Anno XX, n. 222
luglio 2024
 
La recensione libraria
Quattro giri di giostra bastano
per ridere, commuoversi, pensare
alla vastità della propria esistenza
Per La Vita Felice, Cetta Brancato raccoglie
versi armonici su amore, morte e femminile
di Maria Chiara Paone
«La poesia salverà il mondo»: con questo titolo è conosciuta The World Below the Brine, una composizione del celebre Walt Whitman e come poter dargli torto?
Al contrario della compagna prosa, sebbene questa sia “accettata” universalmente di più nel settore delle vendite, la poesia ha la particolarità di essere tanto rigidamente costruita quanto straordinariamente libera di raccontare, in pochi versi, una storia, un’emozione e di esprimerla in un modo inedito ogni volta.
Questo accade con Giostre (La Vita Felice, pp. 144, € 14,00), una raccolta scritta da Cetta Brancato e facente parte della “scuderia letteraria” di Bottega editoriale. L’autrice non è sicuramente alle prime armi con la scrittura: infatti ha all’attivo sia opere per il teatro che per il cinema, oltre a una vasta esperienza nella narrativa. Questa è la sua seconda esperienza con la materia poetica – la prima risale all’anno precedente, con L’amore all’inferno (Edizioni Le farfalle, pp. 88, € 13,00) – ma, attraverso la lettura, emerge la consapevolezza della sua capacità stilistica.

Quattro movimenti: primo e secondo
La raccolta, come viene annunciato nella Nota di lettura, non è univoca e compressa in un unico motivo, ma è cadenzato «come in un tempo musicale, segue l’andamento di una giostra», presentando quattro grandi aree, contenenti trenta liriche ciascuna, ognuna ben distinta dal suo tema.
Si parte con L’infiammato sorridere, in cui viene esposto il tema del femminile: un dialogo lucido e ben rappresentato; una «confessione», come vuole definirla l’autrice, di un intero genere – magari della stessa Brancato – in cui sono presentate le complesse situazioni cui la donna, giorno dopo giorno, si ritrova ed è obbligata giocoforza ad affrontare. Dalla differenza ancestrale tra uomo e donna, paragonati a periodi storici e letterari («Nell’uomo c’è/un oscuro medioevo/che non tace./In me/il rinascimento/di una stella») alla voglia di maternità non sempre soddisfatta («gemmo senza primavere»), fino ad arrivare alla conferma di una complessa dualità che alberga nel cuore di ogni donna, possibile incarnazione della più grande delle bontà o della più tremenda delle vendette («Sono stati roghi quotidiani/in cui si è strega o madre./Comunque in qualche fuoco:/il rogo o il focolare»), in bilico tra Maria e Medea. Tuttavia, nonostante le debolezze che possono colpire nel quotidiano, rimane salda la consapevolezza di sé, di quell’anima che certamente non verrà ceduta mai a nessuno.
Segue Stormi d’incontro, in cui è presente in maniera preponderante il tema dell’amore, quello tragico e che, troppo presto, termina.
Qui predominano sentimenti certamente meno positivi: la passione è presente, ma solo nel ricordo delle notti passate, che non torneranno una seconda volta («angelo etereo/d’una sola volta»); gli amori perduti e finiti sono certamente amari e colmi di nostalgia e rimpianto, associati anche stavolta al fenomeno della gravidanza («Sei immane gestazione/da cui non nasce figlio./Eppure vivi,/d’altra vita, in me»); le similitudini diventano sicuramente più sgradevoli in alcuni punti poiché testimonianza di negazioni e malesseri («come pustola/purgo nostalgia»).

Quattro movimenti: terzo, quarto e un bonus
Come terza sezione troviamo L’ultimo giro di grazia, in cui si esprime un’inedita posizione nei riguardi della stessa poesia, in cui sembra quasi esporsi un esercizio non solo stilistico ma concettuale: qui, infatti, la poesia viene vista in maniera disincantata («Nulla è serio./Bisogna fermarsi/prima che qualcuno/chiami poesia/il tuo zoppo vivere»), lontana dalla purezza che le viene attribuita e portatrice di «vane storie», con niente in comune di quella concepita da Lucrezio, come farmaco che lenisce i dolori. Tuttavia è vista anche come nido, «culla/per non morire», e strumento con cui fare attenzione a ciò che accade intorno a noi, per segnalare e denunciare al resto del mondo, in un’ultima testimonianza («Bisogna che sull’uscio/il cane della poesia/sorvegli il vivere./E ringhi, quando/gli occhi dormono»).
Nell’ultimo movimento, Nella polvere del circo, si snoda il tema della morte, in ogni forma possibile: un tema che appartiene alla cultura siciliana, in cui l’autrice è nata e in cui ancora vive.
Molti i riferimenti, da quelli legati alla religione («l’innocente figlio dell’Uomo» avuto in astio da tutti) a quelli dei miti, con i famosi dialoghi tra morti in cui emerge un realismo assolutamente crudo nella loro rappresentazione («Privi di denti,/brucano l’anima/con la feroce insolenza/degli agnelli»); dall’idea di inferno e paradiso, quasi indistinguibili («Il mio inferno fonda la luce/negli occhi dei giacinti/e nel tremare delle rondini./Braccata da nausea di paradiso,/ne riconosco i virgulti di fuoco./Sopravvive insufficiente tepore/all’agonia delle belle stagioni»), fino al terrore per l’assoluta dimenticanza, vera condanna dopo una lunga esistenza («In grazia di sorrisi,/so di non essere/mai stata al mondo»).
In chiusura della raccolta una lirica in memoria di Pasolini, in una cruda rievocazione della sua morte, con cui la Brancato dedica implicitamente al poeta l’intera sua opera, affidandola al suo “tocco” e, forse, sperando in una sua benedizione.

Una musicalità comune
Nonostante le tematiche così differenti, lo stile comunque univoco dell’autrice si percepisce; nell’utilizzo della rima libera che, tuttavia, sembra rispettare la metrica attraverso la scelta accurata delle parole, pregne di simbolismo.
Nella lettura sembra quasi di trovarsi in una danza ossimorica di figure retoriche e immagini che sembrano scontrarsi, ma al tempo stesso consapevoli di essere guidati da qualcuno verso quei movimenti caotici, stimolati semplicemente dalla fantasia dell’autrice che in tal modo dimostra la sua bravura nel riuscire a stregare, portando a una riflessione univoca su quanto il mondo stesso sia così: disordinato, ma capace di mostrare bellezza in ogni spiraglio.

Maria Chiara Paone

(direfarescrivere, anno XV, n. 157, febbraio 2019)
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