Il Novecento, anche chiamato “secolo breve” a causa della rapidità e della brutalità con cui si sono svolti eventi cruciali per l’intera umanità, è destinato a diventare per le nuove generazioni solo il capitolo di un libro di storia. Un’epoca decisiva che porta con sé gli orrori di due guerre mondiali, di dittature e di svolte storiche che hanno definito gli attuali assetti geopolitici. Ma che cosa si prova a vivere sulla propria pelle avvenimenti così tragici forse oggi non lo sappiamo più, abituati come siamo, soprattutto in Occidente, a poter dire sempre la nostra senza correre alcun rischio. Ciò che è accaduto in Italia durante il Fascismo e la Seconda guerra mondiale diventa sempre più un’eco lontana di ricordi sbiaditi. Ma è innegabile che chi invece ha combattuto in prima linea abbia quasi una necessità fisiologica di raccontare ciò che ha visto, fosse anche solo per esorcizzare quei demoni che continuano a torturarlo. Gli stivali di Varagnolo (Mohicani edizioni, pp. 104, € 10,00), l’ultimo libro di Pippo Bonanno, narra proprio di questo.
Generazioni a confronto
L’interessante struttura narrativa del flusso di coscienza viene contestualizzato in un’intervista che la giovane Artemide Biancucci, giornalista alle prime armi, fa al protagonista Venerino Priola. E il lettore viene trascinato dal protetto di Venere in una sorta di monologo su «Storie arcaiche, tristi, allegre, colorite ed infiocchettate di fantasia, raccontate come si raccontano ad una bambina che crede ancora alle favole… Modulate nel gesto, nella riflessione e nel tono musicale della voce. Recitate, appunto, come nel teatro. Una recita a soggetto, così come pare che piaccia a lei. Un gioco! Un gioco nel quale a nessuno di noi due è permesso di cercare la verità. Forse perché ognuno di noi pretende di avere una sua verità». È un vero e proprio confronto tra generazioni quello a cui assistiamo indirettamente attraverso la narrazione in prima persona. Ciò che il protagonista rivive è un passato dalla forte carica emotiva, e che per questo si trasforma in quel fiume di parole che inonda le pagine. Ma è percepibile un certo disagio nel momento in cui Venerino si rende conto che la ragazza in realtà vuole conoscere altro: non è interessata ai ricordi di guerra, preferirebbe che lui le raccontasse degli amori, perché è in quelle informazioni che è racchiusa la verità di cui lei vuole sapere.
Divagazioni emotive sulla guerra e sull’amore
L’autore riesce a ricreare in maniera estremamente realistica il pensiero frammentato che caratterizza il flusso di coscienza: «Ricordi! Ricordi ballerini! Affiorano a spezzoni. Si aggrovigliano, si sciolgono, si rincorrono, si perdono e si ritrovano. Corrono veloci su un filo senza logica, pesanti e senza peso. Avanti e indietro, fuori dalla dimensione del tempo». Una parola, una sensazione, e prende il via la rievocazione di particolari episodi che hanno segnato la giovinezza del protagonista. Ci ritroviamo quindi a empatizzare direttamente con l’inconscio del narratore, che saltella da un dettaglio a un altro in maniera del tutto irrazionale. Ma questo non impedisce di percepire il senso di orrore e paura che accompagnava quei giovani, tra i quali anche Venerino, che forzatamente venivano arruolati nelle ultime battute di una guerra sanguinosa: «Forse tornerai. Forse! E il ritornello dolce e amaro si ripeteva suadente, appassionato e perfettamente sintetizzava il senso di abbandono che accompagna la fine delle speranze». Ignari ragazzi catapultati in terrificanti scenari di morte, vessati e maltrattati per incutere in loro quella cattiveria che la guerra richiede. Un mondo nel mondo; per il protagonista attraversare lo stretto di Messina era stato come varcare la soglia di un portale di un mondo parallelo: «Macerie, pietrame, carri ferroviari sventrati e dovunque i segni della follia della guerra in desolante contrasto con l’eccezionale bellezza di un paesaggio stupendo». E agli orrori della guerra si mescolano i dolci ricordi delle avventure amorose, passionali, dolorose ma in ogni caso sinonimo di vita che, nell’errante immersione nei ricordi del protagonista, assumono un valore apotropaico; l’atto estremo di esorcizzare la morte.
Le verità che ognuno cerca
Quello che Bonanno propone con questo breve romanzo è un insolito viaggio nella memoria e nell’inconscio di un uomo che, oltre ai demoni della guerra, porta con sé segreti che pesano più di macigni, rimpianti e rimorsi troppo dolorosi per permettere loro di emergere. Ma il destino è pronto a giocare qualsiasi carta affinché si compia ciò che deve, e nel caso di Venerino è la giovane e bella Artemide. Un nome di finzione, lui lo sa, lo intuisce quasi subito; quella ragazza che gli siede di fronte è tanto misteriosa quanto bella. E, come un condannato che sa che la sua ora si avvicina, il protagonista continua con il tuffo in quel passato adulterato dallo scorrere del tempo. «Senza fretta! Sì, senza fretta! Posso attendere, perché non ho urgenza di sapere se lei è una creatura celeste, un angelo incaricato di raccogliere la confessione dei miei peccati per scaraventarmi all’inferno!». Il passato torna per chiudere i conti, forse per liberare un’anima dannata o forse per lasciare tutto com’è, perché in fondo ognuno ha una sua verità e farà di tutto per non alterarla.
Letizia Rossi
(direfarescrivere, anno XI, n. 116, agosto 2015) |