Anno XXI, n. 234
settembre 2025
 
La recensione libraria
Le parole che ci abitano:
emozione e identità in un saggio
sulla grammatica dell’anima
Per Pellegrini, Petralia pone
il cuore al centro del linguaggio
di Ivana Ferraro
Leggere Grammatica emozionale. Viaggio dentro le parole (Pellegrini editore, pp.164, € 15,00) di Dino Petralia significa abbandonare sin dalle prime righe ogni preconcetto sulla lingua come sistema rigido, codificato, impersonale. Questo non è un saggio che spiega le regole del parlare corretto, né una guida alla norma. È, piuttosto, un libro che scava nel profondo della nostra relazione affettiva con le parole, una grammatica come biografia collettiva, fatta di esperienze, immagini, battiti.
Petralia costruisce un libro che sembra parlarti all’orecchio. Non alza mai la voce, non pretende l’autorità della disciplina, ma invita alla scoperta delle parole come stanze dell’intimità. Ogni voce, ogni definizione, è scritta come fosse una carezza. Non è un caso che l’autore selezioni solo alcuni termini – è una scelta poetica, quasi curatoriale, come se ci guidasse in un museo affettivo dove ogni parola è una reliquia personale ma anche condivisa.

Il lessico come luogo delle emozioni
Ciò che colpisce in profondità è il modo in cui Petralia riesce a far vibrare le parole. Non sono mai solo significanti. Sono involucri emotivi, veicoli di memoria, a volte dolenti, a volte lievi come la risata di un bambino. Alcune voci sono affrontate con tono meditativo – si sente quasi il respiro trattenuto dell’autore – altre invece con un’ironia sottile, gentile, mai graffiante. È come se ci suggerisse: «Anche la grammatica può essere tenerezza».
Ad esempio, nel parlare di “assenza” non si limita alla sua definizione astratta, ma ne indaga il peso corporeo, il rumore che fa nei giorni feriali, quando qualcuno non c’è più. Oppure, quando tocca parole come “abbraccio”, si avverte non solo il gesto fisico, ma tutta la storia di ciò che abbiamo cercato in quell’atto: protezione, resa, affetto. Il linguaggio qui non è mai neutro. È carne, pelle, e soprattutto eco.

Stile, ritmo, struttura: una scrittura che respira
La prosa di Petralia è limpida, ma non piatta, sarcastica quanto basta per dissolvere i limiti canonici di desuete rigide regole di una grammatica prescrittiva di un tempo che fu. Scorre come un dialogo interiore, quasi come se ogni voce fosse una lettera mai spedita. Ogni parola è un punto di partenza, non di arrivo. Non c’è pretesa di esaustività, e questo è uno dei punti di forza del libro. La struttura aperta, fatta di lemmi scelti con cura e accompagnati da riflessioni ora intime ora sociali, invita il lettore a continuare da sé, a scrivere la propria grammatica emozionale, a interrogarsi su quali parole ci rappresentino di più.
Non è solo un esercizio di stile, ma una vera pedagogia del sentire. Chi legge viene accompagnato per mano in un processo di riappropriazione della lingua: non quella della performance, non quella dei social o del marketing, ma la lingua che ci ha cresciuti, nutriti, feriti. Il libro ci chiede – senza mai imporlo – di riconnetterci a quel fondo affettivo che sta sotto ogni nostra frase.

Un libro che è anche un invito
Il maggior merito di Grammatica emozionale è forse questo: il suo non voler essere definitivo. È un’opera che non chiude, ma apre. Non chiama a raccolta regole, ma sentimenti. Non detta, ma ascolta. In un’epoca che ha svuotato le parole di peso e senso, Petralia prova a restituire loro densità e calore. E lo fa senza retorica, con la sobrietà di chi ha conosciuto la vita nei suoi esigui dettagli e conosce la delicatezza necessaria per nominare ciò che ci tocca davvero.
Non è un libro che si legge in una volta sola. È da tenere accanto, come un quaderno d’appunti dell’anima. Da rileggere quando le parole sembrano tradirci, o quando abbiamo bisogno di ricordare che una sola parola – detta bene, sentita fino in fondo – può cambiarci il giorno, a volte persino la direzione.

Una grammatica per essere umani
Grammatica emozionale è un atto d’amore verso la lingua. Ma è anche, e forse soprattutto, un atto d’amore verso gli altri. Ogni parola descritta non è solo un’unità linguistica, ma una possibilità di connessione, un ponte, un varco.
È raro oggi leggere libri così rispettosi del lettore, così capaci di toccare il cuore senza manipolarlo. Dino Petralia non insegna a parlare: insegna a sentire parlando, e a parlare sentendo. E ci ricorda – in ogni pagina – che, se torniamo a prenderci cura delle parole, potremo forse tornare a prenderci cura anche gli uni degli altri.

Ivana Ferraro

(direfarescrivere, anno XXI, n. 234, settembre 2025)
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