Anno XX, n. 219
aprile 2024
 
La cultura, probabilmente
La musica dal Cinquecento a oggi.
L’evoluzione nei secoli dal ricercare
alle composizioni di György Ligeti
Un excursus estetico-formale tra passato e presente
alla “ricerca” di nuove sperimentazioni sonore
di Emanuela Cangemi
Nel Vocabolario della lingua italiana di Paolo Colombo, si può leggere e comprendere il significato del verbo ricercare: cercar di nuovo, cercare a lungo e attentamente, indagare, studiare, tentare. Il termine deriva a sua volta dal sostantivo ricerca, che in sé racchiude: il ricercare, l’indagine, l’investigazione, l’inchiesta. Infine, da questi deriva un nome comune di persona: ricercatore, con il quale si indica genericamente, un lavoratore che svolge attività di ricerca.
In ambito musicale e nello specifico nel XVI secolo, la parola ricercare poteva essere riferita a diversi tipi di composizione. La terminologia aveva dei significati flessibili e il fatto che un compositore chiamasse un componimento strumentale toccata,canzona, fantasia o ricercare era chiaramente non una questione di classificazione rigida, ma una libera scelta dello stesso.
Il termine ricercare, in seguito, è diventato la denominazione di una forma musicale specifica, prettamente strumentale e di struttura libera, che si sviluppa a imitazione, generalmente a canone.

La musica come ricerca
Per quanto concerne la sua struttura si noterà come la forma del ricercare mantenga un’unione strettissima tra il suo significato etimologico e il suo equivalente in forma musicale.
Infatti, in ambito musicale, il termine ricercare indica sia la ricerca delle possibilità timbrico-foniche dello strumento, sia lo studio delle possibilità contrappuntistiche di un’idea musicale.
Dallo sviluppo di una diversa elaborazione di questa idea musicale avremo:
- il ricercare-toccata, con carattere d’improvvisazione, impiegato come preludio
- il ricercare-mottetto, articolato in punti d’imitazione non derivati dalla logica di un testo, bensì dagli stretti rapporti del materiale musicale impiegato.
Tutta la musica strumentale del Cinquecento fonda le sue radici nelle forme vocali preesistenti; così pure il ricercare che deriva dal mottetto e dal madrigale, del quale per l’appunto, rappresenta l’equivalente strumentale, eredita per questo motivo agli albori della forma il pluritematismo, diventando in seguito, nel Seicento, monotematico laddove il tema passa con successive entrate da una parte all’altra a modo di libero canone.
La parola ricercare nel contesto musicale compare per la prima volta nella musica stampata per liuto da Ottaviano Petrucci nel 1507, il quale pubblicò le intavolature di tale strumento che il liutista Francesco Spinacino aveva riportato in due libri, contenenti i primi esempi di ricercari-mottetto e di trascrizioni di musiche polifoniche vocali, appartenenti ad autori franco-fiamminghi.
Nel 1523, comparvero i primi ricercari-mottetto per organo di Marco Antonio Cavazzoni, mentre la seconda tipologia di ricercare, ovvero il ricercare-toccata, adatto sia all’organo sia a un piccolo complesso di strumenti melodici, venne pubblicata nell’antologia veneziana Musica nova nel 1540, contenente 21 ricercari di vari autori fra cui: Girolamo Cavazzoni, Luzzasco Luzzaschi, Claudio Merulo, Girolamo Parabosco, Giulio Segni. Dal 1542 in poi, i ricercari iniziano a presentarsi anche in forma monotematica come per esempio alcuni brani di Girolamo Cavazzoni.
Sono stati individuati cinque tipi fondamentali di ricercare cinquecenteschi:
1) politematico a più sezioni autonome concatenate
2) politematico a più sezioni, ma con sovrapposizione dei temi nella sezione finale
3) politematico con trattamento simultaneo dei temi
4) monotematico
5) arioso, nello stile più leggero della canzon francese.
I più importanti compositori di ricercare nella seconda metà del Cinquecento furono Andrea e Giovanni Gabrieli e Claudio Merulo. L’obiettivo di questi, nell’elaborazione della forma musicale, fu quello di ricercare tutte le possibilità di sviluppo da un tema dato. Il principio dell’elaborazione tematica è quindi alla base di tale forma, fondata sul monotematismo e caratterizzata da una struttura a sezioni e da una certa omogeneità motivica.
Nel Cinquecento, dunque, Venezia rappresentò un’altra grande scuola, che, a differenza di Roma, si presentava con caratteristiche del tutto peculiari. Particolarmente documentata è l’attività della Cappella di San Marco, con l’assunzione di organisti e la creazione di una scuola di canto.
Considerato il fondatore della scuola è il fiammingo Adrian Willaert, al quale seguirono i due Gabrieli, già precedentemente citati.
Andrea Gabrieli è ritenuto il fondatore della scuola policorale veneziana, così chiamata perché faceva ampio uso di cori divisi con funzione dialogica. Tale tecnica, già in parte adottata da Adrian Willaert, fu dal Gabrieli ampiamente rielaborata, con frequente impiego di voci soliste e con strumenti (archi, ottoni) in rinforzo dei due organi accompagnatori.
Giovanni Gabrieli, invece, si mosse lungo le direttrici stilistiche individuate dallo zio, delle quali fu però innovatore più profondo, soprattutto nel campo della musica strumentale pura, di cui è considerato il creatore. Egli estese a essa i principi della policoralità, della sovrapposizione e alternanza di cori e voci singole, perseguendo un possente e solenne gioco di contrasti da sviluppare, oltre che un sapiente dosaggio delle sonorità, con arditi procedimenti di sequenza, progressione e sovrapposizione.
Arte polifonica, quindi, cerebrale ed essenzialmente architettonica, mai fine a se stessa, in cui la creatività dei maggiori musicisti veneziani riuscì tuttavia a infondere calore e vita, ottenendo un’opera esteticamente apprezzabile, piacente, grazie anche alla scelta dei temi; sapendo dunque unire le tecniche stilistiche con il sentimento. Perché come sempre, dietro una creazione, c’è un’elaborazione mentale che coinvolge entrambi gli emisferi, quello cognitivo sotto forma di studio, allenamento, e quello emotivo, che include nell’elaborato le emozioni del compositore.
E a tal proposito, è interessante, evidenziare come un altro musicista e compositore veneziano, a distanza di secoli, abbia più o meno utilizzato la stessa tecnica vocale dei due Gabrieli. Luigi Nono, nel brano i Cori di Didone per coro misto (otto soprani, otto contralti, otto tenori, otto bassi) e percussioni (sei esecutori che suoneranno 8 piatti sospesi, campane, 4 tam tam) del 1958, su testo di Giuseppe Ungaretti <ì>La terra promessa, propone un nuovo stile vocale, caratterizzato dallo spezzettamento delle parole in singoli fonemi suddivisi tra le voci, che verranno percepite dall’ascoltatore che potrà ricostruire il testo noto del poeta.
Nei primi decenni del Seicento, Girolamo Frescobaldi pubblicò i suoi ricercari, che rimangono i massimi capolavori e la sintesi più matura del genere: egli in pratica riassunse e concluse il processo storico di questa forma, trattandola con il più scrupoloso rispetto dei movimenti contrappuntistici.
Una delle opere più importanti del Frescobaldi è la raccolta di 46 brani del 1635 dal titolo Fiori musicali di diverse compositioni: toccate, kyrie, canzoni, capricci e ricercari, che rappresenta il progressivo sviluppo dei diversi generi e stili che l’autore maturò nell’ambito della sua carriera, costituendo un’opera più eterogenea, sebbene legata a una particolare esperienza professionale consolidatasi nel tempo; infatti sono la prima pubblicazione che il compositore Frescobaldi destina interamente all’organo, strumento connesso alla carica di organista della Basilica di San Pietro a Roma che egli ricoprì sin dal 1608, salvo brevi pause.
L’opera è dedicata al cardinale Antonio Barberini, fratello di Urbano VIII allora al soglio pontificio, ed è formata da tre messe, ciascuna destinata a una festività liturgica, come la messa della domenica, quella degli apostoli e quella dedicata alla Madonna. Costante è pertanto l’impiego delle melodie gregoriane, trattate secondo la tecnica della polifonia su canto fermo. Era tradizione plurisecolare che le Messe in canto gregoriano venissero eseguite a versetti alternati: uno dal coro, il seguente suonato dall’organista che elaborava il tema del versetto relativo, e così via alternando coro e organo.
I ricercari sono alcuni dei pezzi più complessi della collezione. L’Altro recercar della seconda messa ha tre soggetti, presentati in sezioni separate e combinate nella parte finale del pezzo. L’ultimo ricercare della raccolta, il Recercar con obligo di cantare della terza messa, è simile ma è costituito solo su due soggetti. Il pezzo è famoso per l’indicazione del Frescobaldi agli esecutori: il compositore fornisce una breve melodia da cantare come quinta voce in alcuni punti chiave durante il ricercare, e questi punti devono essere trovati dall’esecutore. Sono presenti inoltre osservazioni del compositore nella partitura, come Intendami chi può che m’intend’io.
Altri tre ricercari, quello della prima messa, il Recercar Cromaticho della seconda messa e il primo ricercare della terza sono ricercari con variazioni, ossia l’unico tema è accompagnato da diversi contrappunti in varie sezioni.
Infine, il Recercar con obligo del Basso come appare è costruito sopra un unico soggetto, ma è particolarmente importante per via della sua estesa gamma tonale, piuttosto rara per il periodo. Il soggetto, infatti, appare sempre trasposto: prima da Do a Mi, seguendo il circolo delle quinte, poi di nuovo al Do (omettendo il La), poi in discesa, di nuovo seguendo il circolo delle quinte, a Mi bemolle, e infine nuovamente al Do (omettendo il Si bemolle).

La mutazione del ricercare
Durante il periodo barocco, il ricercare confluì nella fuga. Alcuni lavori che erano indistinguibili da una fuga vennero allora chiamati ricercare anche fino a Johann Sebastian Bach, con la semplice differenza che aveva le note del tema più lunghe e un carattere più serio. Un esempio di ricercare a tre e a sei parti si ha nell’Offerta musicale del 1747 di Bach.
Nel XX secolo, la forma del ricercare è stata ripresa da molti compositori, tra i quali Alfredo Casella, Giorgio Federico Ghedini, Gian Francesco Malipiero.
Quindi, la forma musicale summenzionata effettivamente non si discosta dal suo significato etimologico; la ricerca equivale al ricercare, e il ricercatore diventa il compositore, che attraverso teorie, ricerche, esperimenti, studi teorici e pratici, analizza, elabora e studia un’idea musicale o le capacità timbrico-foniche di uno strumento e da queste ricerche e con queste, attraverso la sua creatività, genera un’opera.

György Ligeti
Ligeti (Dicsöszentmárton, 1923 - Vienna, 2006) fu un compositore ungherese naturalizzato austriaco considerato tra i più grandi di musica strumentale del XX secolo.
La sua produzione comprende repertorio cameristico strumentale e vocale, per orchestra sinfonica e da camera, concerti per strumento solista e orchestra, musica elettronica, opera lirica e composizioni pianistiche anche didattiche, e va essenzialmente annoverata nell’ambito della musica contemporanea.
In anni più recenti, i suoi tre libri per pianoforte Études pour piano (libro I, 1985; libro II, 1988-1994; libro III, 1995-2001), che nascono da fonti diverse come il gamelan, i poliritmi africani, Bela Bartók, Colon Nancarrow e il pianista jazz Bill Evans, sono diventati piuttosto noti grazie alle registrazioni di Pierre-Laurent Aimard, Fedrik Ullén e altri esecutori.
La sua musica sembra essere stata influenzata dai suoi esperimenti elettronici, e molti suoni che creò ne riproducono la caratteristica struttura; per questo motivo la maturazione dello stile più originale di Ligeti, dopo gli esordi bartokiani, è legata al suo rapporto con le ricerche della neoavanguardia. Altro aspetto determinante dello stile maturo del compositore è legato a ciò che egli stesso definì “micropolifonia” e “poliritmia”, cioè un reticolo di linee polifoniche e poliritmiche minutamente addensate in un tessuto inestricabile e variegato.
La notorietà internazionale giunse tra il 1960 e il 1961, dopo l’esecuzione di Apparitions (1958-1959), il primo componimento che lo portò all’attenzione della critica, ma è la sua opera seguente, Atmosphères, che oggi risulta essere più nota. Venne impiegata, insieme ad alcuni estratti da Lux Aeterna e Requiem, nella colonna sonora di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick; in effetti, la musica fu adattata senza il permesso del compositore, il quale intentò (e vinse) una causa contro il regista statunitense.
Ebbe molti problemi determinati dal regime rumeno dei suoi tempi, come l’episodio legato al Concert romanesc (1951), perfettamente tonale, costituito da temi in parte ripresi dal folclore rumeno e in parte scritti dallo stesso Ligeti sulla falsariga della musica popolare, che venne bandito dalle autorità perché conteneva una modulazione non approvata dai canoni del realismo socialista e quindi vietata: in un accordo di Fa maggiore era infatti contenuto un Fa bemolle, creando così una dissonanza non gradita al regime, il quale proibì l’esecuzione del pezzo.
Dagli anni ’70, il compositore scelse uno stile più melodico, concentrandosi nel contempo sul ritmo, influenzato in questa fase anche dal compositore Steve Reich.
Ligeti si interessò, inoltre, agli aspetti ritmici della musica africana, specialmente quella dei pigmei. Nella metà degli anni ’70 scrisse la sua prima opera lirica, Le Grand Macabre (da Michel de Gheldelrode), un’opera legata al teatro dell’assurdo, mentre la musica degli anni ’80 e ’90 continuò enfatizzando complessi ritmi meccanici, spesso in un linguaggio cromatico meno denso (si possono notare triadi maggiori e minori nonché strutture polimodali).

La Musica Ricercata di György Ligeti
Le prime composizioni di Ligeti sono un’estensione del linguaggio musicale del suo compatriota Bela Bartók. I pezzi pianistici,Musica Ricercata (1951-1953), ad esempio, sono spesso confrontati con la raccolta di brani dello stesso Bartók, Mikrokosmo.
Già in questo primo livello della sua carriera, Ligeti venne colpito dal regime comunista presente in Ungheria in quel periodo. Il decimo pezzo di Musica Ricercata fu censurato dalle autorità a causa del suo stile decadente. Sembra che fosse di conseguenza tacciato per il suo uso generoso di intervalli di seconda minore.
La raccolta per pianoforte del compositore comprende undici brani in cui il punto di partenza è nel medesimo tempo semplice e severo, probabilmente perché dal punto di vista formale ricorda la struttura del ricercare del passato. E in effetti Ligeti sfrutta la ricerca timbrico-fonica del pianoforte e nello stesso tempo sviluppa, elaborandoli, gli intervalli, a partire da quello di seconda presentato nel primo degli undici brani, fino ad arrivare all’ultimo nel quale presenta e sviluppa tutte e dodici le note della scala cromatica.
L’idea musicale data dagli intervalli è elaborata con maestria e creatività dal compositore, che ha saputo gestire tutte le possibilità sfruttabili associate al solo effetto fonico, come per esempio l’invenzione ritmica, la creazione di atmosfere molto particolari, il richiamo alla musica popolare creata su poche note.
I primi due brani sembrerebbero quelli più poveri musicalmente, in quanto composti da due-tre suoni, ma Ligeti risolvette con astuzia e immaginazione la difficoltà, ispirandosi al già menzionato Bela Bartók. Nello specifico, pensò al pianoforte come a uno strumento a percussione, concezione bartokiana che intende il pianoforte sempre espressivo ma più ritmico.
Ligeti sfrutta dunque tutte le caratteristiche del suono, ovvero l’altezza, l’intensità e il timbro, adoperando le diverse figure musicali, lo stesso suono ripetuto a ottava e sui registri possibili del pianoforte, espressivamente il suono sarà variato tramite i segni dinamici, presenza di segni di espressione, segni di staccato e di accentato e puntato, utilizzo di pedale indicando anche le corde da utilizzare, accostamenti di ritmi additivi e ritmi divisivi, presenza di gruppi irregolari e di suoni ribattuti velocemente – caratteristica, quest’ultima, del compositore –, cambiamenti agogici all’interno di uno stesso brano, accelerati, rallentati, misure binarie e ternarie semplici e composte, nonché misure di metà, presenza di corone.
Il I brano si presenta solamente con due suoni, il La e il Re, dei quali il Re, si presenterà solo nelle ultime battute.
Il II brano presenta tre suoni: Mi diesis, Fa diesis, Sol.
Il III brano si presenta con quattro suoni: Mi bemolle, Do, Sol e Mi bequadro.
Il IV brano si presenta con cinque suoni: Si bemolle, Fa diesis, La, Sol, Sol diesis; è un valzer irriverente, nello stile della musica di strada, di quegli organetti che una volta musicavano la passeggiata in centro o al parco.
Il V brano si presenta con sei suoni: Do diesis, Re, Si, La bemolle, Fa, Sol; è un gioco di inseguimenti tra le due mani, quindi una forma di canone.
Il VI brano si presenta con sette suoni: Mi, Do diesis, Si, La, Fa diesis, Re, Sol, e richiama le melodie mediorientali.
Il VII brano si presenta con otto suoni: Fa, Do, Si bemolle, Sol, Re, La, La bemolle, ed è veramente virtuosistico, in quanto le mani del pianista suonano in tempi diversi, dando l’impressione di sdoppiarsi.
L’VIII brano si presenta con nove suoni: Re, Mi, Si, Do diesis, La, Sol, Sol diesis, Do, Fa diesis; è un omaggio alle danze popolari: tempi dispari e aria di festa.
Il IX brano si presenta con dieci suoni: Do diesis, La diesis, Fa, Re, Fa diesis, La, Do, Sol diesis, Si, Re diesis; è un dichiarato omaggio a Bela Bartók.
Il X brano si presenta con undici suoni: Re, Re diesis, Mi, Fa, Sol bemolle, La bemolle, Sol bequadro, Do diesis, Si, La diesis, La bequadro, ed è un altro “presto”, ma la tavolozza di note da usare è molto più grande e quindi la musica è molto meno stilizzata.
L’XI brano si presenta con dodici suoni: Mi, Fa, Fa diesis, Mi bemolle, Re, Re bemolle, Sol, Do, Si, Sol diesis, La, Si bemolle, ed è una fuga ipercromatica dedicata a Girolamo Frescobaldi, compositore ferrarese del 1600 e primo grande rivoluzionario della tastiera.
Musica Ricercata, oltre al piacere dell’ascolto, ha aperto molte strade alla musica: è stata una di quelle fonti da cui tutti i compositori prima o poi hanno attinto, e dimostra soprattutto come la musica del passato sia ancora attuale, come diceva Luciano Berio nelle sue lezioni sulla musica contemporanea nel programma televisivo di divulgazione culturale-musicale in dodici puntate C’è musica & musica, da lui stesso condotto, e commentate da moltissime importanti personalità del mondo musicale europeo ed extraeuropeo: «La musica è sempre contemporanea nel momento che si ascolta».

Emanuela Cangemi

Bibliografia
L’universale. La grande enciclopedia tematica, Milano, Garzanti, 2006.
Antonio Braga,Schemi aggiornati di storia della musica. Metodo pratico per la preparazione degli esami di conservatorio e di abilitazione, Milano, Edizioni Curci, 2001.
Mario Carrozzo e Cristina Cimagalli, Storia della musica Occidentale, Voll. I, II, III, Roma, Armando editore, 2000.
Renato Dionisi, Appunti di analisi formale per l’esame di cultura musicale generale in conservatorio, Milano, Edizioni Curci, 2010.
Sergio Prodigo, Viaggio nel mondo della musica. Teoria, strumenti, forme, storia e discipline, Roma, Armando editore, 2008.

(direfarescrivere, anno XII, n. 127, luglio 2016)
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