Anno XX, n. 222
luglio 2024
 
La cultura, probabilmente
Un genere letterario che non ha niente
a che vedere con quello horror.
Allora a cosa allude questo “orrore”?
Per Italo Svevo un saggio di Orazio Labbate su una
letteratura che ha unito animi e grandi penne
di Emiliano Peguiron
Orazio Labbate, narratore (Lo Scuru, Suttaterra e Spirdu) e saggista (Piccola enciclopedia dei mostri, Atlante del mistero e Negli States con Stephen King), ha pubblicato recentemente un testo di pregevole fattura dal titolo L’orrore letterario (Italo Svevo, pp. 128, € 15,00).
Ma in che senso “orrore letterario”? Lungi dall’essere un modo per parlare di opere italiane legate all’horror, quest’espressione, come annuncia l’autore stesso nella sua introduzione Nascita dell’etimologia, è stata coniata per «raccogliere una letteratura» che «ha come fine quello di occuparsi, con una scrittura mai mansueta – fatta di intensa e perdurante elevazione simbolica, stilistica e teologica –, dei vari perturbamenti umani: esistenziali, metafisici, psicologici, soprannaturali, mitici».
Una volta appreso l’intento di questo agile quanto stimolante saggio letterario, possiamo concentrarci su alcune questioni cruciali. Chi sono gli scrittori e le scrittrici appartenenti, secondo Labbate, a questa particolare letteratura? Cosa li accomuna? Infine, quanto quest’opera può assumere il ruolo di “apripista” per futuri studi sull’argomento?

Scrittori “eterogenei”
Dunque, entriamo nel vivo dell’opera. Per prima cosa è da segnalare la suddivisione in tre capitoli intitolati Mito e gotico, Inquietudine e horror teologico-esistenziale e Perturbamento investigativo. In un ognuno di essi Labbate “evoca” una serie di autori e autrici – venti per l’esattezza – e di altrettante opere che si appresta ad analizzare. Inoltre, alla fine dei brevi studi sulle opere selezionate, l’autore de L’orrore letterario offre un piccolo estratto, un frammento che possa rendere l’idea dell’appartenenza a questa “categoria letteraria”. Non a caso, prima dell’assaggio di lettura troviamo la seguente dicitura: Il cuore.
Ciò che colpisce è l’eterogeneità di questi autori sia a livello di periodo di attività sia a livello di tematiche trattate nei loro romanzi e racconti. Infatti, per citarne alcune in ordine di apparizione e di appartenenza alle tre sezioni sopra riportate, le opere di Giorgio Manganelli (La palude definitiva), Anna Maria Ortese (Il Monaciello di Napoli), Alcide Pierantozzi (Uno in diviso), Fleur Jaeggy (Le statue d’acqua), Michele Mari (Fantasmagonia) e Leonardo Sciascia (La strega e il capitano), vengono indagate a fondo dall’autore di questo saggio.
Da cosa sono uniti, però, autori e autrici che a prima vista possono risultare molto distanti? Qual è il tratto comune che li porta a essere posti nella categoria letteraria denominata “orrore letterario”? La lingua.
Dalla lingua, scrive Labbate, «ha fondamento e conio quest’orrore letterario. […] Le opere esemplari, difatti, sono innanzitutto la prova di una voce».

La lingua e i linguaggi
Dunque, è la lingua a essere il minimo comune denominatore tra autori così eterogenei. Per rendere meglio l’idea ecco quanto scrive l’autore circa l’uso della lingua di alcuni degli scrittori chiamati in causa: «una lingua […] inconciliabile con la realtà e che non si rassegna all’immobilismo nel rappresentare i valori riguardo agli dei dell’altro mondo» nel caso di Manganelli, oppure «è da ricercare il senso del linguaggio nel prodigioso, nel mostruoso, nella demenza ascetica onnipresente impastata di psicologia religiosa» in riferimento a Pierantozzi, e ancora «la lingua adoperata vanta la competenza dell’antiquario, la maniacale verbosità del bibliotecario borgesiano suggerisce i tratti di una personalità prudente contrassegnata dal motto larvatus prodeo parlando di Sciascia.
Altro aspetto cruciale di questo saggio è il linguaggio. O meglio, sono le tipologie di linguaggi artistici con cui le opere degli autori classificati all’interno della categoria “orrore letterario” vengono paragonate. Ecco, quindi, che ci imbattiamo in paralleli cinematografici, videoludici, e, ancora, con autori di letteratura estera. Nel caso dei collegamenti cinematografici troviamo citati Darren Aronofsky, David Lynch, Harmony Korine e Stanley Kubrick.
Per quanto riguarda, invece, i videogiochi il riferimento principale è quello della serie dell’orrore Silent Hill. Infine, molteplici sono i paragoni con autori esteri: incontriamo, dunque, William Peter Blatty, Roberto Bolaño, William Seward Burroughs, Bram Stoker e, su tutti, quello che risulta essere il riferimento per eccellenza, Thomas Ligotti.

Un testo che apre nuove prospettive di studio
L’orrore letterario può rappresentare senza dubbio, in ultima analisi, un punto di partenza. D’altronde, lo stesso autore si ispira e rimanda a due opere in particolare: La letteratura fantastica di Tzvetan Todorov e Il soprannaturale letterario di Francesco Orlando.
Per merito del saggio di Labbate nasce l’esigenza di saperne di più, di approfondire un “sottogenere” letterario che, a detta dell’autore, «si sta imponendo da più di quarant’anni». Che sia, dunque, un inizio per scavare a fondo questo “orrore letterario”?

Emiliano Peguiron

(direfarescrivere, anno XIX, n. 204, gennaio 2023)
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