Anno XX, n. 220
maggio 2024
 
La cultura, probabilmente
Cronaca di una drammatica detenzione:
Franz Thaler, sopravvissuto sudtirolese,
ci racconta la sua terrificante prigionia
Da Edition Raetia, la toccante autobiografia di un eroe,
tra difficoltà, disprezzo ed emarginazioni del Terzo Reich
di Selene Miriam Corapi
«Giugno 1933. Costituzione del VölkischerKampfringSüdtirols (Programma: costruzione di un movimento illegale nazionalsocialista sulla base del “principio gerarchico” e della “Volksgemeinschaft” (comunità popolare) e degli obiettivi del “ritorno in patria” del Sudtirolo nella “grande Germania” annunciata da Hitler)».
Il giovane Franz Thaler, sudtirolese, nato nel 1925 a Sarentino (Alto Adige), appartiene alla minoranza linguistica tedesca; in seguito alla decisione del padre, che nel 1939 non esercita l’opzione tedesca che prevedeva l’emigrazione nel Terzo Reich, ha inizio il periodo più difficile e drammatico della sua vita.
Una voce diversa, un’autobiografia intensa che racconta la storia di un sopravvissuto, mostrandoci un nuovo punto di vista e un’esperienza agghiacciante che ci riporta indietro nel tempo, in Dimenticare mai. Opzioni, il campo di concentramento di Dachau, la prigionia di guerra, il ritorno a casa (Edition Raetia, pp. 184, € 15,00).

La fuga e l’internamento
Pur avendo cittadinanza italiana, il giovane Franz, nel 1944, essendo il Sud Tirolo praticamente annesso alla Germania, ricevette una cartolina del Terzo Reich per l’arruolamento, una prescrizione a cui tentò in ogni modo di sottrarsi; per diversi mesi fu costretto a vivere nascosto in montagna e, solo grazie all’aiuto di alcuni cittadini sudtirolesi che gli offrirono acqua e cibo, riuscì a sopravvivere.
Nel frattempo la polizia aveva intensificato le ricerche dei fuggiaschi e, per farli uscire allo scoperto, aveva emesso una sentenza: chi non si fosse costituito e arruolato immediatamente avrebbe provocato l’incarcerazione dei propri parenti, persino i più piccoli, come fratelli o sorelle minori. E fu così che anche Franz si costituì. «Tremavo per il freddo. Ma più grande ancora era la paura di ciò che mi attendeva. Fino al giorno della mia liberazione, 29 aprile 1945, questo senso di paura non mi avrebbe mai più lasciato». Venne portato davanti alla corte marziale ma, poiché ancora minorenne ed essendosi consegnato spontaneamente alle autorità, non venne condannato a morte bensì a dieci anni di detenzione e lavori forzati in un campo di concentramento. Prima nel lager di Dachau, poi in quello di Hersbruck.
«Sopra l’entrata stava scritto a grandi lettere: “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi)».
Il giovane Franz riempie pagine di profonda sofferenza e di ricordi terrificanti in cui spesso inserisce considerazioni profonde e sconcertanti, come questa: «Strano, a momenti si è pieni di vita e di speranza, e poco dopo si è presi dalla più completa disperazione. Tra l’appello della sera e quello della mattina potevi riprenderti o anche morire».
Immagini crude, come quella di un suo compagno morto che viene gettato via dal vagone: «Come un pezzo di legno. Mai dimenticherò quelle immagini».
Cinque lunghissimi mesi, che segnarono per sempre e irrimediabilmente il suo corpo e la sua psiche.

La libertà
Il 29 aprile 1945 fu il giorno della sua liberazione. Grazie all’aiuto di alcuni suoi amici riuscì a resistere e ad andare avanti: «Più tardi i miei compagni mi confidarono che non avevano più creduto che io ce l’avrei fatta a continuare. Ma, col loro intervento ed aiuto, ero riuscito a resistere, e perciò li considero giustamente i miei salvatori». E dopo un mese nel campo americano, finalmente il 14 agosto del medesimo anno poté tornare e riabbracciare i suoi cari.
Un’esperienza davvero drammatica che rivive sotto ai nostri occhi quando l’autore ricorda l’inferno subìto nel campo di concentramento: «Vessato quasi a morte da fame, malattie e dure fatiche, poi un mese prigioniero degli americani, il muro della morte e tutte le possibili fatiche nei diversi campi fino ad arrivare alla marcia che mi aveva portato sull’orlo della totale disperazione e della definitiva rinuncia, tutto questo ha rovinato completamente la mia giovane vita. Rimarrà per sempre una sofferenza che ha lasciato il suo segno nel corpo e nell’anima».
Il giovane Franz col tempo riuscì a riprendersi e prese servizio come artigiano pellettiere, attività che svolse fino al pensionamento; si sposò ed ebbe quattro figlie.

La memoria
«Io ho perdonato, ma non ho dimenticato»; ed è questo il motivo principale per cui Franz Thaler ha scritto il suo racconto: «Questo libro darà un piccolo contributo di conoscenza a quelli che sanno poco di quel periodo, e se farà riemergere nella coscienza dei fanatici sostenitori di Hitler che non tutto è ancora dimenticato, allora esso avrà raggiunto il suo scopo».
Questo l’invito accorato che l’autore rivolge alle giovani generazioni del Sud Tirolo: «Continuate ad essere sudtirolesi, ma siate anche tolleranti verso quelli che parlano un’altra lingua, con i quali viviamo. […] Auguro loro di avere una grande forza nel portare avanti la loro opera, affinché aumenti il numero delle persone che capiscono come una vita vissuta in pace ed umiltà, amando e aiutando il prossimo, possa essere una bella vita».

Riconoscimenti
Nell’occasione del settantesimo anniversario della sua liberazione, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha omaggiato l’autore affermando come il suo libro-memoria «riaffermi valori di civiltà e umanità che insegnano il ripudio dell’indifferenza e di ogni forma di estremismo».
Nel 2010 era stato nominato cittadino onorario di Bolzano.
L’autore è descritto anche nell’opera dello scrittore cileno Luis Sepúlveda, Ritratto di gruppo con assenza, pubblicata nel 2010.
Franz Thaler si è spento serenamente all’età di novant’anni nella casa di riposo di Sarentino il 29 ottobre 2015.

Selene Miriam Corapi

(direfarescrivere, anno XII, n. 124, aprile 2016)
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