Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
La recensione libraria
La tumultuosa esistenza di Bassanesi:
l’eroe che con coraggio sfidò il regime
dal cielo, lanciando su Milano volantini
In un libro Rubbettino, il racconto della gloria
e del successivo declino che lo portò all’oblio
di Valeria La Donna
Non tutti possono comprendere oggigiorno cosa significhi lottare per degli ideali, andare contro tutto e tutti, mettendo in pericolo la propria vita ed i propri affetti, per i valori in cui si crede. Una società come quella odierna, dove tutto è semplice, scontato e in cui si dà gran peso agli aspetti materiali della vita, può non capire il senso del sacrificio. Ma vi è una generazione del Novecento, quella a cavallo tra i due conflitti mondiali, che di patimenti, a causa della guerra, ne ha dovuti affrontare fin troppi.
A quella generazione apparteneva Giovanni Bassanesi, maestro valdostano emigrato a Parigi, che divenne famoso come L’uomo che sfidò Mussolini dal cielo (Rubbettino, pp. 300, € 18,00).
Gino Nebiolo, giornalista piemontese e autore di molti saggi e romanzi, riesce in questo libro (il cui sottotitolo è Vita e morte di Giovanni Bassanesi) a descrivere con molta chiarezza l’incredibile e rocambolesca storia di questo personaggio dal grande coraggio, ma dall’altrettanto grande fragilità emotiva che lo condurranno, nel corso della sua esistenza, a fare delle scelte talvolta sbagliate. Una vita intensa e faticosa, quella del nostro protagonista, che dedicò interamente all’attività politica, alla quale si consacrò con una passione e con un senso del dovere tali da risultare quasi eccessivi.
Nebiolo focalizza l’attenzione, in particolare, sull’impresa che rese celebre Bassanesi come un eroe nella storia dell’antifascismo: il “raid” su Milano effettuato, in qualità di pilota, l’11 luglio 1930.

Storia di un «cospiratore dilettante»
A bordo di un piccolo aeroplano, messo a disposizione dall’organizzazione antifascista Giustizia e libertà (Gl) di cui era membro, Bassanesi e il suo compagno di volo, l’operaio Gioacchino Dolci, si diressero verso la città lombarda sulla quale lanciarono migliaia di volantini inneggianti all’insurrezione contro il governo fascista. Un governo colpevole soprattutto di aver trascinato l’Italia verso la rovina economica limitando, tra l’altro, i diritti e la libertà dei cittadini.
L’impresa venne compiutamente portata a termine, ma nel viaggio di rientro in Francia accadde l’inevitabile: a causa di una violenta bufera e complice la sommaria inesperienza di pilota, l’aereo di Bassanesi precipitò sul San Gottardo. Egli riuscì miracolosamente a salvarsi, ma quell’episodio segnò profondamente il suo delicato sistema nervoso e finì per compromettere la sua stabilità emotiva e psichica.
Desideroso di consolidare l’immagine eroica che aveva dato di se stesso e impaziente di rendersi ancora utile alla patria, Bassanesi cominciò ad avere un tarlo fisso: ripetere l’impresa del volo su Milano. Il gesto valeva sicuramente lo sforzo organizzativo e i rischi personali, ma non poté avere alcun seguito concreto. Deluso, frustrato, insoddisfatto, Bassanesi cominciò ad agire di propria iniziativa, ma l’impazienza e l’incoscienza gli fecero fare diversi errori che causarono, tra l’altro, l’arresto di alcuni suoi compagni di lotta, compromettendo la fiducia che essi avevano riposto in lui.
Il «cospiratore dilettante», come lo definisce Nebiolo, non riuscì mai più a riacquistare credibilità tra gli ex amici, nemmeno agli occhi di Carlo Rosselli e Alberto Tarchiani, i capi di Gl, che in passato avevano tanto creduto in lui. Ce lo dice lo stesso Nebiolo: «Da allora parve ai dirigenti di G. L. che mancasse a questi la forma fisica e morale e quel certo grado di clandestinità necessaria a nuove imprese […] una incrinatura s’era prodotta nel già fragile equilibrio nervoso del pilota antifascista, che doveva contribuire a fargli fallire ogni altra impresa».
Unica consolazione fu la moglie, Camilla Restellini, che gli stette sempre accanto nei momenti difficili e che lo sostenne anche nelle imprese e nelle iniziative più strampalate. Era incinta di sette mesi, ad esempio, quando si recò in Spagna, in piena Guerra civile, solo per recapitare un messaggio a Rosselli da parte del marito. Il suo amore per lui si mantenne saldo e tenace anche quando, per colpa del marito, venne più volte arrestata, mandata al confino e addirittura rinchiusa in manicomio per due anni. La stessa sorte toccò a Bassanesi, il quale, però, in un istituto psichiatrico trovò la morte.

Il militante pacifista
In un contesto storico in cui brutalità e prepotenza facevano da padrone, giustificate da un governo autoritario e dispotico, appare forse contro corrente la scelta di Bassanesi che decise di operare contro il fascismo attraverso la non violenza.
Timido, riservato, sensibile, profondamente rispettoso e dotato di grande tenacia e senso del dovere, Bassanesi era convinto che con le “buone maniere” si potessero fare grandi cose. La sua lotta personale contro la dittatura era cominciata già nel 1928, un anno dopo il suo espatrio in Francia, quando aveva interrotto una rappresentazione teatrale del fascista Pietro Mascagni lanciando sulla platea volantini inneggianti alla libertà.
Ma è con il volo su Milano che Bassanesi diede il suo schiaffo morale a Mussolini. In seguito alla caduta sul San Gottardo e al suo arresto, Bassanesi venne sottoposto ad un processo sia per volere della giustizia elvetica perché con il volo in territorio svizzero era stato fatto un attentato alla sicurezza del paese, e sia per volere del regime fascista che intendeva dare una lezione a tutti i fuorusciti.
I dirigenti di Gl intervennero per assumersi la responsabilità politica del gesto e far conoscere così l’organizzazione al mondo intero, come si può leggere in una lettera che Rosselli scrisse a Dolci: «L’impresa è superba e passerà alla storia non solo dell’antifascismo. L’incidente finale doloroso non è dannoso. Al contrario. Rivela i rischi dell’impresa, sottolinea l’audacia, circonda il volo di un alone romantico. […] Bisogna fare il possibile per avvertire Bassanesi che è venuto il momento … per rivendicare la responsabilità dell’impresa, per affermarsi milite di G. L. La stampa italiana, che sinora ha fatto la congiura del silenzio, sarà forse costretta a parlare del nuovo nostro movimento…».
E difatti i giornali, non solo italiani, ma del mondo intero, si lanciarono sulla notizia con grande clamore dividendosi ben presto tra sostenitori e denigratori degli imputati. Tra tutti La Squilla Italica e il Popolo d’Italia, quotidiani di proprietà del Duce, furono gli organi che maggiormente levarono la voce invocando la massima severità nell’inevitabile processo. Libera Stampa, l’organo dei socialisti ticinesi, al contrario, preferì rivolgere un appello ai magistrati che avrebbero dovuto processare Bassanesi e i suoi compagni: «Ammettiamo che la legge colpisca. Ebbene, signori giudici ticinesi, colpite ma non disonoratevi nell’insulto. E colpendo scopritevi il capo, perché il giudicabile è più alto dei suoi giudici…».
Mussolini sperava che il processo si mantenesse in un ambito strettamente giuridico così da non toccare la sfera politica, ma non aveva fatto i conti con il collegio difensivo, costituito da avvocati svizzeri e francesi di ogni credo politico, e soprattutto con i testimoni che avrebbero parlato in favore di Bassanesi: tutti i nomi più illustri della lotta antifascista e dell’esilio. Come Carlo Sforza, ministro degli Esteri dal 1920 al 1922, costretto all’esilio per alcune minacce rivoltegli dagli squadristi fascisti, e Filippo Turati, padre del socialismo italiano, che nel 1926 era riuscito a fuggire in Francia grazie all’aiuto di Rosselli.
Da semplice processo per contravvenzione si trasformò ben presto in un vero e proprio atto di accusa al Fascismo che si concluse, per la gioia degli imputati, con la loro quasi completa assoluzione. I giornali italiani, che tanto avevano dibattuto sull’argomento, furono i soli a mantenere un rigoroso e funereo silenzio sulle udienze, mentre la stampa estera si sbizzarriva con i commenti sul “processo contro Mussolini”.
Rosselli a proposito dirà in seguito: «È raro che nei processi il giudizio dei magistrati coincida con quello degli imputati. Eppure oggi il miracolo si è verificato. I giudici hanno sentito che la nostra passione, la passione del nostro Bassanesi, scaturiva dalle loro stesse esigenze, dallo stesso immenso amore per la Giustizia e per la Libertà». Bassanesi aveva vinto la sua sfida contro il fascismo.
La fine ingloriosa di un eroe
Nebiolo ci permette di effettuare un’analisi approfondita su Bassanesi e sul contesto storico in cui è vissuto anche grazie ai numerosi documenti che accompagnano la narrazione. Sono atti processuali, fotografie, lettere, telegrammi, molti dei quali estrapolati dai fascicoli dell’Ovra, la polizia politica segreta creata da Mussolini e fondata a Milano nel 1927, e dei vari ministeri dell’epoca.
Le spie dell’Ovra, in particolare, seguirono costantemente Bassanesi in tutti i suoi spostamenti, arricchendo il suo dossier con informazioni sempre nuove e dettagliate, alcune delle quali però palesemente inventate, come quella che dava per certa una imminente spedizione di Bassanesi in Italia. In ogni caso la mole impressionante di notizie raccolte dall’Ovra è indubbiamente rivelatrice dell’interesse che il regime nutriva per lui. Eppure quando questo militante dall’animo nobile scomparve, nel dicembre 1947, a soli 43 anni, quasi nessuno se ne interesserò, eccetto un quotidiano, L’Italia Socialista, che gli dedicò però solo un trafiletto contenente, tra l’altro, alcune imprecisioni. Nulla in confronto alla gloria che suscitano i nomi di Carlo Rosselli, ucciso insieme al fratello Nello nel giugno del 1937 dai servizi segreti fascisti, o di Lauro De Bosis, critico letterario precipitato in mare dopo aver effettuato un raid su Roma.
Nebiolo sottolinea in particolar modo la cattiveria e l’indifferenza che gli riservarono i suoi vecchi “amici”, perfettamente racchiuse nelle parole di Dolci: «In un certo senso meglio sarebbe stato per lui e per noi che Bassanesi fosse rimasto fra i rottami dell’aeroplano, sul San Gottardo, fra le nubi che lo avevano perduto. Quello che avvenne dopo portò lo stigma della follia che lo rese in pochi anni estraneo a tutti noi».

Valeria La Donna
(direfarescrivere, anno III, n. 20, agosto 2007)
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