Anno XXI, n. 227
gennaio 2025
 
La recensione libraria
Pier Paolo Pasolini e la sua tensione
fra il bisogno di riferire la verità
e la responsabilità delle conseguenze
Per Armando, Chiaretti mostra
le sfumature dell’intellettuale friulano
di Ivana Ferraro
Una delle figure più complesse e controverse del panorama culturale italiano del XX secolo, Pier Paolo Pasolini, noto per il suo impegno intellettuale, artistico e politico, viene ritratto con una profondità che sfida le interpretazioni convenzionali e riduttive. Maria Luisa Chiaretti con il suo libro Pier Paolo Pasolini. Il coraggio di essere se stessi (Armando editore, pp. 188, € 12,00) ci offre un’analisi dettagliata del poeta, regista e scrittore friulano, mettendo in evidenza non solo la sua produzione artistica, ma anche il suo coraggio nell’essere fortemente coerente con se stesso in un mondo che, spesso, lo ha osteggiato, frainteso e condannato.

Un uomo controtendenza
Il libro si distingue per la capacità e l’abilità di Chiaretti di combinare un’approfondita ricerca storica con un’analisi critica dettagliata e minuziosa che non si limita a celebrare l’opera di Pasolini, ma ne esplora anche le contraddizioni e le sfide personali.
L’autrice non cade nella trappola di una narrazione agiografica; al contrario, evidenzia come egli abbia affrontato costantemente il dissenso, sia all’interno del contesto politico che in quello culturale.
Pasolini lo fa sin dalla giovanissima età, dai tempi della scuola materna, in cui rifiuta nettamente di frequentarla perché troppo restrittiva rispetto ai suoi canoni di bambino arguto, ma sincero che non vuole «più scavare la terra per trovare il tesoro» come le suore ingannevolmente gli avevano detto per mantenere la scolaresca tranquilla e, soprattutto, sotto piede gerarchico.
E non solo. I sentimenti di repulsione, di rigetto che la scuola fascista “instillava” nello scolaro erano tanto più forti quanto più stringenti erano le regole a cui i Giovani Balilla si sarebbero dovuti attenere. «La didattica era tesa a rendere intrinseca l’obbedienza alla norma», si legge nel testo, un dettame a cui il poeta, in qualità di figlio di un ufficiale fascista, non molto facilmente si sarebbe attenuto.
Le sue posizioni scomode e la sua ostinata e affannosa ricerca di verità, anche quando ciò significava andare contro le ideologie dominanti o i conformismi di sinistra, emergono come tratti distintivi di una personalità straordinariamente complessa e poliedrica. Chiaretti descrive con grande lucidità come, attraverso il suo cinema, la sua poesia e i suoi scritti, Pasolini abbia cercato di risvegliare le coscienze, anche a costo di alienarsi una parte dell'opinione pubblica.

Un’affannosa ricerca identitaria
Uno degli aspetti più salienti dell’opera di Chiaretti è l’approfondimento del tema dell’identità. Egli viene esplorato, analizzato non solo come una questione personale attinente all’uomo in quanto tale, ma anche come un dilemma esistenziale e politico. Il poeta non ha mai smesso di interrogarsi e di mettere in discussione i ruoli imposti dalla società, dalle istituzioni e dalle ideologie.
Chiaretti analizza come l’artista abbia continuamente sfidato le norme sociali e culturali del suo tempo, sia attraverso la sua rappresentazione della sessualità che nella sua visione della marginalità. L’autrice mostra come abbia affrontato con coraggio e determinazione le sue battaglie personali, rifiutando ogni tipo di etichettatura e scegliendo di vivere e di esprimersi senza compromessi.
Il tema del coraggio, per Pasolini, non rappresenta solo una qualità morale, ma un vero e proprio modus vivendi. In un passaggio cruciale del libro, l'autrice scrive: «Pasolini sapeva che essere sé stessi, nel contesto di una società omologante e repressiva, significava pagare un prezzo altissimo. Eppure, nonostante questo, egli non ha mai abdicato alla sua integrità, scegliendo sempre la strada più impervia, quella dell'autenticità».
Questa riflessione cattura l’essenza di Pasolini, un uomo che ha vissuto in costante tensione tra la sua incombente necessità di esprimere la verità e la responsabilità consapevole delle conseguenze di tale espressione. Basti solo richiamare alla memoria il “Getsemani” giudiziario a cui fu sottoposto per la diffusione della malevola accusa di omosessualità e atti osceni commessi su minori. Da qui, il licenziamento immediato dall’istituzione scolastica a cui apparteneva e l’espulsione ipocrita dal Partito comunista.
Infatti, nelle pagine che conformano il libro, Chiaretti non si limita a descrivere il coraggio di Pasolini come una qualità astratta, ma lo connette alle sue opere e alle sue scelte di vita. Ogni gesto, ogni parola di questo intellettuale, emerge come una sfida aperta ai poteri costituiti, una sfida che spesso lo ha portato a essere frainteso, isolato e, infine, perseguitato e punito. L’autrice cita a questo proposito un brano tratto da un’intervista in cui lo stesso afferma: «Ho sempre saputo di andare incontro all'odio degli altri, perché ho scelto di dire ciò che penso, anche quando questo è scomodo. Non posso fare altrimenti, perché è nella mia natura».
La scelta di non piegarsi mai al compromesso è ciò che lo rende una figura tragicamente eroica, un uomo che ha preferito la solitudine dell’integrità alla comodità del conformismo. Chiaretti analizza con profondità anche il rapporto tra Pasolini e il potere, mostrando come l’intellettuale abbia sempre mantenuto una distanza critica nei confronti di ogni forma di autorità, da quella politica a quella religiosa, fino a quella culturale.

La dimensione pedagogico-educativa pasoliniana
«Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. È un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù».
È sincero e profondamente onesto, non volgare, né dissimulatore di una realtà tangibile, sofferente ma vera e autentica. Non fatica in alcun modo nella descrizione della stessa, avvertendo intimamente di farne parte ma di ripudiarla in quanto fondata su principi esilaranti del non essere, dell’apparire per poter essere, sottraendo le nuove generazioni a un futuro incapace di reggere un presente in cui, come l’autrice descrive abilmente, le istituzioni sociali più importanti, quale ne è la scuola non ne colgano le opportunità e ancor peggio non né accolgano le sfide.
La paideia pasoliniana resta inequivocabilmente un esempio lungimirante e immarcescibile per tutti coloro i quali avvisassero la necessità di stare bene su questo universo senza pregiudizi e senza legami forti con il proprio sistema di credenze, accogliendo a braccia tese l’Altro. L’autrice è riuscita mirabilmente e con dovizia di particolari a esserne stata un’interprete eccellente e rigorosamente chiara ed esaustiva per cui se ne consiglia vivamente la lettura, sia per chi non è un’educatrice e/o un educatore, ma ancor di più per chi lo è.

Ivana Ferraro

(direfarescrivere, anno XXI, n. 227, gennaio 2025)
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