cerca assiduamente la via smarrita; mentre nella presentazione viene spiegata l’anomalia del testo che risulta essere miscellaneo, ovvero composto da una raccolta di articoli, scritti e pubblicati in una rubrica settimanale sul quotidiano Avvenire. Segue l’Introduzione che presenta il volume come formato da sei capitoli, divisi in brevi sottocapitoli e riguardanti tematiche diverse ma strettamente correlate, come ad esempio il carcere, i minori, il bullismo, la fede, la guerra.

Il carcere: luogo di miglioramento?
Il primo tema ad essere affrontato è quello del carcere. L’autore sostiene la necessità e l’importanza di informare sul fatto che il sistema carcerario italiano sia “alla frutta”, ovvero non idoneo a migliorare o rinnovare l’identità di un individuo. La reclusione, infatti, dovrebbe portare la persona stessa ad assumersi la responsabilità di ritrovarsi o eventualmente ricostruirsi.
La mancanza di informazioni sulle pene e sul carcere porta la società ad essere totalmente distaccata e indifferente; pertanto i carcerati non sono considerati, se non dal sistema statale, che li classifica come numeri in esubero, da ridurre.
Andraous pone degli interrogativi: «Rimanere fuori dalla società è davvero l’unica riparazione possibile per il reo? Quale senso trova una pena che infligge sordamente una punizione, ma non riconosce alla sua funzione sociale il valore che sta al di là dell’apparenza, affinché il detenuto ritorni ad essere persona?».
Anche l’indulto, che dovrebbe essere stato concepito come una possibilità offerta per migliorare, viene effettivamente a configurarsi come una «manipolazione in favore di qualche potente di turno, per cui si è nuovamente usato il detenuto».

Meglio le comunità anche per i minori!
Un altro ruolo importante svolgono le comunità considerate migliori e più efficaci del carcere. L’autore infatti sostiene che quando sono i minori a violare la legge sarebbe più opportuno investire su comunità presenti sul territorio che «si configurano come palestre di vita».
Nella società attuale i più giovani appaiono fragili e incompiuti. Vengono educati secondo una logica che esclude rinuncia e privazione, una tendenza che li disabitua perfino alla minima forma di fatica, lotta e conquista. Confondono l’essere con l’avere e, continuamente bombardati dai messaggi mediatici, crescono privi di valori. “Per essere “tosti” occorre loro tecnologia avanzata, abiti griffati e perfezione dell’immagine” raggiunta tramite “bicipiti bulimici”, dimenticando che non sono questi i sani principi di cui dovrebbe essere caratterizzata la vita di una persona.

Droga, bullismo e falsi valori
Per i problemi importanti, come la droga e il bullismo, le comunità potrebbero intervenire educando e rieducando con amore e fiducia. Al giorno d’oggi forse, assumere sostanze stupefacenti potrebbe risultare normale per alcuni giovani, perciò è importante prevenire e non giustificarsi «ammettendo di aver provato qualche canna solo per sentirsi parte del gruppo».
Non vanno poi trascurati coloro che apparentemente sembrano bravi ragazzi anche se in realtà si lasciano andare ad atteggiamenti bullistici con la protezione del gruppo. Infatti «ieri il bullo era l’unico diverso, destinato immediatamente al macero, oggi è divenuto eroe manifesto, non tanto per la sua fisicità, soprattutto per la silenziosa maggioranza all’intorno». È inoltre opportuno, a questo proposito, distinguere la solidarietà dall’omertà: la prima infatti è «frutto di amore e verità»; la seconda è «un mezzo per rendere sicura la prevaricazione e la prepotenza».
Emerge così l’urgente esigenza di mutamento sociale e l’importanza della fede intesa come una mano che guida la persona e l’aiuta ad affrontare il duro e difficile cammino della vita.
L’opera richiama, con un linguaggio volutamente semplice e colloquiale, l’attenzione sui diversi problemi presenti nella società e prospetta le varie comunità esistenti sul territorio come possibili luoghi di educazione e rieducazione molto più efficaci del carcere.
Urge una trasformazione sociale che porti alla non indifferenza e che faccia ricordare e apprezzare, anche tramite attività di volontariato, la valenza salvifica della Croce. Ognuno è responsabile delle proprie azioni, ma per chiunque è possibile tendere una mano, offrire una speranza e una possibilità in più a chi crede di aver sbagliato tutto nella vita. Non bisogna perciò scrollarsi le spalle e lavarsi le mani di fronte ai grandi problemi sociali; direttamente o indirettamente, la responsabilità è dell’intera comunità ed è necessario adoperarsi per cambiare le cose. Bisogna prevenire ed essere vicini a chi ha sbagliato; questo è un obbligo morale ma soprattutto un dovere sociale.

Simona Gerace

(direfarescrivere, anno IV, n. 25, gennaio 2008)
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