Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
La cultura, probabilmente
Un libro che unisce la lingua e la cultura
per indagare tra peculiarità tutte italiane
superando tipici break out comunicativi
Un interessante testo con diversi percorsi tematici e linguistici
che racconta anche in parte come pensiamo. Edito da Bonacci
di Clementina Gatto
Partendo dall’ovvia riflessione per cui nessuna lingua trova perfetta corrispondenza in un’altra, altrettanto evidente è che, considerando un qualsiasi testo tradotto, molto probabilmente non tutto coincide con quello che si vuole intendere nei diversi codici. Oseremmo dire, al contrario, che – al di là del significato letterale – molto rimane intrappolato in ciascuna lingua: si tratta di tutta quella serie di caratteristiche comprensibili solo all’interno di un contesto profondamente condiviso, fatto di tradizione, di storia comune, di elementi – latamente culturali – che si tramandano da generazioni e che connotano fortemente ciascuna comunità umana. Tutta una serie di fattori, cioè, che rendono complesso l’apprendimento di una lingua straniera.
Il testo che presentiamo questo mese, Cose d’Italia. Tra lingua e cultura (Bonacci editore, pp. 104, € 11,50), pensato per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda (L2), tratta, di esso, soprattutto gli aspetti culturali piuttosto che quelli di carattere strutturale. In altre parole, non è un corso di grammatica o di fonetica, ma un libro destinato a insegnanti e studenti che, avendo già superato il primo livello di apprendimento, si trovano a riflettere sul rapporto che lega lingua e cultura e costituisce l’identità di chi le condivide.
Come afferma l’autrice, Giovanna Stefancich, nell’Introduzione, esso tratta aspetti che caratterizzano fortemente «usanze, credenze, miti, ricordi comuni che formano l’identità di un gruppo e in cui gli estranei al gruppo stentano a ritrovarsi».

Alla ricerca delle Cose d’Italia
Sarebbe davvero riduttivo limitarsi a descrivere questo testo nella sua veste didattica, come un semplice manuale per l’insegnamento dell’italiano. Sue peculiarità, infatti, come brevemente si accennava sopra, sono: offrire uno spaccato dell’Italia attraverso testi che hanno una valenza contenutistica, prima che grammaticale, e orientare gli studenti nella decodifica di un linguaggio che va al di là dell’espressione semplice, chiara e corretta che si apprende di solito in un corso di lingua.
Considerando questi due dati, appare rilevante presentare le scelte contenutistiche e linguistiche che sono state operate nel libro.
Da un lato, come Stefancich stessa spiega nell’Introduzione, non è stato semplice stabilire quali elementi includere e su quali, invece, soprassedere. L’autrice rivela che il criterio che ha guidato la scelta è la percezione di persistenza dei dati inseriti nell’immaginario collettivo: si è preferito quanto si riteneva più attuale, rappresentativo e didatticamente rilevante, mentre sono state escluse le mode passeggere, gli argomenti troppo vecchi, dunque ormai obsoleti, oppure quelli in un certo modo sgradevoli.
Il libro si compone di sei capitoli intitolati ciascuno con un motto celebre o titolo di canzone o citazione, che per gli italiani sono parte del loro parlare comune. Ogni capitolo si apre con un brano ricco di spunti, al quale seguono numerose pagine di esercizi che hanno rilievo a livello di contenuto, piuttosto che strutturale.
Il primo capitolo, intitolato Fratelli d’Italia, richiama ovviamente l’inno nazionale e introduce la trattazione di una serie di dati relativi all’Italia, quali la sua bandiera, i confini, le regioni, le città, alcune immagini rappresentative.
Segue il capitolo Scherza coi fanti – motto che si chiuderebbe con «e lascia stare i santi» – che raccoglie alcuni dei tanti regali fatti alla lingua nel corso di duemila anni da pratiche religiose e testi letterari (chi di noi non si è mai gloriato di avere la «pazienza di Giobbe» o non hai mai tacciato qualcuno di incoerenza, definendolo come uno che «predica bene e razzola male»?).
Il terzo capitolo, dal titolo Il cacio sui maccheroni, espressione anch’essa di uso comune per indicare una situazione che si addice particolarmente al caso, è dedicato alla cucina italiana e ai diversi modi in cui essa e il suo linguaggio figurato sono presenti nella quotidianità (dall’essere «un pezzo di pane» al far finire qualcosa a «tarallucci e vino»…).
Il capitolo successivo è intitolato Tiremm innanz, dal dialetto milanese «andiamo avanti», una frase rivolta nel Risorgimento da un patriota a chi lo stava portando a morire e gli prometteva salva la vita in cambio di un tradimento. Esso raccoglie alcune citazioni ricorrenti della letteratura, del cinema, della nostra storia, e ancora slogan pubblicitari, proverbi e motti, dai più celebri, come il darsi appuntamento «a Filippi» o giustificarsi con il manzoniano «omnia munda mundis», a quelli che fanno parte di una generale conoscenza scolastica o del sapere comune.
Il quinto capitolo, Siamo uomini o caporali? tratto dall’omonimo film cult della storia cinematografica italiana, apre il capitolo dedicato a questo settore e ai modi in cui ha influenzato l’immagine del nostro paese nel mondo, ad esempio facendo conoscere e amare la Vespa e rendendo celebri (grazie ad attori come Marcello Mastroianni, tanto per dirne uno) le doti amatoriali dei nostri uomini – che qualcuno definisce ancora latin lover!
Il capitolo finale, Nudo come un verme, esamina le diverse percezioni culturali che traspaiono nella lingua e i diversi modi in cui questa, accogliendole, le restituisce e definisce di conseguenza una diversa visione del mondo. Basti pensare, ad esempio, che in inglese si è nudi «come un neonato», mentre in greco si è sani «come un toro» laddove in italiano l’animale simbolo della salute, chissà perché, è il pesce…

Cosa vuol dire essere italiani
Voler dare una definizione di italianità, a nostro avviso, sarebbe pretesa troppo ambiziosa per qualsiasi libro o studioso. E tuttavia non c’è alcun dubbio che questo testo contribuisca brillantemente a dare una pennellata consistente e nitida degli italiani.
La lettura, infatti, oltre a essere piacevolissima per i madrelingua che non siano tra i banchi, consente ai lettori di madrelingua diversa dall’italiano di capire il senso di enunciati altrimenti non immediatamente comprensibili riferendosi unicamente al significato letterale, e ciò non a causa di lacune linguistiche, ma solo perché tali enunciati sono parte indissolubile del vissuto dei destinatari, essendo ancorati a un vivere e a un credere comune che delimita in maniera più o meno uniforme gli italiani – incredibile a dirsi – come gruppo coeso.

Clementina Gatto

(direfarescrivere, anno V, n. 39, marzo 2009)
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