Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
La recensione libraria
Un excursus storico dei giubilei:
una corrente alternativa di pensiero
che segue da vicino scrittori e poeti
La visione laica di un evento religioso,
in un interessante saggio da Editrice La Scuola
di Luciana De Palma
Impossibile lasciarsi sfuggire l’occasione di osservare il Giubileo della Chiesa cattolica con occhio artistico, sociale, culturale e politico, oltreché, ovviamente, religioso: la sua specifica connotazione di evento antropico rende la sua sostanza intrinsecamente legata alla sfaccettata varietà di punti di vista, stimolati dalla portata dello stesso e dalla sua inevitabile influenza sul pensiero e sull’esistenza di donne e uomini, laici o credenti che siano.
Fin dal suo principio, nel febbraio del 1300, molti poeti, scrittori, filosofi e pensatori in genere se ne sono occupati, fendendone di netto, nelle loro opere e nei loro scritti, il valore proposto dall’ufficialità del Vaticano, per cercare un significato diverso, alternativo, forse più profano, ma meno distante dalla tangibile esperienza dei singoli esseri umani.
Ed ecco che accanto ai pellegrini si muovono persone di ogni livello sociale, toccati, direttamente o meno, dall’inevitabile pratica di tutto ciò che un Giubileo religioso porta con sé.
Allora, raffreddato il magma ribollente dell’evento, reso incandescente dalla suggestione spirituale, dalla devozione e dal calore della fede, molti scrittori, già a partire dal XIV secolo, con questa materia duttile e nello stesso tempo resistente, hanno forgiato considerazioni che, valicando il tempo in cui sono state scritte e pubblicate, riescono ancora oggi a provocare dilemmi nel pensiero e audaci pretesti per percezioni alternative.
Nel libro Giubileo d’autore. Da Dante a Pasolini: gli Anni Santi degli scrittori (Editrice La Scuola, pp. 144, € 12,50) l’autore, Marco Roncalli, guida il lettore in un’interessante quanto agevole esplorazione dei risvolti culturali del Giubileo, selezionando, in un ampio arco temporale, un’incredibile varietà di prospettive, di linguaggi e di riverberi filosofici, sottesi alla prodigiosa portata umana dei diversi giubilei.

Gli autori del Trecento
Suddiviso in diciassette capitoli, il libro segue una scansione temporale che riflette una lucida e impeccabile successione di eventi storici e culturali, così come sono accaduti nella progressione simultanea dei giubilei e delle opere ad essi connesse.
L’autore al cui pensiero circa il Giubileo siamo introdotti è Jacopone da Todi che, in una delle sue Laudi, lancia un’invettiva proprio contro Bonifacio VIII, artefice e promotore del primo Giubileo, nel 1300: il papa, di contro, dopo averlo scomunicato, lo condanna anche alla prigione, segno indubbio dell’intento politico più che religioso del suo pontificato.
Qualche pagina dopo siamo edotti circa il fatto che fu Dante, in un sonetto della Vita nova, a descrivere i tre principali tipi di pellegrini: i «palmieri», diretti in Terra Santa, i «peregrini», il cui viaggio è finalizzato a raggiungere il santuario di Santiago di Compostela, e i «romei», diretti invece a Roma. Dallo stesso Dante, proseguendo la lettura, si apprende che la genesi della sua Commedia va rintracciata proprio nell’occasione del primo Giubileo: il viaggio prodigioso che il poeta simbolicamente svolge tra l’8 e il 15 aprile del 1300 è concomitante, infatti, con quel primo Giubileo. Infine, anche Dante, come Jacopone da Todi, non rinuncia a scagliare espressioni di amarezza e di avversione verso papa Bonifacio VIII: è necessario, decreta il poeta, distinguere tra colui che ha indetto il Giubileo e quello che egli, tra gli esseri umani, rappresenta.
Non meno incuriosito dal Giubileo, questa volta del 1350, fu Petrarca, il quale descrisse l’atmosfera che il pellegrino diretto a Roma troverà nell’Urbe, una volta giunto a destinazione: una città in rovina, in preda allo scompiglio e alla confusione, e privata del papa, relegato allora ad Avignone. Petrarca, inoltre, adotterà la metafora del pellegrino per definire sia l’irrequietezza di chi affannosamente va in cerca dell’amata sia il desiderio di contemplarne il volto, proprio come il pellegrino che brama vedere il volto della Veronica.
Di Brigida di Svezia, futura santa e compatrona d’Europa, che fu a Roma contemporaneamente a Petrarca, sono rievocate, in quest’opera, le ardenti e imperiose invettive, rivolte contro la diffusa immoralità e l’immensa avidità dei romani.

Il periodo dell’Umanesimo
Con l’avvento dell’Umanesimo anche la prospettiva del Giubileo muta, arricchendosi di ulteriori sfumature artistiche ed intellettuali: il papa di quest’epoca, Niccolò V, assegnò agli scrittori un ruolo eccezionalmente rilevante rispetto a quello rivestito dagli ecclesiastici contemporanei, affidando loro il compito di tradurre le opere antiche e di concepirne di nuove. Il Giubileo del 1450, o Giubileo dell’Umanesimo, pone così le basi per la nascita della Biblioteca apostolica vaticana.
Interessante è il riferimento, nelle ultime pagine del quarto capitolo del testo di Roncalli, al poeta Janus Pannonius, i cui versi sono integralmente riportati: in una curiosa quanto severa composizione poetica, egli da un lato deride i pellegrini che, muovendo verso Roma, sono preda di superstizioni e di rischi fisici, oltreché di danno economico, dall’altro sottolinea l’assoluta divergenza tra il poeta, con la sua fervente vita intellettuale, e il credente, con la sua modesta visione del mondo. Nell’ultimo verso della composizione leggiamo: «Nemo religiosus et poeta est», laddove il termine religiosus serve soprattutto a denotare la sfera della sciocca scaramanzia che ingabbia, troppo spesso, la mente del pellegrino.
Dal 1475, sfruttando l’invenzione di Gutenberg, i papi, e non solo, si avvedono delle immense possibilità economiche e politiche di una stampa ampiamente diffusa: da questo momento in poi iniziano a diffondersi le prime pubblicazioni di mappe e di opuscoli ad uso e consumo dei pellegrini che, arrivando a Roma, necessitano di ricevere quante più informazioni possibili circa i rituali del Giubileo, le strade e gli ostelli in cui fermarsi a dormire.
Parallelamente alla diffusione della carta stampata procede anche la divulgazione di libri e di scritti che vertono sull’imbarazzante questione della vendita delle indulgenze.
Nel 1500, Johannes Burckardt, cerimoniere pontificio, scrisse il Diario della curia romana, tratteggiando in modo preciso e puntuale l’esatta sequenza del rituale dell’apertura della Porta Santa, rispettato da allora fino al 1975.

Dal Cinquecento al Novecento
Cinquant’anni più tardi il Giubileo si celebrò in un clima politico e religioso profondamente mutato: la Riforma luterana, decretando la definitiva spaccatura con la Chiesa di Roma, incide intensamente nelle coscienze e nel pensiero del tempo. Ecco, quindi, un gran numero di versi e di opere satiriche che imperversano in quegli anni, istillando un sentimento di sfida e di cambiamento.
Il poeta Francesco Berni, di Pistoia, è un esempio dell’irrequietezza intellettuale che connotò il Giubileo della metà del Cinquecento: con molto disincanto egli s’interroga, in una divertente quanto pungente poesia, sui motivi dell’andare a Roma. Degni di nota sono i versi conclusivi del suo componimento, un’autentica esplosione di miscredenza e di canzonatura: «Dunque chi si ha a chiarire / dell’immortalità di vita eterna / venga a Firenze nella mia taverna».
Lo scultore Michelangelo, cavalcando insieme all’amico Vasari e con lui conversando di arte, dichiara invece la propria felicità per aver ottenuto un doppio perdono nell’anno giubilare; tale contentezza divenne poi il tema di uno dei suoi sonetti.
Anche il poeta Torquato Tasso sperimenta l’influenza del Giubileo del 1575 sulla propria opera di scrittura e, cinquant’anni dopo, il beato Tommaso da Olera utilizzerà la stampa per diffondere, in pieno clima di Controriforma, il rinnovato valore spirituale del Giubileo di cui è contemporaneo.
Cent’anni dopo ritroviamo il drammaturgo Goldoni che si recò a Roma nei mesi del Giubileo e per l’occasione compose una poesia di delicata partecipazione spirituale, contraria, per contenuto e opinione, a ciò che Voltaire pensava e scriveva dello stesso evento, utilizzandolo come pretesto per sferzare sciabolate di derisione contro il più grandioso sacco perpetrato dalla Chiesa contro le ricchezze e la buona fede dei semplici fedeli.
In occasione del Giubileo del 1825 il poeta Belli indirizza un suo irriverente componimento, redatto in romanesco e intitolato L’Anno Santo, all’amico e incisore Pinelli: i suoi versi, riportati nel libro di Roncalli, veicolano con potenza dissacrante tutta la portata di una visione laica e oggettiva della circostanza sacra.
Qualche tempo dopo, ad Oscar Wilde, tornato in libertà dopo un’orribile detenzione, soggiornando a Roma durante il Giubileo, capitò d’incontrare uno sconosciuto che gli chiese se avesse gradito vedere il papa il giorno seguente; immaginiamo quanto l’eccezionalità di questo fortuito incontro deve aver riecheggiato nel pensiero di uno scrittore anticonformista per antonomasia.
Pasolini, di cui si citano alcuni scritti in prosa, è l’ultimo importante autore di cui Marco Roncalli si occupa, riportando stralci di un pensiero lucido e nello stesso tempo straziante circa il valore e il significato non solo del Giubileo, ma anche della fede tutta.

Uno sguardo ai nostri giorni
Nelle ultime pagine del libro, Roncalli concentra la sua attenzione sugli anni che vanno dal 1983 al 2000, sottolineando, senza menzionare particolari autori, l’ulteriore cambiamento del senso attribuito al Giubileo che, da evento schiettamente rispondente ad esigenze di fede e di rinnovamento spirituale, diviene occasione di riflessione laica, commisurata alla funzione di punto di congiuntura tra i diversi popoli più che tra le genti e l’imperscrutabile divinità trascendente.

Luciana De Palma

(direfarescrivere, anno XII, n. 124, aprile 2016)
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