Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
La cultura, probabilmente
Nei disegni dell’inglese Edward Lear
un grande affresco del Mezzogiorno
alla vigilia del nostro Risorgimento
Laruffa pubblica le testimonianze scritte e visive dell’artista
che visitò una terra inquieta e percorsa da fremiti di rivolta
di Guglielmo Colombero
Corre l’anno 1847, siamo alle soglie dei rivolgimenti che nel leggendario ’48 sconvolgeranno non solo Milano, Venezia, Firenze, Roma e Napoli, ma anche Parigi, Vienna, Berlino e Budapest: «i disegni di Lear sono una preziosissima fotografia di quel tempo, tanto più preziosa a causa della scarsità di testimonianze visuali in merito, e ancor di più relativamente alla fascia jonica reggina, storicamente fuori dagli itinerari più coltivati». Così scrive Giuseppe Caridi, nella Presentazione a Il tempo, il viaggio e lo spirito. Negli inediti di Edward Lear in Calabria (Laruffa editore, pp. 278, € 18,00) dell’ingegner Giuseppe Fausto Macrì. Originario di Bovalino, appassionato storiografo della Calabria, è autore di diverse pubblicazioni in materia: Mari di carta. La storia di Domenico Vigliarolo, un cartografo italiano al servizio del Re di Spagna (2007), La sentinella perduta – La torre di Pagliapoli (2008), Per antichi sentieri (2010).

Reggio, 1847: fame, rivolta e repressione
Edward Lear, scrittore e illustratore londinese, viaggiatore instancabile (Egitto, Grecia, Palestina, India), amava talmente il Belpaese che decise di concludervi la propria avventurosa esistenza: morì a Sanremo nel 1888, all’età di 76 anni. Fra il 1837 e il 1848 visitò Roma, l’Abruzzo, il Molise, la Calabria, l’Irpinia e la Basilicata. In patria era famoso per i suoi nonsense, e nel 1852 vide la luce il resoconto illustrato dei suoi viaggi nella provincia di Reggio: Journals of a Landscape Painter in Southern Calabria. Lear approda in terra calabrese il 25 luglio 1847: tre anni prima il tentativo insurrezionale dei fratelli Bandiera è finito davanti al plotone d’esecuzione nel vallone di Rovito. Il re Ferdinando II non è altro che l’erede scellerato di una dinastia di tiranni, quella dei Borboni di Napoli, che nel 1799 ha appeso alla forca un’intera generazione di intellettuali napoletani e nel 1828 ha represso con bestiale ferocia la sommossa carbonara del Cilento. Negli ultimi mesi del 1846, Reggio è flagellata da un’atroce carestia: il 2 settembre dilaga la rivolta. Due fregate della marina borbonica bombardano Reggio, e il capo dei ribelli, Domenico Romeo, viene braccato ed ucciso dall’esercito: «la sua testa, infilata su una pertica, fu riportata in macabra processione a Reggio in segno di vittoria e di lugubre avvertimento ai pochi resistenti rimasti».

Un testimone prezioso in una terra aspra e dilaniata
Nel tratteggiare la popolazione calabrese, Lear snobba i profili di donne aristocratiche vestite con pizzi e mussoline: «è la vera donna calabrese del popolo ad essere ritratta nella sua quotidianità (addirittura scalza)». La ricca iconografia del volume offre qualche saggio di questa visione realistica di Lear nelle pp. 239 e 240: sono raffigurate le contadine di Stignano nei loro costumi tradizionali, sobri e austeri, quasi paragonabili agli chador delle musulmane. Anche i paesaggi della punta dello Stivale, a Mongibello, affascinano Lear con «la bianca ed inquietante traccia delle fiumare che si snodava in fondo a vertiginosi dirupi». A Bova, definito da Lear «straordinario nido di aquile», il visitatore inglese incontra tutta la suggestione dell’«isola linguistica grecanica». A Palizzi, «nel luogo, cioè, più misero e isolato sino ad allora incontrato, Lear ha la percezione di quello che solo in seguito comprenderà essere il primo contatto con la tragedia che lo vedrà testimone di lì a poco: tutta una serie pressante di domande su quella strana e insolita presenza di uno straniero in quel luogo sperduto, tese a comprendere se si trattasse di un agente politico inviato lì a fini di spionaggio, evidentemente in relazione ai preparativi della rivolta del mese successivo». A Pietrapennata, poi, «l’episodio della donna che alleva i bachi nel proprio seno, nella cittadina che allora era sede di tribunale circondariale, riesce a trasmettere al lettore il senso profondo di una civiltà profondamente in bilico fra la nascente alienazione industriale ed una koinè agro-pastorale ben lontana da qualsiasi immediata prospettiva di sviluppo, scandita com’è dai tempi e dai ritmi di vita antichi e quasi cristallizzati in un territorio, appunto, senza tempo e fuori dal tempo». A Sant’Agata del Bianco, Lear «incappa in una cupa atmosfera di tristezza dovuta al cattivo stato di salute della baronessa, il che non impedisce però il manifestarsi dell’ormai solita accoglienza, con una abbondante cena a base di maccheroni, uova, burro, olive e formaggio, servita con dovizia di “luccicante argenteria e cristalli”».
Come ultimo esempio della raffinatezza con cui Lear evoca i paesaggi calabresi, vanno citati i disegni riprodotti nelle pp. 246 e 247: si tratta di vedute di Canolo, sul versante jonico. Nella prima illustrazione, «un rigoglioso pergolato fronteggia altri poveri e minuscoli abituri, a mo’ di quinte teatrali attorno ad un gruppo di ragazzini accuditi da una donna, con sullo sfondo le montagne ricoperte di una folta coltre boschiva», e nella seconda «una figura umana anima il declinante acciottolato, su cui beccano indisturbate due galline».
Macrì sottolinea che «ciò che sorprende di più in questo gruppo inedito di disegni è l’elemento realistico, la vivacità di una quotidianità non artefatta ben difficilmente enucleabile dalle opere dei paesaggisti dell’Ottocento: i luoghi attraversati vi rivivono sotto una luce assolutamente nuova, disincantata, totalmente priva di qualsiasi afflato moralistico».

Donne schiavizzate e velate di nero a Gerace
Una particolare attenzione viene dedicata da Lear alla condizione femminile. Egli mette in risalto la «scarsa vivacità dei costumi delle donne di Gerace, generalmente di colore nero, o comunque scuro, che nessun interesse riuscivano a suscitare nel visitatore esterno, parrebbe che la cosa mirasse proprio a togliere visibilità alla donna del capoluogo. E l’ordine vescovile che proibiva la partecipazione alle danze collettive usualmente esercitate in pubblico in occasione delle feste patronali veniva a sommarsi a quell’atmosfera di rigida sottomissione, sottolineata peraltro dal relegamento delle donne».
La parte conclusiva del viaggio di Lear coincide con il divampare della rivolta di Reggio: il 5 settembre il viaggiatore inglese salpa da Messina. Le sue ultime impressioni sono struggenti: «il sole tramontava in una gloria purpurea, schiudeva una vera magnifica e magica scena da romanzo: la vasta massa della pinnacolata rocca sorgeva solitaria sopra le vicine colline, formando un paesaggio che è “le beau ideal” del terribile, nello scenario calabrese».

Guglielmo Colombero

(direfarescrivere, anno IX, n. 95, novembre 2013)
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