Anno XXI, n. 231
maggio 2025
 
La recensione libraria
L’intima ricerca di un poeta musicista
in bilico tra incanto e disincanto,
bellezza estetica e profondità d’animo
Una straordinaria varietà di temi ed emozioni
in versi intensi e vividi. Da Mohicani edizioni
di Luciana De Palma
Nella sua ultima raccolta di poesie, Alessio Arena riesce ad armonizzare una straordinaria varietà di temi con un’efficace intensità di prospettive e visioni, senza che alcuna pretesa moraleggiante si frapponga tra il piacere della lettura e l’originalità del pensiero espresso. Il giovane poeta e musicista palermitano affonda le mani in una materia vasta e sempre capace di suscitare interrogativi a cui seguono spunti di riflessione che non esauriscono definitivamente l’irrisolta questione del vivere e dell’agire di ogni essere umano.

Le complesse sfaccettature dell’animo umano
Dalla felicità al tormento, dalla nostalgia al disincanto, dal buio alla luce, in Discorsi da caffè (Mohicani edizioni, pp. 50, € 8,00), Arena non s’illude di costruire una gerarchia d’importanza tra queste categorie e stati d’animo, piuttosto preferisce vagare tra essi con il passo leggero e sciolto di chi ha accettato, e non se ne sottrae, le sfaccettate variazioni dell’esperienza umana. Si riconosce una grande onestà intellettuale nel far affiorare in superficie tutte le spigolosità di certi artefatti della mente, tutte le abbaglianti baldanze dell’anima, tutte le ondulate fattezze della coscienza che rende versatile e inafferrabile l’essenza stessa della vita.
Esplorando le humanae res, il poeta non cede mai alla tentazione di proporre risposte o di dare soluzioni; leggendo questi versi, infatti, si risveglia immediatamente nel lettore il desiderio di abbassare le proprie difese e di lasciarsi fendere dalle suggestioni che si affacciano e fioriscono nella nostra mente.

Un soffuso crepuscolarismo coniuga incanto e saggezza
Il ritmo, poi, incalza in una rima perfetta e apre varchi sempre più ampi e ariosi in cui il nostro sguardo s’affretta verso l’acme delle bellezza, verso il centro della riflessione, verso quel punto distante e mai definito in cui germogliano guizzi di ambizioni verso l’infinito.
In versi come «In sogno appresi / giustizia infinita / con fatti compresi / ben oltre la vita. / Siamo distanti / forse è follia, / stravolgere istanti / per farne poesia / da offrire ai tanti / servi d’ipocrisia» aleggia uno spirito di coraggio e di forza che non teme d’inseguire una chimerica quanto necessaria giustizia. In questi è inoltre sottinteso un interrogativo che il poeta rinvia al lettore, disdegnando risposte rassicuranti per evitare di sottrarre il vero dal bello: su quale versante, tra l’onestà e l’ipocrisia, abbiamo scelto di affondare le nostre più profonde radici?
Tutti i versi qui raccolti sono fluidi e leggeri, sono come le acque di un fiume caldo e ribollente che scava con dolcezza e in profondità, sondando le nostre coscienze. «Il suono avvertito è sempre lo stesso, / detta alla pelle sussulti e canzoni, / il solo intervallo che viene concesso / è subito offeso da immonde finzioni»: l’invito a scardinare le certezze che alla lunga lacerano l’anima, come tarli nel legno antico e pregiato, illudendola con lusinghe a ristagnare nel torpore dell’ignavia, passa meravigliosamente attraverso la plasticità di un suono, completamente puro, privo di asprezze e di affettazioni moraleggianti.
Nella poesia Discorsi da caffè, che dà il titolo all’intera raccolta, riecheggia un sapore vagamente crepuscolare, i cui versi riesumano certe sornione sonorità che alludono, consapevolmente o meno, a La signorina Felicita ovvero la Felicità di Guido Gozzano: «Considerami solo qualcosa da dire / tra il tè delle cinque e la messa di sera, / se proprio domani dovrò ripartire / ha senso che passi e ripassi la cera?».
In un’altra poesia leggiamo: «Se l’acqua fluisse contro ragione / dal suolo fin oltre la vile realtà, / si deriderebbe la disperazione / abbracciando dai fianchi la felicità». Non si può negare qui la melodiosa leggerezza che, eludendo il rischio della banalità, confluisce in una perfetta resa fonetica e lessicale che porta i segni di un’invidiabile saggezza.
Arena, infine, ci suggerisce, negli ultimi versi della poesia L’inchino, l’impossibilità di dire tutto e, insieme, la grandiosità del tentativo stesso: «Per non aver riprodotto / del tutto affondo / col suo dir limitato / i colori del mondo», strizzando l’occhio sulla comune quanto incredibile condizione umana.

Luciana De Palma

(direfarescrivere, anno XI, n. 120, dicembre 2015)
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