Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
La cultura, probabilmente
La storia dei jeans dal Medioevo a oggi,
dalla nascita ai recenti tessuti biologici.
In un libro pubblicato da Mursia editore
Il capo d’abbigliamento più diffuso al mondo nasce in Italia
e diventa presto simbolo e mito, fino al boom degli Anni ’60
di Rosina Madotta
Il fustagno è suo nonno; il denim suo fratello gemello; il blu scuro il colore che lo caratterizza. Avremmo potuto trovare i suoi antenati indosso agli operai in fabbrica, ai contadini in campagna, ai minatori in miniera o ai cowboy nel Far West. È stato rappresentativo prima di lavoro, poi di rivoluzione, trasgressione e libertà. Le giovani generazioni ne hanno fatto il loro simbolo per eccellenza trasformandolo in un capo d’abbigliamento adatto in ogni occasione. Non è un indovinello ma il capo d’abbigliamento più diffuso e conosciuto al mondo: il jeans. E l’ultimo libro del giornalista e autore genovese, Remo Guerrini, Bleu de Gênes. Piccola storia universale dei jeans (Mursia, pp. 168, € 12,00) è un viaggio nella storia – non solo dei jeans ma anche dell’umanità – e ne tratteggia le tappe principali dai primi modelli di qualche secolo fa, ai jeans organici rispettosi dell’ambiente messi in commercio nel 2006.

L’inizio di una leggenda e la fortuna di Strauss, Lee e Wrangler
L’autore inizia il suo excursus storico con un ricordo: sono gli Anni Sessanta e, ancora giovanissimo, per procurarsi dei jeans deve recarsi in Sottoripa, la zona del centro storico di Genova nei pressi del porto dove sono allineate numerose botteghe dalle mille mercanzie. Molte vetrine espongono questo capo d’abbigliamento in tela robusta, rigidi come cartone e dall’etichetta con le scritte in inglese.
Per intraprendere il suo viaggio nel tempo e approfondire maggiormente l’origine del tessuto blu per eccellenza, Guerrini compie un balzo indietro nel Medioevo. È, in effetti, a partire dal XII secolo che il fustagno, tessuto misto di cotone e lana, economico, robusto e adattabile a molteplici usi, trova i suoi centri di maggiore sviluppo in Francia e soprattutto in Italia. Destinato alle vele delle navi o ai mantelli per signore, il fustagno – privilegiando il cotone – rappresenta la valida alternativa ai tessuti misti con un’alta quantità di lana e si può considerare un precursore del tessuto in jeans.
Ma dobbiamo attendere ancora qualche secolo per ritrovare un tessuto che si avvicini al nostro jeans. Siamo alla fine del Cinquecento quando, dalle banchine del porto di Genova, partono alla volta dell’Inghilterra numerose balle di fustagno contrassegnate da scritte con lo scopo di stabilirne la provenienza. E Jeans (dal termine francese Gênes) indica i tessuti provenienti dal porto ligure.
Remo Guerrini, da adolescente, nei retrobottega dei negozietti genovesi avrà sicuramente misurato i Levi’s, i Lee e i Wrangler: tre marchi ai quali è legata indissolubilmente la produzione, la diffusione e il successo riscosso – in tutto il globo – dai loro cuciti.
Ma quando nascono i Levi’s, i blue jeans più famosi al mondo? Il 20 maggio 1873 può essere considerata la loro nascita ufficiale. In questa data l’ufficio americano dei brevetti rilascia al commerciante di origine tedesca Levi Strauss di San Francisco, in California, e al sarto Jacob Davis, di Reno, nel Nevada, l’autorizzazione di produrre in esclusiva pantaloni di cotone pesante cuciti insieme, oltre che dai punti tradizionali, da rivetti metallici. Non sono ancora di colore blu ma marrone chiaro, si chiamano waist overalls; hanno la funzione di coprire il vestiario abituale durante il lavoro e proteggerlo dallo sporco. La Levi’s Strauss & Co. ha fin da subito una grande fortuna e, da una prima collaborazione con sarte e cucitrici che lavorano ognuna per conto proprio, passa alla produzione in un grande stabilimento, all’interno del quale trova vita il famoso – e ancora oggi commercializzato – “modello 501”.
Nel 1890, scaduto il brevetto, altri produttori possono liberamente realizzare calzoni simili in tutto e per tutto agli overalls di mister Levi.
Nel corso dei decenni successivi altri due personaggi s’interessano alla produzione dei jeans come abbigliamento da lavoro: mister Lee e mister Wrangler che producono i loro modelli di pantaloni e altro abbigliamento, come tute e giacchette, in cotone grezzo pesante.
All’origine dei jeans ci sono, dunque, l’esigenza di un indumento resistente e protettivo abbinata al lavoro manuale e pesante dei ricercatori d’oro e dei minatori, degli operai e dei contadini, dei meccanici e dei muratori.

Gli Anni Sessanta: nasce il termine “blue jeans”
La Grande Crisi del 1929 e la conseguente depressione economica, vede cambiare lo stile di vita di milioni di persone e il workwear (abbigliamento da lavoro) diventa abbigliamento da tempo libero.
Successivamente, negli Anni Cinquanta James Dean, protagonista del film Gioventù bruciata, ne fa simbolo di trasgressione sociale, culturale e sessuale.
Ma una piccola precisazione è doverosa. Il termine “blue jeans” non esiste ancora, non è ancora entrato in scena. Dobbiamo attendere gli Anni Sessanta quando dei nuovi consumatori, i teenager, entrano nei negozi d’abbigliamento e, per la prima volta, chiedono di vedere un paio di “blue jeans”. Nasce così, dopo quasi un secolo dal suo debutto ufficiale, il neologismo che distinguerà inequivocabilmente questo capo di vestiario.

Le tecniche dell’industria
Nell’ultimo capitolo del libro, l’autore offre un vero glossario di nozioni e di tecniche proprie del settore tessile.
La necessità, dettata dal mercato della moda, d’ottenere un effetto vintage, vale a dire una sensazione di jeans vecchio, ha indotto le industrie a ricercare dei metodi per ammorbidire e invecchiare il tessuto con lo scopo di rendere i pantaloni – seppure appena usciti dalla fabbrica – come usati. Le tendenze parlano chiaro: i jeans, più sono strappati, scuciti, sdruciti, più acquistano valore estetico; più hanno un aspetto vissuto e vecchio, più hanno il fascino del capo d’abbigliamento originale di qualche decennio fa e appartenuto, magari, ai propri genitori.
Guerrini spiega i concetti di stone washing (il lavaggio con la pietra pomice o altro materiale), di biostone washing (il lavaggio con degli enzimi), di sabbiatura (una levigatura del tessuto con la sabbia), di spazzolatura automatica (intervento con spazzole abrasive) accendendo tra le altre la curiosità d’aprire il proprio armadio e toccare con mano se l’ultimo acquisto è abbastanza ammorbidito e alla moda o se, invece, è simile ai primi pantaloni rigidi e pesanti prodotti da Levi’s.

Rosina Madotta

(direfarescrivere, anno VI, n. 50, febbraio 2010)
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