Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
La recensione libraria
E se l’immortalità fosse possibile?
La storia di Serge Voronoff, il medico
che trovò il mitico elisir di lunga vita
Da Infinito edizioni, un’intrigante autobiografia
sfida il tempo alla ricerca dell’eterna giovinezza
di Letizia Rossi
Il sogno dell’immortalità, di allontanare il più possibile la vecchiaia e la morte per condurre un’esistenza lunga e felice. La scoperta dell’elisir di lunga vita è un’idea che ha da sempre affascinato e continua tuttora ad affascinare. Tra pozioni magiche, miti e leggende c’è stato anche chi ha cercato di dare una risposta scientifica al quesito: esiste qualcosa in grado di allungare la vita dell’uomo?
Secondo il chirurgo Serge Voronoff, il segreto dell’eterna giovinezza risiede nelle ghiandole, nello specifico quelle sessuali: mantenerle in salute – con la conseguente produzione ormonale – consente di conservare vitalità e forza nel corpo, allontanando così le malattie e l’intorpidimento fisico e mentale tipico della vecchiaia. Ma lo sviluppo scientifico successivo ha dato solo in parte ragione agli studi di Voronoff, lasciando la figura di questo medico e scienziato ancora oggi avvolta da un alone di mistero. A questo punto diventa lecito chiedersi: ma chi era realmente Serge Voronoff? La risposta arriva da Enzo Barnabà col suo libro Il sogno dell’eterna giovinezza. Vita e misteri di Serge Voronoff (Infinito edizioni, pp. 208, 15,00 €).

Conoscere Voronoff attraverso le sue parole
Come si legge nella Postfazione in stile epistolare scritta dallo stesso Barnabà, il libro è una sorta di autobiografia incompiuta – quasi sicuramente l’ultimo scritto di Voronoff – consegnatagli da una donna che aveva lavorato a servizio del chirurgo a Villa Grimaldi durante il Primo dopoguerra. Data la mancanza di eredi diretti che ne potessero rivendicare l’appartenenza, l’autore ha ritenuto opportuno tradurre il manoscritto dal francese per rendere note le «straordinarie vicende del chirurgo franco-russo (ma anche un po’ italiano)» più controverso del Novecento.
Il libro si apre con il capitolo Voronež, la città in cui Voronoff è venuto al mondo e dalla quale ha preso il nome. Nato da una famiglia ebrea, Serge dimostra subito una personalità curiosa e creativa, dedita allo studio. Nel suo lungo peregrinare non ha mai rinnegato la propria identità, sebbene questa nel corso degli anni lo abbia costretto a esìli forzati e fughe. La prima, e decisiva, è quella che lo porta a Parigi poco più che diciottenne. È da qui che inizia la storia di Voronoff per come lo conosciamo. Comincia prestissimo a esercitare la professione di medico, dimostrando subito grandi capacità, che gli permetteranno di ricoprire il ruolo di chirurgo personale del kedivè d’Egitto. Ed è proprio al Cairo che, notando la conformazione fisica degli eunuchi e la loro tendenza all’invecchiamento precoce, Voronoff intuisce per la prima volta la correlazione tra il funzionamento delle ghiandole sessuali e l’invecchiamento. Ma è solo al suo ritorno in Europa che inizierà la vera e propria attività di ricerca e sperimentazione nel campo dei trapianti. La sua fama si diffonde rapidamente, grazie anche alla sua attrattiva mediatica, e con essa arrivano rivalità e asti professionali, in uno scenario storico lastricato di antisemitismo. Eppure Voronoff non si lascia intimorire dalle critiche e dalle vessazioni, non smette neppure per un attimo di portare avanti le proprie ricerche, continuando a sperimentare e a pubblicare i suoi studi.

L’elisir di lunga vita in un trapianto
L’attività più controversa di Voronoff è sicuramente quella dei trapianti testicolari. Fortemente convinto che la potenza sessuale sia la fonte della vitalità, inizia una serie di sperimentazioni dapprima sugli animali, e poi sull’uomo. La procedura, non essendo in quel periodo ammessa la donazione di organi umani, prevedeva come donatori di ghiandole sane le scimmie antropoidi. L’operazione avveniva simultaneamente sull’uomo e sul donatore in modo da poter trapiantare immediatamente porzioni di ghiandola, subito dopo l’estrazione. Dalle pagine dell’autobiografia emerge come il “metodo Voronoff” si sia rivelato un vero e proprio successo: tantissimi furono i trapianti e altrettante le testimonianze di ritrovata vitalità. La stampa del periodo ipotizzò anche interventi su alcune delle più grandi personalità dell’epoca, cosa né confermata né smentita dal «Frankenstein dei nostri tempi». Ma non fu solo la stampa a mostrare interesse per queste bizzarre operazioni; satira, letteratura, persino cinema e varietà furono contagiati dal fascino di Voronoff, utilizzandolo come spunto per vignette e canzoni umoristiche.

Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
Leggendo il libro di Barnabà scopriamo che Voronoff smise di operare nei primi anni Venti per dedicarsi alla ricerca sul cancro. Come mai questo repentino cambiamento di rotta dopo pagine e pagine di entusiasmanti reportages sui trapianti di testicoli? Potrebbe forse trattarsi di un’abile mossa dell’incantatore Voronoff per non rivelare verità scomode sulle sue ricerche? Il dubbio si insinua nel lettore, indotto a pensare, in modo del tutto legittimo, che il narratore non sia poi così affidabile come vuole far credere. È Barnabà, intervenendo con la sua lettera a Voronoff nella Postfazione, a mettere nero su bianco il fatto che quel serpeggiante sentore di incoerenza non sia poi così infondato. Ma a un ammaliante chirurgo come lui siamo disposti a perdonare questi peccatucci dettati dall’ego perché, in fondo, la sua attività ha aperto le porte a un aspetto di vitale importanza per la medicina moderna: le «banche d’organi».
Serge Voronoff è morto a ottantacinque anni in seguito alle complicazioni di una caduta; questo il limite di vita concesso a lui che affermava: «Non sono così sciocco da fissare limiti: ma è certo che cercherò di vivere più a lungo che sia possibile, e nel modo migliore, perché la vita mi piace». Ed è proprio grazie a queste parole che possiamo dichiarare che sì, Voronoff ci ha effettivamente rivelato qual è il segreto dell’eterna giovinezza.

Letizia Rossi

(direfarescrivere, anno XI, n. 112, aprile 2015)
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