Anno XX, n. 218
marzo 2024
 
La cultura, probabilmente
Riflessioni sulla Rivoluzione francese:
una prospettiva cattolica sulle cause,
dirette o indirette, di un grande evento
Le fasi di uno dei più importanti avvenimenti dell’umanità
visti con occhio religioso. Un pregevole saggio da D’Ettoris
di Luciana De Palma
Nel suo saggio postumo, che raccoglie le riflessioni già pubblicate in diverse riviste britanniche e statunitensi, il celebre storico inglese Christopher Dawson non nasconde né prova a dissimulare la prospettiva da cui è partito per analizzare lo straordinario evento della Rivoluzione francese. Fin dalle prime pagine è chiaro che tutti gli avvenimenti che hanno preceduto e seguito il fatidico anno del 1789, tutte le idee, le teorie, le concezioni filosofiche, le speculazioni intellettuali saranno illuminate da un fascio di luce che l’autore, detentore della torcia, fa derivare direttamente dall’angolazione cattolica.
La sua conversione al cattolicesimo lo induce a stigmatizzare i tratti più audaci e più esaltanti della Rivoluzione francese secondo criteri e valutazioni che appartengono, di fatto, a una sfera di pensiero rispettabile, ma palesemente lontana dall’obiettività che si pretende da uno storico; obiettività che, sebbene difficilmente realizzabile in toto, è però l’ideale a cui si dovrebbe tendere affinché l’evento storico, oggetto di studio, sia osservato e valutato nella sua interezza e portata. Questo, però, non è il caso di Christopher Dawson, che imprime nel suo giudizio, relativamente alla Rivoluzione francese, impostazioni scopertamente derivanti da influenze di pensiero cattolico.
Nel saggio Gli dei della Rivoluzione (D’Ettoris editori, pp. 256, € 21,90), Dawson, con una tripartizione ben precisa, inizia esaminando l’origine delle teorie democratiche alla base della Rivoluzione francese, quindi prosegue nella seconda parte narrando gli avvenimenti che ne hanno costituito la fase più magmatica e, infine, conclude nella terza e ultima parte indagando le conseguenze della rivoluzione, soprattutto segnalando i movimenti culturali, politici e religiosi che ne sono derivati.

La rivoluzione delle idee
Nella prima parte del libro l’autore sottolinea la pregnanza della cristianità nel ruolo di collante sociale e culturale di fondo, che accumunava i popoli dell’Europa medioevale. Nei secoli successivi i legami con la chiesa, sia locale che centrale, hanno subìto gli inevitabili contraccolpi per effetto del disfacimento della struttura sociale feudale ad opera di un potere monarchico sempre più forte e centralizzato.
Dawson, proseguendo, scrive che alla perdita di peso politico e sociale è simmetricamente corrisposta, se non proprio derivata, una diffusione e una radicalizzazione del sentimento nazionalistico; da qui il biasimo per la successiva secolarizzazione di uomini e di donne che, lentamente, ma progressivamente, non si sono più riconosciuti nell’elemento unificante del cattolicesimo medioevale.
A questo proposito Dawson aggiunge che il giudizio degli umanisti, formulato a posteriori, circa il valore morale e sociale del nucleo intorno a cui il Medioevo si era sviluppato non abbia fatto altro che consegnare ai posteri una visione, secondo lo stesso autore, distorta perché semplificata in termini di barbarie e di brutale oscurantismo.
Nelle pagine seguenti, lo storico, cercando di riportare in auge l’opera della Controriforma, con tutta la sua ampollosità barocca, esercitata al massimo grado in ogni forma d’arte, dalla scultura alla pittura, contrappone alla magnificenza culturale, ispirata a questa corrente di rinnovamento religioso, un’assenza pressoché totale di un corrispettivo fermento creativo nei paesi del Nord Europa, dove, sempre secondo lo storico, lo spirito calvinista e puritano soffocò ogni simile tentativo. Persino la figura del monarca assoluto, Luigi XIV, è ampiamente rivalutata nel confronto, certo azzardato, con gli avvenimenti burrascosi e tormentati della Rivoluzione francese che, va però ricordato, si realizzerà a una distanza temporale di più di settant’anni dalla morte dello stesso re.
Dawson scrive che «il mecenatismo reale [di Luigi XIV] contribuiva a elevare il prestigio nazionale e affermava egemonia politica e intellettuale della Francia in Europa».
Con il diffondersi delle teorie scientifiche, soprattutto quelle derivanti dagli studi di Galilei e di Newton, si iniziò a estromettere l’elemento soprannaturale e miracoloso, fondamentale nella visione cattolica del mondo, rivelando così i primi fattori della secolarizzazione; Dawson, a tal proposito, afferma che questo periodo storico in pratica ereditò la diffidenza dell’Umanesimo verso l’oscurantismo clericale, innalzando il rancore verso il clero che aveva, fino a quel momento, controllato il pensiero e l’istruzione degli uomini.
Filosofi e scrittori francesi ripetevano con «monotona insistenza le ingiurie a proposito del clericalismo e della superstizione, delle pratiche monastiche e dell’ascetismo».
Qualche rigo più avanti Dawson giudica il pensiero di due grandi pensatori dell’epoca, Voltaire e Montesquieu, con un metro evangelico; egli, infatti, scrive: «Non avevano alcuna intenzione di promuovere una rivoluzione sociale».
Anche allo scrittore Talleyrand Dawson infligge lo stesso giudizio di valore, tacciandolo di fare oggetto dei suoi scritti una dolce vita che era spesso di facciata poiché nascondeva un vuoto spirituale; con molta probabilità, però, né Voltaire né Montesquieu né Talleyrand ambivano a diventare santi della Chiesa cattolica!
Anche il valore culturale e intellettuale dell’Illuminismo è di fatto screditato da Dawson quando scrive che «si trattava di un trionfo superficiale, che interessava una porzione infinitesima della società europea; […] la vasta maggioranza della popolazione seguiva ancora le vecchie strade e accettava le credenze e le idee dei propri antenati».
A questo punto è chiamato in causa Rousseau, di cui si precisa che scorse nell’ingiustizia sociale e nelle influenze corruttrici di una civiltà artificiale le cause dei mali dell’uomo: Dawson dimentica, però, che nei secoli precedenti neppure i rappresentanti della Chiesa di Roma erano stati del tutto estranei alle ingiustizie, esercitando un forte potere di suggestione sulle menti di uomini e donne facilmente impressionabili.

La Rivoluzione francese
Nelle prime pagine della seconda parte dell’opera, Dawson focalizza l’attenzione sull’enorme distanza che, nella seconda metà del XVIII secolo, separava la borghesia dal popolo: la prima iniziò a reclamare per sé gli stessi diritti e privilegi della nobiltà, nutrendo così una coscienza di classe e i suoi interessi; il secondo, invece, benché avesse poca coscienza di classe, ne aveva una nazionale che, fino a quel momento, si era incarnata nella figura del monarca e nella fedeltà alla sua persona.
In questo contesto le idee che hanno preceduto e sostenuto la Rivoluzione francese si ponevano come elementi su cui edificare i diritti originari dell’umanità, sottratti dal clero e dai monarchi; Dawson scrive: «Se fu un periodo di libertà e di speranza, fu anche un periodo d’illusione».
Inoltre, le relazioni tra stato e chiesa, che erano state sempre forti e indissolubili, cominciarono a sgretolarsi nel momento in cui piccole crepe apparvero nello stato, amplificandone gli scricchiolii anche nella chiesa. L’Assemblea nazionale sciolse i monasteri e abolì gli ordini religiosi: la rivoluzione incipiente voleva congiungere l’umanità in una nuova unità spirituale, chiedendo alla chiesa di diventare parte di questo progetto.
A questo riguardo Dawson critica pesantemente gli intenti degli intellettuali rivoluzionari, accusando la classe capitalistica, quella che sobillava una rivoluzione politica, di aver tratto maggiori vantaggi dagli espropri e dalle confische agli ordini religiosi.
Una parte del popolo seguì i proclami dell’“agitatore” Marat, che attribuiva alle dissolutezze degli aristocratici la principale causa della sua povertà; un’altra parte, invece, non abbandonò i vescovi e il papato, subendo le accuse di slealtà verso la nuova costituzione promulgata dai rivoluzionari.
Nel frattempo la situazione economica subì gravi deterioramenti: l’aumento dei prezzi, le sollevazioni dei contadini, le agitazioni popolari in città, una crescente tensione internazionale rappresentarono solide ragioni affinché si incendiassero gli animi e si amplificassero gli echi sotterranei di un imprevedibile cambiamento.
Le prime manifestazioni di scontri e di atrocità commesse dal popolo furono, secondo Dawson, fomentate dai leader rivoluzionari, in particolare da Robespierre, «fanatico, ma incorruttibile, e da Marat, quello strano ibrido di medico svizzero e di brigante sardo».
Un lungo capitolo, il sesto, è dedicato a descrivere, esasperando la brutalità nelle logiche dei rivoluzionari, il periodo denominato “del Terrore”.
Dawson scrive dei contrasti, delle contraddizioni e delle fazioni che si formarono all’interno del grande partito dei rivoluzionari, mostrando come nelle loro azioni iniziasse a emergere una volontà di potere e di sopraffazione più che di vera filantropia e libertà.
Egli scrive: «Nell’Assemblea si stavano sviluppando conflitti sociali più profondi, che dovevano far progredire la Rivoluzione in una direzione che i suoi leader ufficiali non si erano prefissi».
Inoltre, secondo l’autore, la vera causa dell’agitazione popolare va ricercata non tanto nelle questioni di sopravvivenza, ma in quelle religiose, poiché il popolo provò profondi risentimenti per la rimozione dei sacerdoti e per l’intrusione del clero scismatico; perciò, caduta la monarchia che proteggeva i cattolici e i rappresentanti della Chiesa di Roma in Francia, i veri nemici del popolo non furono gli austriaci o i prussiani, ma i rappresentanti del potere che avevano mandato sulla ghigliottina il loro re.
Di contro, i rivoluzionari proseguivano nella loro missione di reprimere, fisicamente e culturalmente, i missionari, i preti, il clero intero; «La Rivoluzione […] era giunta a considerare il cristianesimo stesso come una forza controrivoluzionaria che doveva essere distrutta per far posto alla nuova religione dell’umanità». Qualche pagina dopo, la figura di Robespierre, complessa e appassionante, è spietatamente criticata da Dawson, che scrive: «La rigorosa inflessibilità del temperamento di Robespierre aveva trasformato l’idealismo liberale di Rousseau in un severo e arido fanatismo».
La visione dichiaratamente cattolica, con cui Dawson studia i singoli avvenimenti che hanno contribuito a rendere la Rivoluzione francese un tassello imprescindibile nello studio della storia dell’umanità, mettendo in rilievo il contrasto tra il razionalismo deistico negativo di Voltaire e il deismo mistico di Rousseau, sottolinea la prospettiva palesemente di parte dell’autore di questo libro, negando il valore laico e universalistico a un fatto che in nessun caso è stato mai forzato a essere ciò che non voleva essere.
Qualche riga oltre, il contrasto è marcato, opponendo il popolo, che, «in fondo, era sano», agli intellettuali, che avevano, invece, secondo l’autore, «perso il buon senso».

L’impatto della rivoluzione
Nella terza e ultima parte del libro Dawson segnala i momenti in cui la religione riprende la centralità che la rivoluzione le aveva brutalmente negato: «Il cristianesimo […] fu riportato a corte e nel salotto e anche coloro che ancora lo respingevano non lo facevano più nel modo così sprezzante e presuntuoso dell’uomo dell’Illuminismo».
L’imperatore d’Austria, Giuseppe II, è descritto come colui che restituì alla chiesa il ruolo educativo e morale che le era sempre appartenuto, razionalizzando le strutture e i compiti della chiesa stessa nei suoi domini imperiali. Inoltre, le masse sono rappresentate come vittime che non solo non hanno beneficiato in alcun modo degli effetti della Rivoluzione, ma hanno anche patito gli sconvolgimenti culturali e sociali promossi dai rivoluzionari.
Si evidenzia anche come la perdita di fiducia nelle risorse intellettuali degli uomini abbia spinto tutti i non intellettuali a rivolgersi, con più fervore di prima, ai rappresentanti di Dio sulla terra.
Napoleone, figlio e frutto della rivoluzione, ripropose tutti i lineamenti principali dell’ordine politico creato dalla rivoluzione, fondandoli su una base di concretezza e portando, quindi, la Francia a diventare il primo stato nazionale moderno.
Secoli dopo, il socialismo e il comunismo, ispirandosi agli ideali della Rivoluzione francese, con i loro attacchi al capitalismo, le loro agitazioni politiche, tecnologiche e culturali, ne proseguirono l’opera di ribellione, ma Dawson azzera i risvolti positivi delle trasformazioni post Rivoluzione francese per sottolineare soltanto la confusione, il disordine e lo sfruttamento intorno a cui si impennarono le suddette correnti politiche.
Nelle ultime pagine Dawson definisce, quale fattore che più ha determinato l’emersione di regimi totalitari, la divisione interna dei cattolici: alcuni schierati sul versante dei liberali, altri su quello dei conservatori, alcuni sul versante dei socialisti, altri su quello degli individualisti. Può sembrare che egli si sia augurato non tanto una continua e onesta ricerca della libertà di pensiero e di espressione, quanto una completa estinzione di tali divergenze soprattutto per la conservazione della società occidentale e del potere temporale della chiesa. A questo riguardo egli scrive: «L’integrazione spirituale della cultura occidentale è quindi essenziale per la sua sopravvivenza temporale».
Infine, concludendo con un’affermazione difficilmente condivisibile da chi non osserva il mondo da una prospettiva cattolica, e ancora meno da chi si sforza di studiare la storia facendo a meno di categorie religiose, politiche e culturali, Dawson afferma: «Di conseguenza, la cultura occidentale deve guardare proprio al cristianesimo come guida e come aiuto nella restaurazione dell’unità morale e spirituale della nostra civiltà. Se trascura di farlo, questo implica o il fallimento del cristianesimo o la condanna della civiltà moderna’».

Luciana De Palma

(direfarescrivere, anno XII, n. 126, giugno 2016)
Invia commenti Leggi commenti  

Segnala questo link ad un amico!
Inserisci l'indirizzo e-mail:

 


Direzione
Fulvio Mazza (Responsabile) e Mario Saccomanno

Collaboratori di redazione
Ilenia Marrapodi ed Elisa Guglielmi

Direfarescrivere è on line nei primi giorni di ogni mese.

Iscrizione al Roc n. 21969
Registrazione presso il Tribunale di Cosenza n. 771 del 9/1/2006.
Codice Cnr-Ispri: Issn 1827-8124.

Privacy Policy - Cookie Policy