Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
La cultura, probabilmente
Parole, poesia e immagini si uniscono
per raccontare la bellezza e il dramma
di una vita in balia dello Stretto
Per Rubbettino Editore, Tonino Perna riflette e fa riflettere
accompagnando i testi agli acquerelli di Gianfranco Neri
di Maria Chiara Paone
Esistono luoghi nella nostra Italia di cui purtroppo non se ne parla abbastanza, si tralascia ciò che di bello ci circonda, quello che nonostante tutto vi nasce e quello che potrebbe svilupparsi.
Due di questi luoghi sono la Calabria e la Sicilia, terre spesso sottovalutate e che tuttavia, resistono al tempo anche grazie alla magnificenza letteralmente naturale che le circondano; è sentimento misto a incanto verso dei luoghi così misteriosi quello che viene riportato da uno degli ultimi arrivati nella “scuderia” di Bottega editoriale, ovvero Visioni dello Stretto (Rubbettino Editore, pp. 72, € 25,00). Un capolavoro scritto e raccontato in immagini da due docenti universitari, Tonino Perna e Gianfranco Neri.

Un eterno viaggio
Per descrivere questo libro non si può parlare di una semplice storia ma di una vera e propria “mostra” di pensieri e sensazioni, in versi liberi e in prosa, a tratti autobiografici. L’autore dei testi, Tonino Perna, prende spunto dalla sua esperienza personale; residente a Reggio Calabria ma professore presso l’Università di Messina, è il classico pendolare, costretto quindi a una vita in perenne transito tra la penisola ed l’isola.
Un’abitudine che, se prima poteva sembrare solo una semplice scocciatura, a poco a poco perde la sua negatività diventando «un’arte», come lui stesso scrive e poi, purtroppo, una dipendenza che si fa fatica a perdere. Il mare diventa poesia e i suoi cambiamenti sempre costanti accompagnano i mutamenti d’animo di chi lo attraversa; pregnanti di quotidianità sono le peripezie dei passeggeri che si ritrovano a girovagare lungo il porto di Villa San Giovanni alla ricerca forsennata di un traghetto disponibile, oppure il disagio del viaggio, seppur breve, sul mare, spesso imprevedibile e pericoloso; dopotutto Scilla e Cariddi diedero problemi anche a Ulisse!
Ma, come afferma Perna, «ho imparato, piano piano, a lasciarmi trascinare, ad affidarmi a questo mare, tenero come un bambino in fasce e irruento come un puledro scalpitante, capace di illanguidire un giorno e di farti paura il giorno dopo. […] Non sai niente del mare che attraversi. Finisci per non guardarlo più. Ma è lui che ti guarda con insistenza e quando meno te lo aspetti ti entra dentro. Non ne puoi fare più a meno».

Terra splendida e maledetta
Le riflessioni personali racchiudono sette momenti di dialogo tra un uomo e una donna; presumibilmente una coppia che però non vive insieme, ognuno guardiano del proprio faro, guida e protezione delle navi che attraversano lo Stretto.
Una lontananza fisica, certo, ma assolutamente non spirituale; l’alternanza dei loro pensieri è così chiara e coerente da trarre in inganno il lettore, che immaginerà i due protagonisti nella stessa stanza.
Nonostante l’elemento romantico sia presente non è sfruttato fino all’osso dall’autore ma è un mezzo per esprimere riflessioni più universali, riguardo all’avanzare del tempo, all’opera dell’uomo che sfida in ogni modo la natura e che con «la striscia di cemento armato» la soffoca, portandola al decadimento; vi è però, nonostante l’alone di pessimismo, un barlume di speranza che fa luce nella notte, di cui il faro si fa chiara metafora.
«– Alle volte penso che sia finita, che possiamo ormai vivere solo di ricordi. Il nostro tempo, il tempo in cui dominavamo lo Stretto […] sembra essere scomparso per sempre. Tutto intorno a noi è cambiato […]. E tu pensi che questo popolo potrà amare un giorno questo mare, potrà imparare a rispettarlo, a contemplarlo in silenzio? Tu hai una grande fede, ma io, amore mio, l’ho persa.
– No, non l’hai mai persa. Nessun uomo che abbia avuto una grande fede come te potrà mai perderla per sempre».

La forza delle immagini
I passi dal forte lirismo sono accompagnati da una rosa di trenta dipinti ad acquerello, realizzati appositamente da Gianfranco Neri, anche lui professore ma alla facoltà di Architettura di Reggio Calabria.
Sono disegni quasi accennati ma non per questo superficiali; l’uso del colore è sfumato ma vario, in grado di rappresentare alla perfezione quelle che Perna definisce «le dieci stagioni dello Stretto», passando dalle tonalità più tenui di una traversata tranquilla al nero opaco, in cui si può immaginare una tempesta oppure un’eruzione improvvisa dell’Etna, in una continua guerra con una natura capricciosa.
Lo stesso artista in una lettera all’amico, che fa da presentazione all’intero libro, definisce le sue opere come «particelle inopinatamente disarticolate e vaganti che inseguono nuovi misteriosi intrecci che vanno a unirsi alle infinite, invisibili scie tracciate da tutte le barche […] sino agli odierni aliscafi – che hanno solcato questo mare “mutevole”, imprevedibile. […] Faranno fronte ai rischi e ai pericoli che questo comporta: si deterioreranno, forse si smarriranno, […] e, forse ancora, si arricchiranno del piacere di uno sguardo distratto o curioso. Ma proprio allora, soltanto allora troveranno il senso della tua scrittura. E sarà quindi un ritorno al luogo da cui sono partiti».
Una vera danza, una poesia di parole e pittura, unite in un unico, affascinante organismo: un libro in cui sognatori e “viaggiatori smarriti” di tutte le età e latitudini non potranno che ritrovarsi.

Maria Chiara Paone

(direfarescrivere, anno XIV, n. 145, febbraio 2018)
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